Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25460 del 03/07/2014


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Penale Sent. Sez. 7 Num. 25460 Anno 2015
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: VITELLI CASELLA LUCA

ha pronunciato la seguente

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(

sul ricorso proposto da:
STELLA GIANLUCA N. IL 06/12/1989
avverso la sentenza n. 3352/2013 GIP TRIBUNALE di LECCE, del
13/11/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA VITELLI
CASELLA;

Data Udienza: 03/07/2014

n.183 ricorrente STELLA Gianluca

Motivi della decisione

L’ imputato in epigrafe propone,a mezzo del difensore, ricorso per
cassazione avverso la sentenza emessa nei suoi confronti il 13 novembre 2013
dal Tribunale di LECCE ex art. 444 cod. proc. pen. in quanto responsabile del

309/1990, commesso in Lecce il 10 aprile 2013, con applicazione della pena
concordata con il P.M. di UN anno, mesi SEI di reclusione ed euro 3.000,00 di
multa concessa la speciale attenuante prevista dall’art. 73, comma V° d.P.R. n.
309/1990. (pena base: 2 anni,mesi 2 di reclusione ed euro 4.500,00 di
multa,esclusa la recidiva contestata, poi diminuita per la scelta del rito )
Denunzia il ricorrente vizi motivazionali in ordine al mancato proscioglimento.
La censura è manifestamente infondata.
Questa Corte ha ripetutamente affermato il principio secondo il quale la
motivazione della sentenza di patteggiamento non può non essere conformata
alla particolare natura giuridica della stessa: lo sviluppo delle linee
argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con
cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti
nell’imputazione. Né l’imputato può avere interesse a lamentare una siffatta
motivazione censurandola come insufficiente e sollecitandone una più analitica,
dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la volontà
pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come
questa Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato. Il Giudice a quo si è strettamente attenuto a siffatto
insegnamento motivando l’insussistenza dei presupposti applicativi dell’art. 129
codice di rito,sul rilievo del contenuto dei verbali di arresto, perquisizione e
sequestro nonché degli esiti della consulenza tecnica disposta dal P.M. sulle
sostanze stupefacenti in sequestro.
Deve invece rilevarsi d’ufficio

ex art. 609, comma 2° codice di rito

la

sopravvenuta illegalità del trattamento sanzionatorio applicato, in ragione della
entrata in vigore di nuove disposizioni di legge modificative dell’art. 73, comma
V° d.P.R. n. 309/1990.
Giova rammentare che all’epoca del commesso reato: 10 aprile 2013, l’art. 73,
comma V° del d.P.R. n.309/1990 prevedeva un’ attenuante ad effetto

delitto previsto dagli artt. 99, comma 4 0 cod. pen., 73 commi 1 e 1-bis d.P.R. n.

speciale,con pena della reclusione compresa tra UNO e SEI anni congiunta a
pena della multa compresa tra 3.000 e 26.000 euro; ciò a prescindere dalla
tipologia della sostanza stupefacente.
L’art.2 del decreto legge 23 dicembre 2013 n.146 convertito, con modificazioni,
dall’art. 1 comma

10 della legge 21 febbraio 2014 n. 10 ha sostituto

integralmente, con effetto dal 24 dicembre 2013, il testo dell’art. 73 comma V°
d.P.R. n. 309/1990,ridisegnando peraltro una fattispecie autonoma di reato.

che reca l’inequivoca clausola di riserva o di sussidiarietà:
costituisca più grave reato…”

“Salvo che il fatto

di guisa da delineare una condotta materiale

dotata di specifica ed autonoma rilevanza, relativamente agli estremi oggettivi
del reato integrati dalla condotta di “chiunque commette uno dei fatti previsti
dal presente articolo ” qualificabili in termini di “lieve entità” per mezzi, modalità
o circostanze dell’azione, qualità, quantità delle sostanze. Il delitto risultava
punito con le pene della reclusione da UNO a CINQUE anni e della multa da
euro 3.000 a 26.000,ferma restando l’esclusione di ogni differenziazione in
rapporto alla natura “pesante” o” leggera” delle sostanze stupefacenti.
In seguito, per effetto del decreto legge 20 marzo 2014 n.36 ( in vigore dal 21
marzo 2014) convertito nella legge 16 maggio 2014 n. 79 – art. 1, l’art.73
comma V° d.P.R. n. 309/1990 ha subito ulteriori modifiche in relazione al
trattamento sanzionatorio. Riconfermata la qualificazione del fatto come reato
autonomo e ferma l’irrilevanza della diversa tipologia della sostanza
stupefacente, il reato risulta anche attualmente punito con la pena della
reclusione compresa tra SEI mesi e QUATTRO anni e con quella della multa da
euro 1.032 ad euro 10.329.
Ciò detto il novum jus superveniens rispetto all’assetto normativo in vigore
all’epoca del commesso reato per cui è processo,deve essere valutato nell’ambito
di un organico giudizio comparativo volto ad individuare la disposizione più
favorevole al reo ex art. 2 comma 4 0 cod. pen. Ritiene il Collegio di individuare,
in tale ottica, la disposizione più favorevole all’imputato nel novum normativo
introdotto dall’art. 1 del decreto legge 20 marzo 2014 n.36 ( in vigore dal 21
marzo 2014) convertito nella legge 16 maggio 2014 n. 79 – art. 1, con cui non
solo si sono sensibilmente ridotte le pene di genere detentivo e pecuniario
previste dall’art.73 comma V° d.P.R. n. 309/1990,sia nel minimo che nel
massimo edittali rispetto alla formulazione in vigore all’epoca del fatto, ma
soprattutto si è confermata la qualificazione delle condotte ” di lieve entità ” in
termini di fattispecie autonoma di reato, come già stabilito dall’art.2 del decreto
legge 23 dicembre 2013 n.146 convertito, con modificazioni, dall’art. 1 comma
10 della legge 21 febbraio 2014 n. 10.

2

Tanto manifestamente emergeva dalla nuova formulazione letterale della norma

Non resta quindi che far luogo all’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata (che ha recepito un accordo sulla pena in base *Ala normativa
anteriore, la cui forbice edittale delle pene di entrambi i generi si rivelava assai
meno favorevole rispetto a quella attualmente in vigore ) al fine di consentire al
giudice a quo l’eventuale applicazione dell’jus superveniens.
Gli atti vanno quindi rimessi a detto giudice per il nuovo giudizio.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio e dispone trasmettersi gli atti al
Tribunale di Lecce.
Così deciso in Ronna,lì 3 luglio 2014.

PQM

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