Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25524 del 18/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 25524 Anno 2015
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
De Carlo Antonello, nato a Gallipoli il 10/01/1980

avverso la sentenza emessa il 19/06/2013 dal Tribunale di Lecce

visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Sante Spinaci, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della
sentenza impugnata, per intervenuta prescrizione del reato in rubrica;
udito per il ricorrente l’Avv. Cinzia Passero, la quale ha concluso associandosi alle
conclusioni del P.g.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 18/05/2015

Antonello De Carlo ricorre personalmente avverso la pronuncia indicata in
epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa nei suoi confronti dal
Giudice di pace di Casarano, in data 18/04/2012.
L’imputato risulta essere stato condannato a pena ritenuta di giustizia per il
delitto di minaccia, in ipotesi commesso in danno di Teodoro Vantaggiato,
costituitosi parte civile; nell’ambito di rapporti di vicinato, il De Carlo avrebbe
pronunciato all’indirizzo della persona offesa le frasi “la devi finire con questa
storia di farmi spostare sempre la mia autovettura, altrimenti tra qualche giorno

Con

l’odierno

ricorso,

l’imputato

lamenta

carenza,

illogicità

e

contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, osservando che il
Tribunale non avrebbe esaminato tutti i profili di doglianza esposti nei riguardi
della decisione di primo grado: in particolare, i giudici di merito risultano avere
fondato l’affermazione della penale responsabilità sulla base della sola
tegtimonianza del querelante, le cui dichiarazioni appaiono invece «quanto mai
vaghe, del tutto scarne di dettagli nella narrazione della minaccia subita, tanto
da non riportare esattamente le parole proferite dal De Carlo, cui genericamente
la parte offesa si riportava perché indicate nel capo d’imputazione». Sarebbe
perciò mancato il doveroso, attento scrutinio sulla credibilità della persona

offes-a; a Vortiori per effetto della costituzione di parte civile e della richiesta di
risarcimento del danno formalizzata in atti.
Il ricorrente deduce altresì erronea applicazione dell’art. 612 cod. pen., con
riguardo alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del reato. Il De Carlo
segnala che il rapporto di vicinato con il Vantaggiato non era mai stato connotato
da discussioni o problemi di sorta, per cui non vi era alcun motivo per ipotizzare
che la persona offesa avesse ricevuto un qualsivoglia turbamento dalle
espressioni indicate in rubrica, né poteva ritenersi che l’imputato avesse avuto
una cosciente volontà di intimidazione in pregiudizio della controparte. Nel
ricorso si legge infine che il giudice di secondo grado si sarebbe limitato a
ravvisare il dolo in capo al De Carlo sul solo rilievo «della consapevolezza che lo
stesso avrebbe avuto “della portata marcatamente intimidatoria dell’espressione
di spaccare il furgone, avvalendosi di uno strumento ad offendere, quale
un’accetta”»; in tal modo, la sentenza impugnata «ometteva di basare il proprio
convincimento sugli elementi del processo, non offrendo alcuna logica
giustificazione e prescindendo da dati certi per fondarsi semplicemente su un
giudizio ipotetico, del tutto scollato dal reale evolversi degli accadimenti».

CONSIDERATO IN DIRITTO

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te la faccio finire io… prendo un’accetta e ti spacco il furgone”.

1. Il ricorso deve qualificarsi inammissibile, per manifesta infondatezza e
genericità dei motivi di doglianza.
Innanzi tutto, è necessario ricordare che secondo la giurisprudenza delle
Sezioni Unite di questa Corte «le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod.
proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali
possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di
penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea

intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e
rigoroso rispetto a quello cui venganwsottoposte le dichiarazioni di qualsiasi
testimone» (Cass., Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv 253214); il
massimo organo di nomofilachia ha altresì precisato che – nel caso in cui la
persona offesa si sia costituita parte civile – può essere opportuno che le sue
dichiarazioni vengano riscontrate da altri elementi, senza dunque richiedere che
di riscontri ve ne siano indefettibilmente. La tesi del ricorrente, secondo cui
sarebbe sempre necessario vagliare le dichiarazioni della parte offesa
«compiendo un esame particolarmente rigoroso, anche attraverso una conferma
di altri elementi probatori», corrisponde perciò ad un indirizzo interpretativo
radicalmente superato.
Il De Carlo evita poi di confrontarsi con gli argomenti esposti dal giudice di
appello, in via di confutazione delle doglianze esposte nei motivi di gravame.
Quanto alla presunta incertezza dei ricordi del Vantaggiato, che si sarebbe
limitato a riferire di avere udito le frasi indicate nel capo d’imputazione senza
precisarle, il Tribunale ha già posto l’accento sulla circostanza che dinanzi al
Giudice di pace la verbalizzazione delle dichiarazioni della persona offesa fu
curata manualmente ed in forma riassuntiva: ergo, deve intendersi «evidente
che, per esigenze di celerità, non si sia proceduto a ripetere in maniera esplicita
l’espressione in questione, limitandosi a rinviare

per relationem

al capo

d’imputazione, e ciò del tutto legittimamente atteso che esso reca certamente
una congrua enunciazione del fatto di reato ascritto». Dalla verbalizzazione
anzidetta, non a caso, non emerge affatto che la parte civile venne compulsata
al fine di esporre più precisi ricordi su quanto dichiarato, il che rende
assolutamente ragionevole la ricostruzione offerta dal giudice dell’appello.
Le censure mosse dall’imputato, in definitiva, riproducono ragioni già
discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, e per costante
giurisprudenza di questa Corte il difetto di specificità del motivo – rilevante ai
sensi dell’art. 581, lett. c), cod. proc. pen. – va apprezzato non solo in termini di
indeterminatezza, ma anche «per la mancanza di correlazione tra le ragioni

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motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità

argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le
esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità che
conduce, a norma dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.,
all’inammissibilità dell’impugnazione» (Cass., Sez. II, n. 29108 del 15/07/2011,
Cannavacciuolo).
Ancor più evidente, infine, appare la genericità delle doglianze concernenti la
presunta mancanza di dolo in capo al De Carlo: da un lato, è di obiettiva

paventare la distruzione di un proprio veicolo a colpi di accetta (a nulla rilevando
_la-circostanza che L’autore della minaccia sia o meno solito a comportamenti del
genere); dall’altro, non si vede perché registrare la chiara portata intimidatoria
della frase appena ricordata significherebbe – come pretende il ricorrente, senza
spiegare in alcun modo le ragioni del proprio assunto – formulare giudizi ipotetici
o travisare la reale dinamica degli accadimenti.

2. Non è pertanto possibile aderire alle richieste del Procuratore generale
presso questa Corte, nonché della difesa, che hanno concluso per l’annullamento
senza rinvio della pronuncia, stante la maturata prescrizione del reato addebitato
al ricorrente.

La causa estintiva, in vero, risulta essersi perfezionata il

23/02/2014, dopo la pronuncia di secondo grado (non rilevandosi cause di
sospensione dei relativi termini); e, per consolidata giurisprudenza di questa
Corte, un ricorso per cassazione inammissibile, per manifesta infondatezza dei
motivi o per altra ragione, «non consente il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause
di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen.» (Cass., Sez. U, n. 32 del
22/11/2000, De Luca, Rv 217266, relativa appunto ad una fattispecie in cui la
prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata
con il ricorso; v. anche, negli stessi termini, Cass., Sez. IV, n. 18641 del
20/01/2004, Tricorni).

3. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna dell’imputato al
pagamento delle spese dei procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla
volontà del ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al
pagamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di € 1.000,00,
così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

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evidenza la prospettazione di un male ingiusto nei confronti di chi si senta

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 18/05/2015.

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