Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25540 del 05/02/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 25540 Anno 2015
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: MICCOLI GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
HUANG XIULIANG N. IL 23/09/1957
HUANG JIANYONG N. IL 08/08/1982
avverso il decreto n. 83/2013 CORTE APPELLO di ROMA, del
04/02/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GRAZIA MICCOLI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 05/02/2015

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Piero GAETA, ha concluso chiedendo la
declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto del 4 febbraio 2014 la Corte d’Appello di Roma, confermando il decreto emesso
dal Tribunale di Roma in data 17 giugno 2013, ha irrogato a HUANG XIULIANG la misura di
prevenzione della sorveglianza speciale nella misura di anni tre, con le conseguenti prescrizioni
e con il versamento di cauzione, ordinando altresì la confisca dei beni mobili registrati, denaro
contante, gioielli, tra cui un immobile intestato al terzo HUANG JIANYONG, sito in Roma alla

2. Ha proposto ricorso HUANG XIULIANG, deducendo violazione di legge in relazione agli artt.
4, 1 e 6 del D.Igs n. 159 del 2011.
Illegittimamente la Corte territoriale avrebbe ritenuto sussistente ed attuale la pericolosità
sociale basando la prognosi su condanne “risalenti agli anni 2000 – 2010 e ad un procedimento

penale il cui giudizio risulta ancora in corso”. Tali elementi, secondo il ricorrente, non
sarebbero idonei a fondare e a giustificare correttamente né la pericolosità né l’attualità della
stessa.
Con altro motivo, è stata dedotta la violazione degli artt. 18 e 24 del D.Igs n. 159 del 2011.
Sostiene il ricorrente che per i fatti antecedenti al 2011 la confisca di prevenzione, essendo
regolata dalla legge n. 575 del 1965, risultava applicabile solo ai soggetti a “pericolosità
qualificata”, perché indiziati di appartenenza ad una associazione a delinquere di stampo
mafioso, categoria alla quale lui non appartiene. Di conseguenza vi sarebbe stata un’indebita
applicazione retroattiva della normativa, previo disconoscimento -anch’esso illegittimo- della
natura sanzionatoria della confisca di prevenzione.
3. Ha proposto ricorso anche il terzo interessato HUANG JIANYONG, con atto sottoscritto da
difensore.
4. Con atto depositato in data 31 luglio 2014 il Procuratore Generale della Corte di Cassazione
ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso del terzo interessato HUANG JIANYONG è inammissibile.
Invero il difensore che ha sottoscritto il ricorso non risulta munito di rituale procura speciale.
Si rinviene solo un atto di nomina dell’avv. Emiliano Vignola e contestuale procura speciale del
14 febbraio 2013, rilasciato per “intervenire e costituirsi” nel procedimento n. 18/2013 M.P.
pendente dinanzi al Tribunale di Roma. In tale atto non è manifestata la volontà
dell’interessato di rilasciare procura speciale anche per i successivi gradi di giudizio e, in
particolare, per quanto di interesse in questa sede, per la proposizione del ricorso in
cassazione.
Giova a tal proposito evidenziare che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, è
inammissibile il ricorso per cassazione proposto, avverso il decreto che dispone la misura di
prevenzione della confisca, dal difensore del terzo interessato non munito di procura speciale,
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via Principe Eugenio n. 51.

ex art. 100, cod. proc. pen.; né, in tal caso, può trovare applicazione la disposizione di cui
all’art. 182, comma secondo, cod. proc. civ., per la regolarizzazione del difetto di
rappresentanza (Sez. U, n. 47239 del 30/10/2014 – dep. 17/11/2014, Borrelli e altro, Rv.
260894).

2. Va rigettato il ricorso di HUANG XIULIANG.
2.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Ritiene questo Collegio che il provvedimento impugnato evidenzia correttamente i presupposti
in base ai quali è stato formulato il giudizio di pericolosità sociale del H UANG XIULIANG.

prevenzione (…) non viene ritenuto “colpevole” o “non colpevole” circa la realizzazione di un
fatto specifico, ma viene ritenuto “pericoloso” o “non pericoloso” in rapporto al suo precedente
agire (per come ricostruito attraverso le diverse fonti di conoscenza) elevato ad “indice
rivelatore” della possibilità di compiere future condotte perturbataci dell’ordine sociale
costituzionale o dell’ordine economico e ciò in rapporto all’esistenza di precise disposizioni di
legge che “qualificano” le categorie di pericolosità. È evidente pertanto che anche nel
procedimento di prevenzione, una volta introdotti gli elementi fattuali che caratterizzano il
percorso di vita del soggetto ed una volta assicurato lo sviluppo del contraddittorio su tali
elementi il giudice ben può ritenere – senza alcuna violazione dei diritti difensivi – che la
“categoria normativa” di pericolosità in cui inquadrare il soggetto sia diversa da quella
originariamente ipotizzata, proprio facendo applicazione del generale principio cui è sottesa la
formulazione dell’art. 521 cod. proc. pen., comma 1. Dunque alcuna disparità di trattamento è
dato rinvenire tra il soggetto “giudicabile” nel processo penale e il soggetto “proposto” per
l’applicazione della misura di prevenzione lì dove vi sia corretta applicazione della regola di
autonomia del giudice nell’inquadramento giuridico delle condotte introdotte nel
procedimento>> (così condivisibilmente in motivazione, Sez. 1, n. 32032 del 10/06/2013 -, De
Angelis, Rv. 256450). Quindi, gli elementi sintomatici della pericolosità possono trarsi anche
da una specifica vicenda processuale, il cui esito giudiziale non è connotato dalla definitività,
purché essi siano idonei ad evidenziare un percorso logico in ordine alla prognosi di future
condotte “perturbatrici dell’ordine sociale”.
Nel caso in esame risulta correttamente fondata la prognosi di pericolosità in conseguenza sia
del coinvolgimento del ricorrente in una serie di vicende giudiziarie, che si sono articolate
nell’arco temporale di oltre un decennio e concluse con affermazioni di responsabilità, sia
dell’attuale pendenza a carico dello stesso ricorrente di un procedimento per fatti analoghi a
quelli per cui ha subito le condanne.
Senza alcun fondamento, quindi, è anche la censura mossa dal ricorrente in ordine alla
mancanza di attualità della pericolosità. Come si è appena evidenziato, oltre alle condanne già
riportate, il ricorrente risulta attualmente sottoposto ad altro procedimento penale per gli
stessi reati che hanno caratterizzato la sua pregressa condotta di vita.
2.2. Infondato è pure il secondo motivo di ricorso.
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Così come già affermato da questa Corte, «il soggetto coinvolto in un procedimento di

..

Sostiene il ricorrente che per i fatti antecedenti al 2011 la confisca di prevenzione, essendo
regolata dalla legge n. 575 del 1965, risultava applicabile solo ai soggetti a “pericolosità
qualificata”, perché indiziati di appartenenza ad una associazione a delinquere di stampo
mafioso, categoria alla quale lui non appartiene. Di conseguenza vi sarebbe stata un’indebita
applicazione retroattiva della normativa, previo disconoscimento -anch’esso illegittimo- della
natura sanzionatoria della confisca di prevenzione.
Per confutare tale assunto è sufficiente evidenziare che, con recente pronunzia, le Sezioni
Unite di questa Corte hanno definitivamente chiarito che le misure di prevenzione patrimoniali

legge n. 55 del 1990 per effetto del D.L. n. 92 del 2008, conv. con modif. dalla legge n. 125
del 2008, nei confronti dei cosiddetti “pericolosi generici” (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014 dep. 02/02/2015, Spinelli ed altro, Rv. 262603).
Nella motivazione di tale sentenza si precisa quanto segue: «..Sempre nella logica
dell’individuazione – nel complesso sviluppo della normativa di settore – della norma da
applicare in concreto, va affrontato in limine il quesito della riferibilità soggettiva, ossia
dell’applicabilità della confisca di prevenzione a soggetti portatori di pericolosità generica,
come le odierne ricorrenti; interrogativo da intendersi ricompreso in quello più ampio
dell’applicabilità retroattiva delle menzionate novelle.
E’ appena il caso di osservare, in proposito, che la questione si pone in riferimento al regime
previgente, stante la rilevata inapplicabilità al caso di specie della nuova disciplina del c.d.
codice antimafia.
Il detto quesito assume rilievo pregiudiziale, essendo evidente che un’eventuale risposta
negativa renderebbe superfluo ed irrilevante l’approfondimento teorico della problematica di
fondo oggi all’attenzione delle Sezioni Unite.
Orbene, l’art. 19 legge n. 152 del 1975 ha esteso, per quanto si è detto, l’area di applicabilità
delle previsioni della legge n. 575 del 1965, anche alle persone indicate nell’art. 1, numeri 2),
3) e 4) della legge n. 1423 del 1956, dunque anche ai pericolosi comuni.
La norma anzidetta è stata, poi, modificata dall’art. 13 della legge n. 327 del 1988 nel senso
che il richiamo è stato ristretto ai numeri 1 e 2 dell’art. 1 della legge n. 1423 del 1956.
L’art. 14 legge n. 55 del 1990, muovendosi evidentemente nell’identica direzione, ossia della
limitazione della sfera di applicabilità, ha poi sancito che quelle stesse disposizioni avrebbero
potuto applicarsi, tra gli altri, ai soli soggetti indicati nel numero 2 del primo comma dell’art. 1
della legge n. 1423 del 1956, (e cioè a «coloro che sono abitualmente e notoriamente dediti a
traffici illeciti»), a condizione che l’attività delittuosa, ritenuta fonte dei proventi da confiscare,
fosse quella relativa ai reati specificamente indicati.
L’art. 11-ter del d.l. n. 92 del 2008 ha espressamente abrogato il detto art. 14 legge n. 55 del
1990.
A fronte di tale ultima disposizione si è posto il quesito se l’abrogazione dell’art. 14 abbia
comportato la riespansione dell’area applicativa delle misure di prevenzione patrimoniale ai
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della confisca e del sequestro sono applicabili, in ragione dell’abrogazione dell’art. 14 della

pericolosi comuni o, piuttosto, l’esclusione della relativa applicabilità, elidendo, in tal guisa,
l’anzidetta categoria soggettiva dalla platea dei potenziali destinatari della prevenzione
patrimoniale, come sostenuto da una parte della dottrina, richiamata dalle odierni ricorrenti.
Ad avviso del Collegio non può dubitarsi che, nella vicenda normativa in questione, il dato
letterale – che segnala, per l’effetto abrogativo dell’art. 11-ter d.l. n. 92 del 2008, l’espunzione
del pregresso limite – deponga, inequivocamente, per il ripristino dell’originario ambito
applicativo.
Non è, del resto, sostenibile la tesi – pure adombrata dalle stesse ricorrenti – secondo cui,

estranee le misure di prevenzione patrimoniale, introdotte solo con legge n. 646 del 1982, la
dinamica dei richiami normativi dovrebbe restare circoscritta alle sole misure di prevenzione
personale.
Ed invero, l’evoluzione normativa che, per quanto si è detto, ha comportato la progressiva
estensione alla categoria dei soggetti di cui all’art. 1 della legge n. 1423 del 1956 di entrambe
le misure, personali e patrimoniali; la tendenziale congiunta applicazione delle stesse; la
sostituzione degli artt. 2-bis e 2-ter della legge n. 575 del 1965, ad opera, rispettivamente,
degli artt. 1 e 2 della stessa legge n. 55 del 1990, con la specifica previsione del sequestro e
della confisca; l’introduzione e l’espresso richiamo, nell’art. 14 legge n. 55 del 1990, alle
misure di prevenzione di carattere patrimoniale sono tutte circostanze sintomatiche che
inducono a ritenere che l’abrogazione del detto art. 14 abbia comportato la reviviscenza del
precedente regime, ossia la piena applicazione delle misure di prevenzione patrimoniale ai
pericolosi comuni, senza limitazione di sorta.
Merita, pertanto, di essere ribadita l’interpretazione sostenuta da Sez. 5, n. 26044 del
08/06/2011, Autuori, Rv 250923 e Sez. 1, n. 8510 del 05/02/2009, Guarnieri, Rv. 244399,
secondo cui «in tema di misure di prevenzione patrimoniali, l’abrogazione della norma
derogatoria di cui all’art. 14 legge. n. 55 del 1990, disposta dall’art. 11-ter d.l. n. 92 del 2008,
conv. dalla legge n. 125 del 2008, ha determinato la riespansione dell’area di operatività
dell’art. 19, comma primo, legge n. 152 del 1975, e, per l’effetto, l’estensione delle disposizioni
della legge n. 575 del 1965 (cosiddetta pericolosità qualificata) alle persone indicate nell’art. 1,
nn. 1 e 2, legge n. 1423 del 1956 (cosiddetta pericolosità generica), che siano dedite a traffici
delittuosi o che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose, senza
che rilevi l’elencazione anelastica e restrittiva degli specifici reati indicati dalla disposizione
abrogata».
Stante l’indubbio rapporto di specialità esistente tra la norma derogatoria di cui all’art. 14
legge n. 55 del 1990 e la normativa generale di cui alla legge n. 152 del 1975, l’abrogazione
della lex specialis successiva fa rivivere, nella sua pienezza, l’operatività della norma generale,
che non era stata abrogata o modificata.
Sul carattere generale della legge n. 152 del 1975 e sulla conseguente equiparazione, ai fini
delle misure di prevenzione patrimoniali, tra soggetti pericolosi in quanto indiziati di
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inserendosi l’art. 19 della legge n. 152 del 1975 in un panorama normativo al quale erano

appartenenza ad associazioni mafiose e soggetti pericolosi in quanto ritenuti abitualmente
dediti ad attività delittuose da cui traggano i mezzi di vita, previsti dall’art. 1 legge n. 1423 del
1956 la giurisprudenza di legittimità, maturata prima dell’entrata in vigore della legge n. 55 del
1990, non aveva mai dubitato (tra le altre, Sez. 1, n. 3253 del 11/12/1989, dep 1990,
Marcellino, Rv. 183046).
Più di recente, Sez. 1, n. 6000 del 04/02/2009, Ausilio, Rv. 243364, nel ribadire siffatta
lettura, ne ha pure saggiato la persistente praticabilità a fronte dell’entrata in vigore del d.l. n.

voluntas legís, la novella non ha inteso incidere sull’applicabilità delle misure di prevenzione
patrimoniale del sequestro e della confisca pure a soggetti ritenuti socialmente pericolosi in
quanto abitualmente dediti a traffici delittuosi o che vivano abitualmente, anche in parte, con i
proventi di attività delittuose.
L’interpretazione della sentenza Ausilio è stata confermata da Sez. U, n. 13426 del
25/03/2010, Cagnazzo, Rv. 246272, che ha affermato il principio di diritto secondo cui «il
rinvio enunciato dall’art. 19, comma primo, della legge n. 152 del 1975 (disposizioni a tutela
dell’ordine pubblico) non ha carattere materiale o recettizio, ma è di ordine formale nel senso
che, in difetto di un’espressa esclusione o limitazione, deve ritenersi esteso a tutte le norme
successivamente interpolate nell’atto-fonte, in sostituzione, modificazione od integrazione di
quelle originarie; ne consegue che, accanto alle misure di prevenzione personali, pure quelle
patrimoniali del sequestro e della confisca possono essere applicate nei confronti di soggetti
ritenuti socialmente pericolosi perché abitualmente dediti a traffici delittuosi, o perché vivono
abitualmente – anche solo in parte – con i proventi di attività delittuose, a prescindere dalla
tipologia dei reati in riferimento (c.d. pericolosità generica)».
Il carattere formale – e, dunque, “mobile”, e non meramente recettizio – del rinvio operato
dalla legge del 1975 alle disposizioni antimafia porta a ritenere applicabili alla categoria dei
pericolosi generici non solo le misure di prevenzione personale, ma anche quelle di contenuto
patrimoniale.
Non può, d’altronde, sfuggire la ratio di siffatta estensione, al di là delle peculiarità e delle non coincidenti – funzioni delle due procedure di prevenzione.
Ed infatti, è certamente comune ad entrambe – come osservato in premessa – l’obiettivo di
rimuovere dal circuito economico legale i beni riconducibili, direttamente od indirettamente, a
soggetti ritenuti socialmente pericolosi, relativamente ai quali è lecito presumerne l’illecita
provenienza. Finalità questa che si giustifica non solo per ragioni etiche, ma anche per
motivazioni d’ordine economico in quanto l’accumulo di ricchezza, frutto di attività delittuosa, è
fenomeno tale da inquinare le ordinarie dinamiche concorrenziali del libero mercato, creando
anomale posizioni di dominio e di potentato economico, in pregiudizio delle attività lecite.
A tale comune obiettivo il sistema di prevenzione patrimoniale, in danno di soggetti portatori di
pericolosità qualificata, assomma la specifica finalità strategica – frutto di maggiore
sensibilizzazione della coscienza sociale alla gravità del fenomeno mafioso – di incisivo
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92 del 2008, conv. dalla legge n. 125 del 2008, assumendo che, avuto anche riguardo alla

contrasto alla criminalità organizzata, da colpire nel cuore dei suoi interessi, verosimilmente
intesi, in via primaria, allo spasmodico accumulo di ricchezza, in forme variegate.
Chiamato a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1 della legge n. 152
del 1975, il Giudice delle leggi, nel risolvere affermativamente il quesito della compatibilità, ha
da tempo riconosciuto che lo scopo di impedire l’eventuale ingresso nel mercato del denaro
ricavato dall’esercizio di attività delittuose o di traffici illeciti rendeva non irragionevole la scelta
del legislatore di estendere le misure antimafia ad alcune delle categorie di persone

(Corte cost., ord. n. 675 del 1988).
Il dato conclusivo è che, al di là di estemporanee limitazioni dell’ambito di applicazione, non è
mai venuta meno la possibilità di estendere a soggetti ritenuti affetti da pericolosità generica le
misure previste per i soggetti portatori di pericolosità qualificata (estensione oggi consacrata
dal menzionato art. 16 d.lgs n. 159 del 2011)».
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso di HUANG JLANYONG, che condanna al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 a favore della Cassa delle Ammende.
Rigetta il ricorso di HUANG XIULIANG, che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2015
iglie estensore

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socialmente pericolose, quali quelle individuate dalla legge n. 1423 del 1956, art. 1, nn. 1 e 2

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