Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25519 del 18/05/2015


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 25519 Anno 2015
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: PALLA STEFANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ALTIERI PIETRO N. IL 10/06/1969
avverso la sentenza n. 8040/2009 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
05/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. STEFANO PALLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 2obje_
che ha concluso per -e’
-11•.0. -u A SruNDA- -C
ir■
t CA’
MA&

V

■ i:

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 18/05/2015

FATTO E DIRITTO
Alfieri Pietro ricorre avverso la sentenza 5.2.13 della Corte di appello di Napoli che ha confermato
quella in data 18.11.08 del locale tribunale con la quale è stato condannato, per i reati di concorso
(con l’Ispettore Capo Parisi Antonio, nelle more deceduto) in falso in atto pubblico ed in abuso
d’ufficio, unificati ex art.81 cpv. c.p., alla pena di anni tre di reclusione.

non avere il giudice di primo grado proceduto alla rinnovazione del dibattimento ex art.525 c.p.p. a
seguito del mutamento del Collegio giudicante intervenuto dopo l’apertura del dibattimento, con
conseguente nullità dell’intero dibattimento per essere mancata la fase di ammissione delle prove,
alla assunzione delle quali pertanto il tribunale aveva proceduto ex officio, in violazione delle regole
processuali.
Con il secondo motivo si lamenta carenza di motivazione per avere i giudici di secondo grado
operato un rinvio per relationem alla sentenza di primo grado nonostante nell’atto di appello si
fosse evidenziata la scarsa ed equivoca portata indiziaria degli elementi raccolti, essendosi fatta
discendere la responsabilità dell’Alfieri dalla presunzione assoluta di un interesse che egli avrebbe
avuto in qualità di legale rappresentante della società Com.Bea s.a.s., intestataria degli autocarri
contravvenzionati, senza considerare che l’interesse ad eludere il pagamento delle sanzioni
pecuniarie ed evitare l’applicazione di quelle accessorie poteva si riconoscersi in capo all’Altieri,
quale legale rappresentante nonché proprietario degli automezzi, ma anche in capo agli
autisti/conducenti (trasgressori), i quali ultimi avrebbero dovuto essere indagati ed esaminati
comunque ai sensi dell’art.210 c.p.p.
La motivazione — prosegue la difesa del ricorrente — era carente anche con riferimento alla
conoscenza personale tra Parisi Antonio e Altieri Pietro, come pure in ordine alla
compartecipazione criminosa di quest’ultimo, la cui condotta era penalmente irrilevante potendo al
più egli essere a conoscenza dei fatti, concordati e posti in essere dagli autisti in concorso con il
Parisi, mentre un ruolo di istigazione o promozione dell’Altieri avrebbe richiesto una concreta

Deduce il ricorrente, con il primo motivo, violazione dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e) c.p.p. per

motivazione in ordine al contributo fornito dal medesimo, del tutto inesistente, invece, anche sotto il
profilo dell’elemento soggettivo del dolo dell’ extraneus nel reato proprio.
Peraltro — assume ancora il ricorrente — la Corte di merito avrebbe dovuto attribuire ai fatti una
qualificazione unitaria riconoscendo l’assorbimento dell’abuso d’ufficio nel più grave reato di cui
all’art.479 c.p., atteso il carattere sussidiario e residuale del primo e l’esaurimento delle condotte

Con il terzo motivo si lamenta l’eccessività della pena a fronte di una , nonché il mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche e l’eccessività
dell’aumento di pena a titolo di continuazione, operato con motivazione del tutto apparente.
Osserva la Corte che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, sia perché meramente
reiterativo delle doglianze formulate con l’atto di appello e compiutamente disattese dai giudici di
secondo grado, sia perché manifestamente infondato.
Quanto al primo motivo, infatti, lo stesso ricorrente ha affermato che tutta l’attività di assunzione
delle prove è avvenuta da parte di uno stesso collegio giudicante, che ha provveduto poi alla
deliberazione a norma dell’art.525, comma 2, c.p.p. e pertanto, poiché il principio di immutabilità
del giudice riguarda l’effettivo svolgimento dell’attività dibattimentale, esso esige soltanto che a
decidere sia lo stesso giudice che ha presieduto all’istruttoria (Cass., sez.III, 25 settembre 2008, n.
42509; Sez.V, 12 gennaio 2012, n.1759), come è avvenuto nel caso di specie e di conseguenza —
come correttamente affermato dalla Corte partenopea —nessuna nullità della sentenza di primo grado
si è verificata per effetto del mutamento del Collegio che aveva provveduto alla costituzione delle
parti, alla dichiarazione di contumacia degli imputati e alla ammissione delle prove.
In ordine al secondo motivo, con motivazione del tutto congrua ed immune dai lamentati profili di
illegittimità, i giudici di appello hanno fondato l’affermazione di responsabilità dell’Altieri, legale
rappresentante della s.a.s. Com.Be.A., proprietaria degli autocarri contravvenzionati, per violazione
dell’art.180 c.d.s., dalla Polizia stradale di Caserta il 28.10. ed il 23.11.05, per essere risultata
anzitutto pacifica la circostanza che in entrambi i casi erano stati trasmessi dal posto di polizia di

nella mera attività falsificatoria.

S.Antimo, e precisamente dall’Ispettore Parisi Antonio, all’ufficio di P.S. di Caserta, verbali di
esibizione di documenti senza allegazione della copia integrale della carta di circolazione esibita e
senza alcuna doverosa contestazione dell’omessa revisione dei due automezzi in questione, mentre
da accertamenti sempre eseguiti da personale del Commissariato di Caserta era emersa — hanno
evidenziato ancora i giudici di merito — una evidente difformità tra le firme apposte dagli autisti in

esibizione dei documenti presso il posto di polizia di S.Antimo.
Inoltre, proprio gli stessi autisti — che non risulta abbiano mai assunto la veste di indagati e nei cui
confronti è pertanto inapplicabile la previsione normativa, in tema di esame, di cui all’art.210 c.p.p.hanno affermato di non essersi mai recati presso l’ufficio di Polizia di S.Antimo, disconoscendo le
firme in calce al verbale di esibizione documenti redatto presso il predetto ufficio e affermando di
aver consegnato copia della patente di guida al proprio datore di lavoro.
Oltre al contenuto altamente probante di tali risultanze processuali — hanno ancora rimarcato
giudici di appello – , il Parisi, in sede di convalida, ha ammesso di conoscere l’Alfieri e poiché su
quest’ultimo gravava comunque l’onere di pagare l’importo delle contravvenzioni contestate ai due
suoi dipendenti, quale titolare della società proprietaria dei due autocarri da questi ultimi condotti,
per aver circolato sprovvisti di documenti del veicolo, rimanendo esposto anche alla ben più grave
responsabilità derivante dall’utilizzo di autocarri non revisionati (con conseguente sequestro dei
relativi documenti e fermo dei due veicoli), del tutto logicamente i giudici napoletani hanno ritenuto
l’Altieri quale principale, se non unico, interessato al falso in atto pubblico di cui all’imputazione,
compiuto con la chiara complicità del defunto ispettore Parisi, e al collegato reato di cui all’art.323
c.p., che non può ritenersi assorbito nel primo, in quanto con lo stesso concorre formalmente perché
la condotta di abuso non si esaurisce in quella del delitto di cui all’art.479 c.p., né coincide con essa
(Cass., sez.V, 5 maggio 1999, n.7581), alla luce anche dei beni giuridici diversi che le due condotte
offendono, in quanto il reato di cui all’art.479 c.p. mira a garantire la genuinità degli atti pubblici e

calce ai rispettivi verbali di contravvenzione redatti su strada e quelle in calce ai verbali di

quello di cui all’art.323 c.p. tutela l’imparzialità ed il buon andamento della pubblica
amministrazione, sicchè tra gli stessi ben può sussistere il nesso teleologico.
In ordine, infine, al trattamento sanzionatorio, del tutto legittimamente sono state negate le
attenuanti generiche con l’invocato criterio della prevalenza, alla luce degli elementi di cui
all’art.133 c.p., avendo i giudici di merito ravvisato un dolo particolarmente intenso e una

congruità della pena complessivamente irrogata, in una unitaria valutazione della gravità dei fatti e
senza che il ricorrente abbia in questa sede prospettato al riguardo concreti elementi di segno
favorevole non considerati dai giudici di merito.
Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che reputasi equo determinare in
e 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Roma, 18 maggio 2015

pervicacia della condotta reiteratamente sviluppata in un ristretto arco temporale, con conseguente

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA