Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25570 del 22/03/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 25570 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: SAVANI PIERO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SACCO SERGIO MARIA N. IL 12/09/1945
avverso la sentenza n. 1145/2011 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 15/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/03/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PIERO SA VANI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

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Data Udienza: 22/03/2013

IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Palermo, dichiarata la prescrizione del delitto di
falso ideologico per induzione e di alcuni degli episodi di truffa, ha confermato nel resto la
sentenza emessa in data 30 novembre 2010 dal Giudice dell’Udienza preliminare del locale
Tribunale, appellata da SACCO Sergio Maria, dichiarato in primo grado responsabile dei delitti
di falso materiale in atto pubblico fidefaciente, per la realizzazione, in concorso con ignoti, di un
verbale di visita medica collegiale apparentemente redatto dalla commissione medica dell’AUSL
6 di Palermo per il riconoscimento delle invalidità civili; del delitto di falso ideologico per
induzione in errore di pubblico ufficiale sui presupposti legittimanti l’emissione del
provvedimento col quale gli era stata riconosciuta la pensione di invalidità, con assegno di
accompagnamento, e del delitto di truffa aggravata per la successiva percezione, in virtù dei falsi
sopra indicati, di più ratei di pensione fino al settembre 2009.
Propone ricorso per cassazione l’imputato sulla base di tre motivi.
Con il primo deduce violazione di legge quanto alla ritenuta responsabilità per i reati lui ascritti.
L’imputazione sub A) sarebbe del tutto generica perché il prevenuto sarebbe stato accusato di
concorso nel falso con non identificati pubblici ufficiali, senza che fosse mai emerso chi
potessero essere questi soggetti, agenti nell’esercizio di pubbliche funzioni, che avrebbero
realizzato il verbale asseritamente falso, avvalendosi dei dati personali del SACCO.
Lamenta anche che la falsità sia stata dedotta sulla base di riscontri documentali, senza alcun
controllo sul fatto che quel verbale che concerneva il SACCO fosse stato oggetto di
falsificazione ex novo o non piuttosto di smarrimento, poiché la distinta di trasmissione delle
copie autentiche dei verbali in prefettura era autentica.
Lamenta che la Corte di merito non abbia voluto svolgere accertamenti in proposito, richiesti con
l’appello ed indicati dettagliatamente in ricorso.
Deduce anche difetto di prova della falsità, tale non emergendo da alcun atto processuale, né
risultando in che cosa si potesse definire falso il verbale de quo.
Quanto alla truffa, lamenta non sia stato considerato che la P.A. avrebbe dovuto, e potuto,
effettuare i necessari controlli.
Né sarebbero in concreto mancate le condizioni perché il SACCO potesse godere dei benefici
poi ottenuti.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge in merito alla ritenuta ipotesi di cui all’art.
476, c.p., invece dei quella di cui all’art. 480 c.p.
Il verbale in questione non sarebbe un atto pubblico, ma una certificazione, perché il suo
contenuto sarebbe documentativo di una valutazione operata dalla Commissione medica, né
potrebbe configurarsi una falsità avente per oggetto un giudizio di valore; così, il documento nel
quale tale valutazione sia trasfusa non potrebbe essere riguardato sotto la fattispecie di cui all’art.
476 c.p.
Con il terzo motivo deduce erronea qualificazione del delitto sub a), per essere stata riconosciuta
l’aggravante di cui al cpv. dell’art. 476 c.p., non potendosi ritenere, il verbale di visita medica in
questione, atto fidefaciente ma, al contrario, atto interno del procedimento per il conseguimento
della pensione d’invalidità e comunque preparatorio di una fattispecie documentale complessa.
Dovendosi escludere l’aggravante contestata, per la necessaria riqualificazione dell’atto, ed
anche con riguardo all’avvenuta applicazione con criterio di prevalenza delle attenuanti
generiche, sostiene il ricorrente che sarebbe decorso del termine di prescrizione anche per il
delitto sub A) risultando emesso l’atto in data 4 dicembre 2003; afferma quindi che il reato era
prescritto, per la scadenza del termine di anni sette e mesi sei, già al momento in cui gli era stata
notificata la richiesta di rinvio a giudizio, con l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare
(28.10.2010).
Il ricorso non è fondato, tranne quanto si rileverà in tema di prescrizione della truffa.
La Corte di merito ha evidenziato gli elementi da cui aveva tratto, come il primo giudice, la
convinzione che fosse stato formato un falso verbale di visita collegiale del 4 dicembre 2003 da
cui risultava la inabilità del SACCO.

Ha rilevato che controlli incrociati dei dati in possesso, rispettivamente, della Prefettura di
Palermo e della Segreteria di Coordinamento delle Commissioni Mediche per l’accertamento
dell’invalidità civile dell’AUSL n. 6 di Palermo avevano consentito di appurare che l’originale
verbale di visita medica collegiale del Sacco, apparentemente redatto in quella data, non era agli
atti della Segreteria di Coordinamento, mentre ne era stata trasmessa copia autentica dall’AUSL
n. 6 alla Prefettura con apposito elenco; che il verbale in questione presentava poi anomalie
indicative della sua falsità, quali la non corrispondenza con gli atti d’ufficio di data e numero di
protocollo d’ingresso dell’istanza, la non corrispondenza del protocollo con gli atti informatici e
la mancanza della registrazione del nominativo del SACCO sul verbale complessivo di seduta
della Commissione Medica, laddove le circostanze evidenziate in ricorso non paiono decisive,
perché tendono ad accreditare l’ipotesi che la sicura mancanza agli atti della Commissione di
quel verbale fosse dovuta a non meglio indicati e non dimostrati eventi eccezionali.
Ha inoltre rilevato la Corte territoriale che dalla copia trasmessa alla Prefettura risultava che il
verbale in questione era stato formato su modulistica autentica, così come autentici erano
risultati i timbri ivi apposti, e ne ha tratto la conclusione, del tutto logica, che la redazione
dell’originale, mai più reperito, ma utilizzato per la formazione della copia autentica destinata
alla Prefettura, era necessariamente avvenuta con la determinante collaborazione di pubblici
funzionari dell’AUSL n. 6, unici soggetti a poter avere accesso alle pratiche d’ufficio, a poter
compilare un modulo autentico, con timbri autentici ed a formarne copie autentiche da allegarsi
ad elenchi autentici per la trasmissione in Prefettura, unitamente a verbali di visite collegiali
effettivamente eseguite dalla Commissione con riferimento ad altre persone.
Altrettanto logicamente la Corte di merito ha ritenuto l’attribuibilità del falso, e della connessa
truffa al prevenuto, in quanto il verbale del 4/12/2003, che attestava la sottoposizione del
SACCO ad una visita medica in realtà mai avvenuta, portava l’indicazione delle sue esatte
generalità, era stato completato con tutte le informazioni anamnestiche necessarie, dalle
patologie riscontrate al giudizio della commissione, perché potesse costituire il supporto tecnico
indispensabile per l’emissione del decreto n. 185646 del 16 ottobre 2004 della Prefettura di
Palermo, di concessione al SACCO della pensione di inabilità e dell’indennità di
accompagnamento.
Pare in definitiva al Collegio che il giudizio della Corte territoriale sulla falsità del verbale, sulla
sua attribuibilità alla collaborazione del SACCO per aver fornito ai pubblici ufficiali infedeli
dell’AUSL, materiali redattori del verbale, i propri dati anagrafici, e quant’altro occorrente per
ottenere il concreto risultato cui mirava, e sulla conseguente falsità ideologica per induzione in
errore del decreto che gli assegnava la pensione, sia stato formulato con corretta disamina e
confronto delle risultanze degli atti utilizzabili ai fini della decisione, per la scelta del rito, e si
sottragga alle censure del ricorrente, anche quanto a completezza dell’accertamento documentale
dovuto alla scelta del rito, non manifestandosi determinanti gli accertamenti richiesti dal
prevenuto, perché chiaramente più esplorativi, che decisivi.
Né può aver fondamento il rilievo che il SACCO potesse trovarsi in una condizione fisica che
avrebbe giustificato la concessione di quei benefici, a fronte del mezzo illecito utilizzato per
conseguire il risultato cui riteneva di aver diritto.
Infondate sono poi le censure sulla qualificazione giuridica del verbale oggetto di materiale
falsificazione.
Secondo giurisprudenza non contrastata e condivisa dal Collegio (Sez. V, n. 5647 del 29/3/1973,
Rv. 124709) i verbali delle commissioni mediche di primo grado e quelli della commissione
medica superiore per la concessione delle pensioni a militari e a civili sono atti pubblici che
fanno fede fino a querela di falso, in quanto alle commissioni mediche sono attribuiti per legge
ed in modo esclusivo gli accertamenti sanitari relativi alle menomazioni dell’integrità fisica delle
persone, accertamenti che vengono riassunti in verbali che hanno forza probante, sia nei rapporti
interni della P.A. sia nei riguardi dei terzi.
Né può aver rilievo la censura del ricorrente sulla natura valutativa degli accertamenti medici, sia
perché non è tale da escludere la configurabilità del falso (Sez. V, n. 15773 del 24 gennaio 2007,

Rv. 2365550), sia, e soprattutto, perché nel caso si contesta la materiale falsità dell’atto formato
dagli autori, ignoti quanto ai pubblici ufficiali infedeli, e noti come il SACCO, definitivo
beneficiario dell’operazione criminosa.
Corretta quindi la qualificazione giuridica del fatto da parte della Corte territoriale, con la
conseguenza che manifestamente infondata è la doglianza relativa alla mancata dichiarazione di
estinzione del reato di falso aggravato per prescrizione.
Per il delitto ritenuto dai giudici del merito la legge prevede una pena massima di anni dieci di
reclusione; correttamente quindi la Corte d’appello ha ritenuto che il termine di prescrizione sia
quello di anni dodici e mesi sei, oltre ad eventuali sospensioni, dovendosi applicare il più
favorevole regime previsto dal testo vigente dell’art. 157 c.p., atteso che, secondo il testo
previgente, l’intervenuta valutazione di prevalenza delle attenuanti generiche avrebbe portato la
pena massima applicabile ad anni sei, meno un giorno, di reclusione, oltre multa, superiore al
limite degli anni cinque che, secondo la citata disciplina, comportava una prescrizione ordinaria
di anni dieci, prorogabile a quindici per le interruzioni.
Secondo la disciplina vigente, invece, l’applicazione delle attenuanti generiche non influisce sul
termine di prescrizione che quindi resta quello di anni dieci di reclusione dell’ipotesi aggravata,
trattandosi di aggravante ad effetto speciale.
Peraltro il disposto dell’art. 161 c.p. prevede, in caso di interruzioni, un prolungamento del
termine di prescrizione di un quarto della pena massima, e cioè, nel caso, fino ad anni dodici e
mesi sei.
Non è pertanto trascorso né il termine massimo di legge di anni dodici e mesi sei, ma neppure
quello decennale intermedio fra un atto interruttivo e l’altro.
Né, come pretenderebbe il ricorrente, può essere applicato il termine di anni sei di prescrizione al
delitto de quo, a causa dell’operatività delle attenuanti generiche valutate prevalenti
sull’aggravante, perché in tal modo si creerebbe un nuovo regime prescrizionale basato su una
non consentita commistione di regimi con aspetti tratti dalla previgente norma, quanto
all’incidenza delle attenuanti sul calcolo della pena massima, e dalla nonna vigente secondo cui
il termine di prescrizione è pari alla pena massima per il reato, con superamento dell’abrogato
sistema degli scaglioni di pena.
Diversa la situazione per il delitto di truffa in relazione al quale più favorevole è il regime
previsto dal testo previgente dell’art. 157 c.p., come già ritenuto dalla Corte d’appello, atteso ch
l’incidenza della prevalenza delle attenuanti generiche comporta la diminuzione della pena
massima applicabile ad un livello inferiore ad anni cinque di reclusione, con la conseguenza che
il termine di prescrizione è quello di anni cinque prorogabile, dopo le interruzioni, ad anni sette e
mesi sei.
Già dichiarati prescritti dalla Corte di merito gli episodi di truffa commessi fino all’aprile 2005,
rileva il Collegio che, essendo intervenuta la richiesta di rinvio a giudizio da parte del Pubblico
Ministero in data 8 ottobre 2010, ha operato la prescrizione quinquennale per i ratei di pensione
riscossi dall’aprile 2005 all’8 ottobre 2005.
Per i fatti di truffa verificatisi dopo quella data, intervenuta l’interruzione della prescrizione ed
un succedersi di atti interruttivi in tempi ravvicinati, è operativa la sola prescrizione massima di
anni sette e mesi sei, sulla quale ha inciso un periodo di sospensione di mesi cinque e giorni
sette, con la conseguenza che la causa di estinzione non ha interessato gli ulteriori episodi di
truffa ascritti al prevenuto.
La dichiarazione di estinzione del delitto di truffa, nei termini di cui sopra, comporta una
riduzione proporzionale della portata dell’aumento di pena per continuazione concernente il
delitto in questione che la Corte può individuare in giorni tre di reclusione.
In tali termini la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio.
P.Q.M.
La Corte annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente ai fatti di truffa commessi
dall’aprile 2005 all’8 ottobre 2005 per essere i reati estinti per prescrizione e elimina la relativa
pena che determina in giorni tre di reclusione; rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma il 22 marzo 2013.

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