Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25556 del 06/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 25556 Anno 2015
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: DEMARCHI ALBENGO PAOLO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ALBANO GIUSEPPE N. IL 20/11/1969
avverso l’ordinanza n. 1287/2014 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 28/11/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI
DEMARCHI ALBENGO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 06/05/2015

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Alberto Cardino, ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Per il ricorrente sono presenti gli Avvocati Galati e Contestabile, i quali
chiedono l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.

Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Reggio Calabria

carcere nei confronti di Albano Giuseppe,, nell’ambito del procedimento
penale per i reati di cui all’articolo 416 bie relativi reati fine. Il tribunale
di Reggio Calabria, su istanza di riesame del prevenuto, ha confermato
l’ordinanza impugnata.
2.

Contro la predetta ordinanza propongono ricorso per cassazione i

difensori dell’indagato per i seguenti motivi:
a. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento
all’omessa valutazione delle doglianze difensive prospettate
mediante la produzione di apposita memoria difensiva in sede
di discussione del 27 novembre 2014; in particolare, il
difensore aveva proposto questioni attinenti la illogicità della
lettura degli elementi indiziari, con riferimento alla mera
frequentazione con soggetti coindagati nel procedimento
penale, alla convinzione che presso il ristorante di proprietà
dell’Albano (Osteria dei poeti) vi era il ritrovo degli
appartenenti alla cosca ed alla partecipazione alla cena
organizzata presso l’hotel Mucci, che avrebbe sancito la pace
mafiosa a San Ferdinando. Contesta, poi, l’interpretazione
data alla conversazione tra il vice sindaco Celi Santo e Arena
Giuseppe, sul commento nei confronti dell’Albano.
b. Con un secondo motivo di ricorso lamenta motivazione
generica, insufficiente e contraddittoria in ordine alla
contestata aggravante ex articolo 7 della legge 203-1991, in
relazione al capo 14 dell’incolpazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1

ha emesso in data 30 ottobre 2014 la misura cautelare della custodia in

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato; il ricorrente
lamenta che il giudice del riesame abbia motivato per relationem,
nulla aggiungendo al complesso delle argomentazioni proprie del gip,
con un provvedimento affetto da motivazione meramente apparente
(per non aver preso in esame le allegazioni difensive). Contesta, poi,
addirittura la falsità di alcune affermazioni del tribunale (pagina 10
del ricorso), senza tuttavia fornire il necessario supporto probatorio
ed argomentativo al proprio assunto.
Quanto alla doglianza di mancanza di motivazione, per rinvio a
quella del gip, si osserva che le SS.UU. di questa Corte hanno
ritenuto (sent. n. 919 del 2003, ric. Gatto, RV 226448) che è
illegittimo il provvedimento conclusivo del giudizio di impugnazione
cautelare che sia genericamente motivato con un rinvio al
provvedimento impugnato, giacché in tale procedimento la
motivazione per relationem può svolgere una funzione integrativa,
inserendosi in un contesto che disattende i motivi di gravame con un
richiamo ad accertamenti e ad argomenti contenuti nel
provvedimento impugnato, ma non può costituire una sostanziale
vanificazione del mezzo di impugnazione attraverso un generale e
generico rinvio a quel provvedimento.
3. Ne consegue, tuttavia, che, da un lato, dovrebbe essere chiarito dal
ricorrente in che senso il richiamo al precedente apparato
argomentativo non abbia soddisfatto le sue deduzioni, dall’altro – e
con specifico riferimento alla fonte indiziaria – appare necessario
indicare specificamente per qual motivo il giudice del riesame abbia
errato, secondo il ricorso, nel condividere l’interpretazione fornita dal
GIP.
4. In realtà, se si sviluppa una più articolata riflessione sulla
motivazione per relationem,

non può non farsi riferimento alla

sentenza SS.UU. n. 17 del 2000, tic. Primavera e altri, RV 216664,
per la quale, com’è noto, detta motivazione è da considerare
legittima quando: a) faccia riferimento, recettizio o di semplice
rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti
congrua

rispetto all’esigenza

di

giustificazione

propria

del

provvedimento di destinazione; b) fornisca la dimostrazione che il
giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni
del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute
coerenti con la sua decisione; c) l’atto di riferimento, quando non

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2.

venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia
conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al
momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di
valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e,
conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o
dell’impugnazione.
5. Orbene, nel caso in esame, premesso che parte significativa della
motivazione esibita dal GIP è stata trascritta nel provvedimento del

evidente che il medesimo tribunale ha certamente preso cognizione
del contenuto e delle ragioni del provvedimento stesso, cui ha fatto
riferimento. Invero, l’autonoma valutazione delle emergenze
procedimentali da parte del collegio cautelare emerge dalla logica
concatenazione e dal consequenziale collegamento che esso ha
operato tra le stesse, con, sia pur sintetiche, riflessioni e
considerazioni inserite nella trama motivazionale dell’ordinanza
impugnata (v. Sez. 5, Sentenza n. 10432 del 2015, Cacciola).
6. In realtà, con il primo motivo di ricorso si contesta, sostanzialmente,
la valutazione di merito compiuta dai giudici di prime e seconde cure
con riferimento ai gravi indizi di colpevolezza, senza considerare che
alla Corte di cassazione è preclusa la rilettura di altri elementi di fatto
rispetto a quelli posti a fondamento della decisione impugnata e
l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti medesimi, ritenuti maggiormente plausibili o
dotati di una migliore capacità esplicativa, dovendosi essa limitare a
controllare se la motivazione dei giudici di merito sia intrinsecamente
razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito.
La denunzia di minime incongruenze argomentative o l’omessa
esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da
determinare una diversa decisione, ma che non siano
inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non
possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non
costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa
che riguardi singoli dati estrapolate dal contesto, ma solo l’esame del
complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia
contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la
decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini
della compattezza logica dell’impianto argomentativo della

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tribunale calabrese (soddisfacimento della premessa sub “c”), appare

motivazione (sezione 2, numero 9242 del 8 febbraio 2013, Reggio,
rv. 254.988). Nella specie, il ricorrente si limita a proporre una
lettura riduttiva degli elementi di fatto posti a base del
provvedimento di rigetto, valorizzando un generico deficit
dell’apparato motivazionale, che in realtà appare adeguato ai motivi
proposti nell’atto di impugnazione. Appare pertanto evidente che
queste doglianze introducono censure che non possono trovare
ingresso nel giudizio di legittimità. D’altronde, il dovere di

merito, attraverso la valutazione globale delle deduzioni delle parti e
delle risultanze processuali, non essendo necessaria l’analisi
approfondita e l’esame dettagliato delle predette ed è sufficiente che
si spieghino le ragioni che hanno determinato il convincimento,
dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual
caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni
difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 6, n. 20092
del 04/05/2011, Schowick); la motivazione è del tutto congrua se il
giudice abbia confutato gli argomenti che costituiscono l’
dello schema difensivo dell’imputato, e non una per una tutte le
deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera,
richiamare alcuni passaggi dell’iter argomentativo della decisione di
primo grado, quando appaia evidente che tali motivazioni
corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate
dalla parte (cfr. Sez. 6, n. 1307 del 26/09/2002, Delvai); il giudice di
merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le
deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le
risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una
valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo
logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che
ogni fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi considerare
implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata (Sez. 4, n. 26660 del 13/05/2011, Caruso, Rv.
250900).
7. Con il secondo motivo di ricorso si contesta la mancanza di
motivazione in ordine all’aggravante di cui all’articolo ljtM della
legge 203-1991, non essendo affatto scontato, secondo la difesa, che
l’Albano fosse deputato all’approvvigionamento delle armi in favore
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motivazione della sentenza è adempiuto, ad opera del giudice del

della cosca e che il possesso della pistola fosse finalizzato a favorire
gli interessi dell’intera consorteria. Anche questo secondo motivo di
ricorso è infondato; sulla sussistenza dell’aggravante in esame vi è
una motivazione specifica alle pagine 34 e 35 dell’ordinanza, laddove
si osserva che, in quanto partecipe della cosca, la messa a
disposizione di tutti i sodali delle armi da lui procacciate ingenerava
inevitabilmente un effetto di rafforzamento dell’attività della
consorteria, che vedeva accrescere la sua potenzialità criminale

dalla certa idoneità offensiva. Le circostanze, poi, sono oggetto di
ulteriore approfondimento alle pagine 58, 59 e 65, ove si affronta
anche la questione relativa ai gravi indizi di colpevolezza, per cui non
si può affatto sostenere, come fa il ricorrente, la generica,
insufficiente e contraddittoria motivazione sulla sussistenza della
aggravante di cui all’articolo 7 della legge 203-1991.
8. In conseguenza di quanto esposto, il ricorso deve ritenersi
complessivamente infondato e deve quindi essere rigettato; al rigetto
del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali (Sez. U., n. 44895 del 17.07.2014, Pinna).
9. La cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’articolo 94,
comma 1 ter, delle disposizioni di attuazione cod. proc. pen..

p.q.m.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94,
comma 1 ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura
penale.
Così deciso il 6/05/2015

attraverso l’utilizzo di un numero rilevante di armi di diversa natura e

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