Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25529 del 18/05/2015

Penale Sent. Sez. 5 Num. 25529 Anno 2015
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
A.A.

avverso la sentenza emessa il 18/12/2012 dal Tribunale di Perugia

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Sante Spinaci, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della
sentenza impugnata, per intervenuta prescrizione del reato in rubrica;
udito per la ricorrente l’Avv. Marco Baldassarri, il quale ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata, in
subordine associandosi alle conclusioni del P.g.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 18/05/2015

Il difensore di A.A. ricorre avverso la pronuncia indicata in
epigrafe, recante la parziale riforma (solo in punto di entità del trattamento
sanzionatorio) della sentenza emessa dal Giudice di pace di Perugia, in data
11/06/2010, nei confronti della sua assistita. La A.A., avvocato del foro
perugino, risulta essere stata condannata a pena pecuniaria ritenuta di giustizia
per il delitto di ingiuria, in ipotesi commesso in danno di F.F.,
funzionario in servizio presso il locale Tribunale (sezione distaccata di Gubbio);
secondo la ricostruzione accusatoria, l’Avv. A.A. avrebbe inviato una

lamentando che il suddetto cancelliere aveva negligentemente ritardato
l’emissione di un mandato di pagamento cui l’imputata era interessata,_ ed alle
sollecitazioni telefoniche ricevute a quel fine aveva replicato con la frase “che
seccatura, lo farò quando avrò tempo”. Le sollecitazioni in questione
provenivano sia dalla A.A. che da un suo collega di studio (l’Avv. Alessio
Radicioni, a sua volta firmatario della missiva in rubrica e coimputato nel
medesimo processo, il quale non risulta avere impugnato la sentenza di appello,
emessa anche nei suoi riguardi).
Come già ritenuto all’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale ha inteso
escludere che i due legali avessero affermato il vero nel corpo della lettera sopra
riò-ordata; atteso che:
la F.F., rendendo dichiarazioni certamente attendibili e connotate da
assoluta linearità, aveva smentito di aver parlato di “seccatura” o di aver
comunque utilizzato un tono inurbano, essendosi limitata a rappresentare
di non avere ancora potuto curare l’incombente per ripetuti impegni di
udienza, aggiungendo che vi avrebbe provveduto non appena possibile;
la credibilità della parte civile trovava conferma nel rilievo che ella aveva
ricostruito i fatti ammettendo in sostanza un ritardo nell’evasione della
pratica (sia pure da considerare fisiologico in virtù degli impegni di ufficio
dai quali era gravata);
gli imputati non si erano limitati ad esprimere una critica su un presunto
disservizio, ma (rivelando piena consapevolezza dei risvolti negativi del
comportamento addebitato, visto che avevano indirizzato il loro scritto
anche al superiore gerarchico della persona offesa) avevano descritto la
F.F. come un pubblico impiegato che, in violazione dei doveri inerenti il
rapporto con l’utenza, «manifesta il fastidio sia in ordine al dovere “in sé”
di procedere agli adempimenti richiesti e comunque spettantigli, sia nei
confronti della persona che ne sollecita l’effettuazione».
Con l’odierno ricorso, la difesa lamenta:

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missiva a più destinatari – tra cui la F.F., poi costituitasi parte civile –

1. contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza
impugnata
Diversamente da quanto evidenziato dal primo giudice, il Tribunale
avrebbe comunque riconosciuto che la F.F. aveva ritardato
l’adempimento di cancelleria, giungendo così alla conclusione che le
doglianze di cui alla missiva indicata in rubrica risultavano giustificate. A
fronte di tale elemento, il giudizio di credibilità espresso nei confronti del
narrato della persona offesa sarebbe fondato su elementi inconsistenti,

a seguito delle ammissioni della F.F.: quest’ultima, dunque, non
avrebbe potuto negarefevidenza, ed al contempo – negando dLessersi
espressa con le controparti in termini di “seccatura” – aveva inteso
assumere un «ovvio atteggiamento difensivo sia sul piano sostanziale
della condotta, sia su quello processuale».
Meriterebbe poi censura l’osservazione del giudicante secondo cui gli
imputati non avrebbero offerto elementi contrastanti rispetto alla
ricostruzione della F.F., non sottoponendosi ad esame: da un lato, la
scelta di chiedere o comunque rendere il proprio esame non può
comportare alcuna conseguenza pregiudizievole per l’imputato, né dalla
stessa possono ricavarsi elementi di valutazione, dall’altro, la versione
della A.A. era quella indicata nella missiva contestata, ed una sua
deposizione non avrebbe aggiunto alcunché ai dati ivi contenuti
2.

vizio di motivazione della sentenza impugnata e travisamento della prova
I giudici di merito non avrebbero considerato che la F.F., nella sua
deposizione, aveva comunque riferito che, dinanzi alle insistenze di chi le
sollecitava telefonicamente di dare corso alla liquidazione del mandato,
aveva chiuso la comunicazione (in particolare, interloquendo con l’Avv.
Radicioni) dicendo che lo stesso fatto di trattenersi al telefono le rendeva
impossibile curare gli adempimenti di ufficio, ivi compreso quello cui il
legale era interessato.

Secondo il difensore della ricorrente, tale frase

disvela un atteggiamento di insofferenza, addirittura di grado più elevato
rispetto a quella che – attraverso il riferimento alla “seccatura” – era
stato descritto dai due avvocati nella missiva di cui ai capo d’imputazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Deve prendersi atto dell’intervenuta prescrizione del reato contestato
all’imputata, maturata il 18/01/2013, tenendo conto del tempus commissi delicti

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dal momento che il ritardo de quo era rilevabile su base oggettiva, e non

e della circostanza che risultano cause di sospensione dei relativi termini ex artt.
157 e segg. cod. pen., per complessivi 56 giorni; nel contempo, non è possibile
ritenere che il ricorso oggi in esame – da esaminare comunque agli effetti civili,
ai sensi dell’art. 578 del codice di rito, e per quanto fondato su argomentazioni
non condivisibili – sia inammissibile per manifesta infondatezza o per altra
causa.
Va premesso che nella missiva indicata in rubrica, del 23/05/2005, gli Avv.ti
A.A. e B.B. segnalavano che il decreto di liquidazione dei compensi

mese di gennaio, e pertanto già di per sé suscettibile di riscossione”;
_ —.aggiungevano quindi che “a tutt’oggi, .però, la Cancelleria preposta all’emissione
dell’ordinativo di pagamento non ha ancora provveduto all’adempimento
suddetto nei confronti della scrivente professionista, situazione di per sé già
grave in considerazione della circostanza che sono trascorsi oltre due mesi
dall’emessa fattura e che è stata addirittura pagata l’imposta sul valore
aggiunto”. In proposito, tuttavia, già la sentenza di primo grado aveva chiarito
che vi era stata la necessità, da parte dell’Avv. A.A., di emettere una nuova
fattura, stante l’irregolarità della prima: tale esigenza era stata rappresentata
all’imputata dalla stessa F.F., tramite un vice-procuratore onorario (la Dott.ssa
N.N., escussa sul punto durante l’istruttoria dibattimentale) che
aveva ritirato presso la Cancelleria la fattura da rinnovare, recapitandola alla
ricorrente.
Il Giudice di pace aveva sottolineato quel particolare, ricavandone elementi
di conferma agli assunti della parte civile: la F.F., infatti, aveva sostenuto di
avere avuto sempre riguardo ed attenzione nei confronti delle controparti,
atteggiamento che sconfessava l’ipotesi che ella avesse dato sfogo ad
intemperanze verbali. Ancora in punto di ricostruzione in fatto, nella sentenza
di primo grado si afferma che «tra il momento in cui la F.F. ricevette la fattura
corretta e l’emissione del mandato trascorsero circa due settimane; il mandato
fu emesso il 18/05/2005 e fu riscosso il successivo 21/05/2005».
Il Tribunale di Perugia, pur evidenziando che la seconda fattura era datata
21/03/2005, per sottolinearne l’anteriorità di circa due mesi rispetto a quando
l’incombente di cancelleria era stato definitivamente adempiuto, ribadisce la
scansione cronologica quanto all’emissione ed alla riscossione del titolo.
La ricostruzione appena delineata, non contestata dalla ricorrente, induce a
confermare la portata offensiva della condotta in rubrica, considerando che
venne stigmatizzato il presunto riferimento alla “seccatura” lamentata dal
funzionario di cancelleria – espressione che secondo i giudici di merito non
venne pronunciata dalla parte civile – con una lettera che si colloca in data

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professionali in favore dell’odierna ricorrente “era già divenuto esecutivo nel

posteriore rispetto alla riscossione del mandato di pagamento: lettera nella quale
si sosteneva invece che il disservizio era (“a tutt’oggi”) ancora perdurante.
Nel contesto appena descritto, la valutazione di attendibilità riservata sia dal
Giudice di pace che dal Tribunale nei confronti della F.F. risponde a criteri di
logica e ragionevolezza, pur non potendosi ricavare elementi di valutazione dal
fatto che l’Avv. A.A.- omettendo di sottoporsi ad un eventuale esame non aveva fornito ulteriori illustrazioni sulla frase attribuita alla parte civile. Né
può convenirsi con la difesa della ricorrente circa la maggiore gravità, in ipotesi,

che, trattenendosi al telefono con lui, non le sarebbe stato possibile lavorare)
-.rispetto a quello che gLim.putati le avevano addebitato: manifestare insofferenza
verso un utente, dicendogli che una sua richiesta di evadere un adempimento di
ufficio costituisce una seccatura, è certamente indice di scorrettezza e inurbanità
superiori che non reclamare la necessità, una volta chiarite le ragioni del
mancato compimento di un atto, di disporre del tempo utile per provvedervi.
Si impongono pertanto le determinazioni di cui al dispositivo.

P. Q. M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, agli effetti penali, perché il reato è
per prescrizione.
Rigetta il ricorso agli effetti civili.

Così deciso il 18/05/2015.

del comportamento che la F.F.ammise (l’avere rappresentato all’Avv. R.R.

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