Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25560 del 20/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 25560 Anno 2015
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di:
Gilardi Daniele, nato a Milano, il 16/7/1960;

avverso l’ordinanza del 17/11/2014 del Tribunale di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Angelo Scarano, che ha concluso chiedendo l’accoglimento
del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Milano ha rigettato l’istanza di riesame
proposta da Gilardi Daniele avverso il provvedimento di sequestro preventivo disposto
su beni di sua proprietà in quanto di valore equivalente al profitto del reato di cui

Data Udienza: 20/05/2015

all’art. 2 d. Igs. n. 74/2000 aggravato dalla transnazionalità per il quale si procede nei
suoi confronti.
L’indagato, nella sua qualità di responsabile commerciale di Tome Group Advertising
Media s.r.l. e Tonne Advertising Group s.r.I., è stato ritenuto raggiunto da gravi indizi
di colpevolezza e già sottoposto anche a misura cautelare personale con riferimento
alla sua condotta partecipativa alla realizzazione di una c.d. “frode carosello”, avendo il
tribunale del riesame ritenuto che la condotta posta in essere proprio nella sua qualità

nell’assicurare la puntuale esecuzione delle modalità di fatturazione necessarie alla
realizzazione del piano criminoso, per cui, avvalendosi le predette società – attraverso
lo schema compiutamente descritto nel capo a) di incolpazione – delle fatture per
operazioni inesistenti emesse da ICS s.r.l. in loro favore, erano state in condizione di
poter indicare nelle dichiarazioni fiscali 2008-2012 i correlativi elementi passivi fittizi,
maturando ingenti crediti IVA, mentre il debito era stato fatto gravare esclusivamente
sulla cartiera ICS s.r.I., società che quindi, proprio a causa dell’assunzione del carico
tributario di tutte le società coinvolte nella frode, era stata poi condotta al fallimento.

2. Avverso l’ordinanza ricorre il Gilardi a mezzo del proprio difensore articolando tre
motivi.
2.1 Con il primo motivo deduce violazione di legge in merito all’omessa trasmissione al
Tribunale del riesame degli atti sottoposti al G.i.p. per l’emissione della misura
cautelare reale. In particolare lamenta il ricorrente che non sarebbero stati trasmessi
gli interrogatori di garanzia del Gilardi e degli altri indagati, nonché gli atti compiuti
dopo l’esecuzione delle misure cautelari personali. In ogni caso sarebbe stato violato il
disposto dell’art. 309 comma 5 c.p.p. da ritenersi applicabile anche in tema di
seuqestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato,
attesa la ritenuta natura sanzionatoria della misura ablativa.
2.2 Con il secondo motivo lamenta errata applicazione della legge penale e violazione
di quella processuale in ordine alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti.
Rileva in proposito il ricorrente come il Tribunale abbia integrato la motivazione del
provvedimento genetico facendo riferimento alle risultanze dell’incidente cautelare
relativo alla misura personale, senza però tenere in considerazione che dallo stesso
decreto di sequestro emerge come i flussi finanziari provenienti dalla “cartiera”
abbiano interessato esclusivamente il coindagato Nicosia, risultando dunque il difetto
di elementi idonei ad attribuire al Gilardi consapevoli condotte rilevanti ai fini della
configurabilità del reato contestato.
2.3 Analoghi vizi vengono dedotti con il terzo motivo con riguardo alla legittimità
dell’adozione del sequestro per equivalente in difetto della prova certa che i beni
sequestrati ad altri indagati non costituiscano già l’integrale profitto del reato. Non di

di responsabile commerciale delle società italiane del gruppo Tome, si era concretata

meno il Tribunale non avrebbe tenuto conto che a carico del singolo concorrente può
procedersi alla confisca per equivalente di beni di valore corrispondente
esclusivamente alla quota di profitto a lui imputabile, attesa la natura sanzionatoria
della misura ablativa e che nel caso di specie dagli atti emergerebbe come al più al
Gilardino possa per l’appunto imputarsi di aver percepito – peraltro a titolo di prezzo
del reato – dal Nicosia somme non eccedenti i 300.000 euro, valore di gran lunga

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso deve essere rigettato.
2. Deve innanzi tutto ritenersi infondata – e per certi versi inammissibile – l’eccezione
processuale sollevata con il primo motivo del ricorso con riguardo alla violazione
dell’art. 309 comma 5 c.p.p.
2.1 Come ripetutamente chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, infatti, nel
procedimento di riesame del provvedimento di sequestro non è applicabile il termine
perentorio di cinque giorni per la trasmissione degli atti al tribunale, previsto dalla
citata disposizione, con conseguente perdita di efficacia della misura cautelare
impugnata in caso di trasmissione tardiva, ma il diverso termine indicato dall’art. 324,
comma terzo c.p.p., il quale ha natura meramente ordinatoria (Sez. Un., n. 26268 del
28 marzo 2013, Cavalli, Rv. 255581; Sez. Un., n. 25932 del 29 maggio 2008, Ivanov,
Rv. 239698).
2.2 Il principio illustrato risulta coerente al dato normativo di riferimento, il quale contrariamente a quanto adombrato dal ricorrente – non presenta profili di
irragionevolezza. Ed infatti il giudice delle leggi ha ripetutamente sottolineato la
legittimità della previsione di discipline differenziate con riguardo alle misure cautelari
personali rispetto a quelle reali sulla base del ritenuto – alla luce della gerarchia dei
valori accolta dalla Carta Costituzionale – diverso spessore del bene rispettivamente
sacrificato nell’un caso e nell’altro (v. Corte Cost. n. 48/1994 e 153/2007). Né la
menzionata gerarchia può ritenersi influenzata dalla natura “sostanzialmente”
sanzionatoria della confisca per equivalente alla cui adozione è finalizzato il sequestro
nel caso di specie, atteso che in ogni caso la misura ablativa – anche laddove assuma
carattere intrinseco di sanzione – incide sul diritto di proprietà, non mutando dunque i
termini della questione.
2.3 L’eventuale mancata trasmissione di alcuni degli atti già sottoposti al giudice che
ha adottato il provvedimento genetico rileva dunque ai soli fini in cui la loro mancata
ostensione abbia leso il diritto di difesa ovvero il mancato esame degli stessi da parte
del Tribunale comprometta la tenuta argonnentativa del provvedimento di riesame nei
limiti che si ricorderanno meglio in seguito. Sotto il primo profilo – pervero nemmeno

inferiore a quello dei bei assoggettati al vincolo cautelare.

eccepito dal ricorrente – deve rilevarsi come non possa essere eccepita la mancata
conoscenza dell’interrogatorio di garanzia reso dopo l’esecuzione della misura
cautelare coercitiva dal Gilardi, trattandosi di atto dallo stesso conosciuto per
definizione, mentre gli altri interrogatori o gli ulteriori atti che non sarebbero stati
trasmessi sono stati evocati in maniera solo generica nel ricorso. Sul secondo profilo si
tornerà invece nel prosieguo trattando degli altri motivi di ricorso.

3.1 In proposito è necessario ricordare come, in tema di riesame delle misure cautelari
reali, nella nozione di “violazione di legge” per cui soltanto può essere proposto ricorso
per cassazione a norma dell’art. 325 comma 1 c.p.p. rientrano la mancanza assoluta di
motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate
all’inosservanza di precise norme processuali, ma non altri vizi della motivazione
eccepibili solo ai sensi dell’art. 606 lett. e) c.p.p. (Sez. Un., n. 5876 del 28 gennaio
2004, P.C. Ferazzi in proc.Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. un. n. 25932 del 29 maggio
2008, Ivanov, rv 239692).
3.2 In tal senso deve allora rilevarsi come le censure svolte dal ricorrente (al di là della
loro formale intitolazione) si risolvano invero nella critica della tenuta logica del
provvedimento impugnato nel tentativo di dimostrare un difetto assoluto di
motivazione invero inesistente, atteso che il Tribunale ha compiutamente indicato gli
elementi dai quali ha dedotto il fumus del ritenuto concorso del Gilardi nei reati
tributari per i quali la misura cautelare è stata adottata. Ed in tal senso non è
nemmeno vero che i giudici del riesame si siano limitati a richiamare la motivazione
dell’ordinanza con la quale – in ragione della ritenuta sussistenza nei suoi confronti di
gravi indizi di colpevolezza in ordine ai suddetti reati (atto di cui anche in questo caso
la difesa era a conoscenza) – all’indagato era stata applicata la misura personale, ma
ha altresì esplicitato le specifiche evidenze sulla base delle quali è stato ritenuto
provato (nei limiti richiesti dall’art. 321 c.p.p.) il consapevole concorso dell’indagato
nella c.d. frode “carosello”. Né il ricorrente ha saputo indicare in che termini l’asserito
omesso esame degli atti che non sarebbero stati trasmessi al giudice del riesame
(anche volendo prescindere dalla già segnalata genericità della loro individuazione)
disarticoli il ragionamento probatorio svolto nel provvedimento impugnato.

4. Nuovamente infondato è infine il terzo motivo.
4.1 Se in passato la giurisprudenza questa Corte ha rivelato difformità di opinioni sul
punto, può ritenersi in via di consolidamento l’orientamento – condiviso dal collegio per cui deve ritenersi legittimo il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per
equivalente, eseguito per l’intero importo del prezzo o profitto del reato nei confronti
di un concorrente nel medesimo, nonostante le somme illecite siano state incamerate

3. Inammissibili sono invece le doglianze proposte con il secondo motivo di ricorso.

in tutto o in parte da altri coindagati, salvo l’eventuale riparto tra i concorrenti
medesimi, che costituisce fatto interno a questi ultimi, privo di alcun rilievo penale. E
ciò in forza del principio solidaristico che uniforma la disciplina del concorso di persone
e che, di conseguenza, implica l’imputazione dell’intera azione delittuosa in capo a
ciascun concorrente, sia in ragione della natura della confisca per equivalente, a cui va
riconosciuto carattere eminentemente sanzionatorio (Sez. 2, n. 5553 del 9 gennaio
2014, Clerici, Rv. 258342; Sez. 6, n. 17713 del 18 febbraio 2014, Argento, rv.

Sez. 2, n. 47066 del 3 ottobre 2013, Pieracci e altro, rv. 257968; Sez. 5, n. 13277 del
24 gennaio 2011, Bruno PA, rv. 249839; Sez. 5, n. 10810 del 3 febbraio 2010,
Perrottelli, rv. 246364; Sez. F, n. 33409 del 28 luglio 2009, Album e altri., rv.
244839).
4.2 E’ dunque irrilevante quale sia la “quota” di profitto eventualmente incamerata
dall’indagato o anche solo se egli abbia effettivamente ricavato una parte -dello stesso
a seguito della consumazione in concorso con altri del reato. Ciò che conta è solo che il
suddetto profitto sia effettivamente conseguito e che lo stesso non sia più (in tutto o in
parte) acquisibile nella sua identità fisica “storica” o in quella che gli autori del reato gli
hanno impresso procedendo alla sua trasformazione.
4.3 In presenza di tali presupposti dò che è disposto normativamente è infatti
l’ablazione di beni di cui coloro che hanno commesso il reato vantano la titolarità in
misura equivalente al valore del profitto del reato nella sua interezza considerato e
non in proporzione all’entità del vantaggio economico individualmente ritratto. Né può
ritenersi che nel caso in cui la misura ablativa ricada su colui che materialmente non
ha ricavato una effettiva utilità l’effetto sanzionatorio si riveli sproporzionato, giacchè
la “sanzione” – così come ordita dal legislatore – è proporzionata alla produzione del
profitto illecito e non alla sua effettiva disponibilità, talchè è ragionevole che tutti
coloro che siano concorsi a produrlo rispondano con i propri beni dell’impossibilità di
recuperano.
4.4 Ininfluenti si rivelano dunque le censure del ricorrente in merito all’effettiva entità
del profitto ritratto dal Gilardi, così come asseritamente ricostruita dallo stesso nel
corso del suo interrogatorio e che il Tribunale non avrebbe valutato perché non
trasmessogli. Ed infatti, anche qualora corrispondesse alla realtà che egli abbia
ricevuto “solo” 300.000 euro (ammissione che peraltro evidenzia l’irrilevanza della
eventuale mancata trasmissione del menzionato interrogatorio) ciò non sarebbe di
ostacolo al sequestro di beni di sua proprietà per un valore superiore, ma largamente
inferiore a quello del profitto complessivo ritratto dai reati in contestazione.
4.5 L’unico limite posto all’indiscriminata escussione di tutti i concorrenti è costituito
dal divieto di duplicare la misura ablativa, procedendo alla confisca presso ognuno di
loro beni la cui somma risulti superiore al valore accertato del profitt

259338; Sez. 2, n. 8740/13 del 16 novembre 2012, n. 8740, Della Rocca, rv. 254526;

complessivamente ritratto dal reato. Sulla operatività di tale limite anche nella fase
cautelare non vi è invero unanimità di orientamento in seno a questa Corte, ma la
questione non è in realtà decisiva nel caso di specie atteso che il Tribunale ha
motivatamente ritenuto che, anche tenuto conto dei beni già sequestrati presso altri
indagati (anche eventualmente costituenti il profitto diretto del reato), l’ammontare di
quelli assoggettati al vincolo con il provvedimento impugnato non raggiungono
l’ammontare del profitto complessivo fino ad ora accertato. Ed in proposito le obiezioni

evidenziare vizi motivazionali non deducibili in questa sede.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 20/5/2015

del ricorrente si rivelano o meramente congetturali o, nuovamente, tendono ad

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