Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25574 del 29/05/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 25574 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dai difensori di:
Tarquini Massimo, nato a Todi, il 31/8/1933;

avverso la sentenza del 7/3/2012 della Corte d’appello di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Elisabetta Cesqui, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 7 marzo 2012 la Corte d’appello di Brescia confermava la
condanna alla pena di giustizia di Tarquini Massimo per il reato di bancarotta
fraudolenta per distrazione commesso nella sua qualità di amministratore della Cabli
s.r.l. dichiarata fallita il 4 marzo 2004, provvedendo contestualmente, in riforma della

Data Udienza: 29/05/2013

pronunzia di primo grado, alla sua assoluzione dallo stesso reato in riferimento ad un
ulteriore episodio distrattivo originariamente contestatogli.
2. Avverso la sentenza ricorre a mezzo dei propri difensori l’imputato articolando
quattro motivi.
2.1 Con il primo motivo ripropone l’eccezione processuale già proposta con i motivi
d’appello e relativa all’abnormità della pronunzia di primo grado in quanto deliberata
dal Tribunale di Bergamo omettendo di ritirarsi in camera di consiglio e dunque in
525, 527 e 528 c.p.p. per l’adozione della decisione da parte del giudice collegiale,
mentre con il secondo motivo deduce carenze motivazionali della sentenza impugnata
in merito al rigetto della suddetta eccezione, evidenziando che la Corte territoriale ne
avrebbe sostanzialmente travisato il senso, limitandosi ad escludere la sussistenza di
nullità di sorta nel contegno tenuto dal Tribunale, senza invece fornire risposta alcuna
sulla lamentata abnormità della sentenza adottata dal medesimo.
2.2 Con il terzo motivo il ricorrente lamenta ulteriori vizi motivazionali della sentenza
in merito all’affermata responsabilità dell’imputato per le contestate distrazioni, non
avendo tenuto in considerazione (ovvero travisato) quanto dichiarato dal curatore
fallimentare e cioè che il Tarquini nel corso degli anni aveva provveduto come socio a
finanziare la fallita per somme addirittura superiori a quelle di cui si contesta la
distrazione ed aveva successivamente rinunziato ai crediti vantati nei confronti della
società in ragione di tali finanziamenti, circostanza che consente di ritenere si versi
nell’ipotesi della bancarotta “riparata” con conseguente inconfigurabilità del reato per
cui è intervenuta condanna.
2.3 Con il quarto motivo viene infine denunciata la illogicità della sentenza in merito al
diniego delle attenuanti generiche, motivato dalla Corte territoriale in ragione della
ritenuta gravità della condotta tenuta dall’imputato in aperta contraddizione con
l’effettivo profilo dell’addebito e con il fatto che, nel corso dei gradi di merito, il
Tarquini è stato progressivamente assolto dalle imputazioni di bancarotta documentale
e di aver effettuato ulteriori e ben più consistenti distrazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Pregiudiziale è l’esame dell’eccezione processuale sollevata con il primo motivo di
ricorso e dei correlati vizi motivazionali della sentenza denunciati con il secondo. Motivi
che risultano peraltro infondati.
Non v’è dubbio che, per come risulta dal verbale di udienza, il Tribunale abbia sospeso
la discussione finale nella mattina del 10 dicembre 2007 dopo l’intervento della difesa,
per rinviarne la prosecuzione al pomeriggio dello stesso giorno per le eventuali
repliche delle parti. Alla ripresa, preso atto della rinunzia del pubblico ministero ad

violazione dell’art. 125 c.p.p. e senza rispettare lo schema legale tracciato dagli artt.

avvalersi di tale facoltà, il Presidente del collegio dava lettura del dispositivo della
sentenza.
Secondo il ricorrente si sarebbe così verificata una manifesta violazione della disciplina
dettata per la fase della deliberazione della sentenza dal combinato disposto degli artt.
125, 525 comma 2, 527 e 528 c.p.p., tale da rendere abnorme la pronunzia resa dal
Tribunale in quanto il vizio che la inficerebbe non consentirebbe l’individuazione del
luogo, del momento e delle modalità di assunzione della decisione.

certezza soltanto che il Tribunale non si sia ritirato in luogo diverso dall’aula di udienza
per deliberare, ma non anche che il Presidente del collegio, prima di pubblicare il
dispositivo della sentenza, non abbia concordato con i giudici a latere il contenuto della
decisione. Condizione questa necessaria perché tale decisione possa effettivamente
ritenersi strutturalmente abnorme nel senso ritenuto da Sez. 6, n. 45459 del 12
ottobre 2004, Sozzi ed altro, Rv. 230412 citata dal ricorrente, nel mentre va in
proposito ricordato che, al di fuori della fattispecie testè evocata, l’inosservanza
dell’art. 125, comma 4 c.p.p., secondo il quale il giudice decide in camera di consiglio
senza la presenza dell’ausiliario designato ad assisterlo e delle parti e la sua
deliberazione è segreta, è sfornita di sanzione processuale, con la conseguenza che la
decisione del giudice collegiale deliberata all’esterno della camera di consiglio (ad
esempio, come nella specie, nell’aula di udienza) deve ritenersi comunque valida (Sez.
1, n. 39928 del 22 ottobre 2002, P.M.in proc. Schiavone, Rv. 222719). L’eccezione
sollevata con i motivi d’appello è stata dunque correttamente rigettata dalla Corte
territoriale, non rilevando in proposito la motivazione adottata a sostegno della
decisione trattandosi di questione di diritto.

2. Infondato al limite dell’inammissibilità è anche il terzo motivo di ricorso, con cui
sostanzialmente si lamenta il travisamento delle dichiarazioni rese dal curatore
fallimentare nel corso del dibattimento di primo grado e che il ricorrente ha
provveduto a documentare in maniera rituale allegando il relativo verbale.
Peraltro il ricorso valorizza in tal senso solo alcuni brani della deposizione del suddetto
curatore, il quale ha invece chiarito come le rimesse di danaro operate dal Tarquini
fossero invero finanziamenti in conto capitale surrettiziamente appostati come
finanziamenti soci al fine di abbattere formalmente la situazione debitoria della fallita.
In tal senso – come correttamente inteso dalla Corte territoriale – non risulta dunque
in alcun modo che le somme ricavate dalla vendita del parco veicoli della società ed
oggetto di distrazione siano state successivamente riversate nelle casse sociali, né che
i suddetti finanziamenti abbiano avuto come finalità quella di riequilibrare tali
distrazioni piuttosto che – come pure evidenziato dal curatore – la specifica
destinazione di arginare specifici debiti della fallita e cioè quelli intrattenuti con altre

In proposito deve osservarsi come dalla lettura del verbale di udienza emerga con

società facenti capo all’imputato o quelli accesi presso gli istituti di credito attraverso
la prestazione di garanzie personali da parte dello stesso, il che esclude si versi
nell’ipotesi di bancarotta riparata evocata dal ricorrente.
3. Inammissibile è infine il quarto ed ultimo motivo che si risolve nel sollecitare una
nuova valutazione di merito sulla concedibilità delle attenuanti generiche, il cui diniego
non è stato giustificato – come invece eccepito – in maniera contraddittoria dalla Corte
originariamente contestate al Tarquini non implica l’automatica svalutazione della
gravità della sua condotta, che i giudici d’appello hanno in maniera tutt’altro che
illogica ancorato alla complessiva disinvoltura della sua gestione, che trova preciso
riscontro nella relazione e nella deposizione del curatore fallimentare. Ed in tal senso la
sentenza dimostra di aver fatto buon governo dei principi affermati costantemente da
questa Corte, per cui il diniego delle attenuanti generiche può essere legittimamente
fondato anche sull’apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo,
che sia ritenuto prevalente rispetto ad altri elementi (Sez. 6 n. 8668 del 28 maggio
1999, Milenkovic, rv 214200) e secondo la quale tale dato può essere costituito anche
dalla valutazione della gravità del fatto, che è uno degli indici normativi dettati per la
determinazione del trattamento sanzionatorio (Sez. 3 n. 11963/11 del 16 dicembre
2010, p.g. in proc. Picaku, rv 249754).
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 29/5/2013

territoriale, atteso che l’intervenuta assoluzione per alcune delle imputazioni

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