Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25480 del 12/03/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 25480 Anno 2015
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SEPPI TIZIANA N. IL 11/06/1968
avverso la sentenza n. 1/2013 GIUDICE DI PACE di VIPITENO, del
30/01/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/03/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIA VES SICHELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
797.4,tiau,)
che ha concluso per
rt ,(tait jutuuyy,54

1)).

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

7

Data Udienza: 12/03/2015

t

Fatto e diritto
Con atto depositato il 23 aprile 2014 , ha proposto ricorso per cassazione Seppi Tiziana
avverso la sentenza del Giudice di pace di Vipiteno, in data 13 gennaio 2014 , con la quale
essa è stata condannata alla pena pecuniaria ritenuta di giustizia in ordine alla contravvenzione

Deduce
1) l’inosservanza dell’articolo 689 c.p. e il vizio della motivazione.
Rileva il difensore impugnante che non vi è prova che la bevanda somministrata ai due
ragazzi infra -sedicenni fosse birra alcoolica e non invece una bevanda analcolica,
essendo stato accertato esclusivamente, dai Carabinieri operanti, che la marca della
birra in questione era “Corona”. Ed è fatto notorio che tale marca di birra viene prodotta
anche nella versione analcolica;
2) ancora, la violazione dell’articolo 689 cp.
È stato accertato che l’imputata aveva servito delle bevande soltanto per aiutare il
titolare del locale che era un suo amico ed era stato ugualmente deferito all’autorità
giudiziaria.
Al riguardo la giurisprudenza riconosce che può essere chiamato a rispondere della
contravvenzione, unitamente all’esercente del locale, anche il dipendente e soltanto se
abbia agito di sua esclusiva iniziativa (cita sentenza n. 27706 del 2011).
Nel caso di specie invece il titolare del locale somministrava le bevande alcoliche oppure
ne seguiva la somministrazione senza mai abdicare a tale qualità;
3) il vizio della motivazione in ordine alla consapevolezza dell’età minore dei giovani ai
quali fu somministrata la birra.
Il giudice non aveva adeguatamente valorizzato il fatto che i ràgazzi avevano un’età
prossima a quella consentita ed inoltre che, all’entrata del locale, si trovava un
dipendente del titolare che verificava l’età degli avventori.
Ne sarebbe dovuto discendere il riconoscimento che nessuna colpa, neppure lieve,
potesse essere ravvisata nella condotta dell’imputata.
Il ricorso è fondato .
Invero il primo motivo deve essere qualificato come manifestamente infondato.
Dalla motivazione della sentenza impugnata si evincono prove del fatto che nel locale visitato
dai Carabinieri il giorno dell’accertamento del reato, venivano somministrate bevande alcoliche
a soggetti minorenni i quali davano segno di alterazione anche significativa.
Appare pertanto tardiva e contrastante con l’accertamento di fatto del giudice del merito il
dubbio sollevato dalla difesa a proposito della natura delle bevande oggetto della condotta
illecita, non risultando da nessuno degli elementi acquisiti che nella occasione dei controlli di
P.G. fossero state somministrate birre analcoliche.
Devono invece ritenersi fondati e meritevoli di accoglimento gli ulteriori motivi di ricorso.
Effettivamente la giurisprudenza di questa Corte e segnatamente la sentenza n. 27706 del
2011 citata dal ricorrente riconosce la natura di reato proprio da ascriversi alla
contravvenzione contestata la quale può essere commessa dall’esercente del locale pubblico
ove si somministrino le bevande ovvero dai soggetti che possono risponderne a titolo di
1

di cui all’articolo 689 c.p.
L’imputata è stata ritenuta responsabile di avere, il 10 agosto 2011, nella qualità di dipendente
del locale pubblico Sternbach , somministrato a due minori degli anni sedici delle bevande
alcoliche (birre).

A

concorso col primo ai sensi dell’articolo 110 c.p. e, infine, anche dal dipendente che assuma di
fatto il ruolo e l’iniziativa dell’esercente.
Escluso che nel caso di specie ricorra la prima o la terza ipotesi, dal momento che risulta dalla
sentenza impugnata come l’imputata somministrasse le bevande in qualità di cameriera al
banco, in presenza del titolare del locale, la questione rilevante posta dalla difesa ricorrente è
solo quella del se la condotta dell’imputata debba o meno ritenersi di rilievo penale alla stregua
del disposto dell’art. 110 cp e cioè per avere, quella, concorso in modo consapevole, con la
iniziativa contestuale dell’esercente la birreria.
La norma sul concorso personale- che implica la configurazione dell’elemento soggettivo

concorrente, gli indici della consapevolezza e volontà relativi a tutte le componenti del reato
del quale è stata chiamata a rispondere: compresa quella della età dei giovani ai quali ha
somministrato la bevanda alcoolica, sia pure in esecuzione di disposizioni del gestore.
Ebbene, deve considerarsi al riguardo che, nella ricostruzione dell’atteggiamento psicologico
degli agenti ( la odierna ricorrente unitamente al titolare del locale, Leoni M.), il reato è stato
invece attribuito a titolo di colpa, perché nessuno degli imputati poteva dirsi incorso in errore
incolpevole a proposito della età dei giovani infrasedicenni.
Infatti non era risultato realizzato alcun serio controllo sulla loro età ed in particolare il teste
della difesa Halitaj aveva detto di avere solo occasionalmente controllato i documenti dei
giovani avventori ma anche tale sporadico controllo non era stato verificato dagli agenti
operanti.
Questo atteggiamento dichiaratamente considerato dai giudici come “colposo” (v.pag. 4) e in
quanto tale compatibile, in linea di principio, con la natura contravvenzionale del reato
contestato, non si concilia tuttavia ed anzi è in contrasto con la materiale contestazione della
condotta, alla ricorrente, a titolo di concorso ex art. 110 cp con l’esercente: con una
contestazione cioè che potrebbe dirsi verificata, come già anticipato, solo se fosse rimasto
provato che la imputata, chiamata a rispondere come dipendente che agiva sotto le direttive
del titolare e alla presenza di costui, si è determinata in virtù di una condotta di cosciente e
volontaria condivisione del comportamento di rilievo penale dell’esercente ,in tutte le sue
frazioni.
Ma una simile conclusione è proprio quella esclusa, sul piano fattuale, dai giudici del merito.
La insuperabilità del contrasto rilevato e la impossibilità di apprezzare la compatibilità della
ipotesi — fatto, comunque, diverso- di una ipotetica cooperazione colposa della ricorrente, con
la contravvenzione constatata, avente
pur sempre natura di reato “proprio”,
impone
l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per non avere commesso il fatto.
Così deciso in Roma il 12 marzo 2015

n

Il P es . dente

il Cons. est.

GIV\C1./

doloso- nella specie espressamente evocata nel capo di imputazione, impone infatti la specifica
disamina della possibilità ( o meno) di individuare, nel comportamento della prevenuta

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