Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25456 del 03/07/2014


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Penale Sent. Sez. 7 Num. 25456 Anno 2015
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: VITELLI CASELLA LUCA

ofterAgna
sul ricorso proposto da:
SALONE FRANCESCO N. IL 19/05/1965
avverso la sentenza n. 2128/2013 TRIBUNALE di RAVENNA, del
20/11/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA VITELLI
CASELLA;

Data Udienza: 03/07/2014

n.174 ricorrente SALONE Francesco

Motivi della decisione

L’ imputato in epigrafe propone personalmente ricorso per cassazione
avverso la sentenza emessa nei suoi confronti il 20 novembre 2013 dal
Tribunale di Ravenna in composizione monocratica, ex art. 444 cod. proc. pen. in

309/1990 (detenzione a fini di spaccio di gr.2,10 di sostanza stupefacente tipo
cocaina – capo A) nonché degli ulteriori reati di cui all’ art. 4 della legge n.110
del 1975 ( capo B ) e di cui agli artt. 612,61 n.10 cod. pen. (capo C): fatti
commessi tutti il Ravenna-Lido di Classe il 12 novembre 2013, con applicazione
della pena concordata con il P.M. di mesi DIECI di reclusione ed euro 3.000,00 di
multa (pena base per il più grave reato sub A: 1 anno di reclusione e 3.000,00
euro di multa ) concessa la speciale attenuante prevista dall’art. 73, comma V°
d.P.R. n. 309/1990 e ritenuta la continuazione.
Denunzia il ricorrente vizi motivazionali in ordine alla mancata applicazione
dell’art.129 cod. proc.pen.
La censura è manifestamente infondata. Come questa Corte ha ripetutamente
affermato (cfr. ex plurimis

S.U. 27 settembre 1995, Serafino), l’obbligo della

motivazione della sentenza di applicazione concordata della pena va conformato
alla particolare natura della medesima e deve ritenersi adempiuto qualora il
giudice dia atto, ancorché succintamente, di aver proceduto alla delibazione degli
elementi positivi richiesti (la sussistenza dell’accordo delle parti, la corretta
qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione di eventuali circostanze ed il
giudizio di bilanciamento, la congruità della pena, la concedibilità della
sospensione condizionale della pena ove la efficacia della richiesta sia ad essa
subordinata) e di quelli negativi (che non debba essere pronunciata sentenza di
proscioglimento a norma dell’art. 129 cod.proc.pen.).
Non è consentito, dunque, all’imputato, dopo l’intervenuto e ratificato accordo,
proporre questioni in ordine alla mancata applicazione dell’art. 129 cod.proc.pen.
senza precisare per quali specifiche ragioni detta disposizione avrebbe dovuto
essere applicata nel momento del giudizio. Nella concreta fattispecie il Primo
Giudice ha peraltro dato atto della ricorrenza dei presupposti escludenti una
pronunzia di proscioglimento, atteso il contenuto dei verbali di arresto, di
perquisizione, di sequestro, della comunicazione di reato ed attese le
dichiarazioni rese spontaneamente dallo stesso imputato.
Deve invece rilevarsi d’ufficio

ex art. 609, comma 2° codice di rito

la

sopravvenuta illegalità del trattamento sanzionatorio applicato, in ragione della

i

quanto ritenuto responsabile del delitto previsto dall’art. 73 comma 1 d.P.R. n.

entrata in vigore di nuove disposizioni di legge modificative dell’art. 73, comma
V° d.P.R. n. 309/1990.
Giova rammentare che all’epoca del commesso reato: 12 novembre 2013, l’art.
73, comma V° del d.P.R. n.309/1990 prevedeva un’attenuante ad effetto
speciale,con pena della reclusione compresa tra UNO e SEI anni congiunta a
pena della multa compresa tra 3.000 e 26.000 euro; ciò a prescindere dalla
tipologia della sostanza stupefacente.

dall’art. 1 comma

10 della legge 21 febbraio 2014 n. 10 ha sostituto

integralmente, con effetto dal 24 dicembre 2013, il testo dell’art. 73 comma V°
d.P.R. n. 309/1990,ridisegnando peraltro una fattispecie autonoma di reato.
Tanto manifestamente emergeva dalla nuova formulazione letterale della norma
che reca l’inequivoca clausola di riserva o di sussidiarietà:
costituisca più grave reato…”

“Salvo che il fatto

di guisa da delineare una condotta materiale

dotata di specifica ed autonoma rilevanza, relativamente agli estremi oggettivi
del reato integrati dalla condotta di “chiunque commette uno dei fatti previsti
dal presente articolo ” qualificabili in termini di “lieve entità” per mezzi, modalità
o circostanze dell’azione, qualità, quantità delle sostanze. Il delitto risultava
punito con le pene della reclusione da UNO a CINQUE anni e della multa da
euro 3.000 a 26.000,ferma restando l’esclusione di ogni differenziazione in
rapporto alla natura “pesante” o ” leggera” delle sostanze stupefacenti.
In seguito, per effetto del decreto legge 20 marzo 2014 n.36 ( in vigore dal 21
marzo 2014) convertito nella legge 16 maggio 2014 n. 79 – art. 1, l’art.73
comma V° d.P.R. n. 309/1990 ha subito ulteriori modifiche in relazione al
trattamento sanzionatorio. Riconfermata la qualificazione del fatto come reato
autonomo e ferma l’irrilevanza della diversa tipologia della sostanza
stupefacente, il reato risulta anche attualmente punito con la pena della
reclusione compresa tra SEI mesi e QUATTRO anni e con quella della multa da
euro 1.032 ad euro 10.329.
Ciò detto il novum jus superveniens, rispetto all’assetto normativo in vigore
all’epoca del commesso reato per cui è processo,ritenuto più grave agli effetti
della continuazione,deve essere valutato nell’ambito di un organico giudizio
comparativo volto ad individuare la disposizione più favorevole al reo ex art. 2
comma 4 0 cod. pen. Ritiene il Collegio di individuare, in tale ottica, la
disposizione più favorevole all’imputato nel novum normativo introdotto dall’art.
1 del decreto legge 20 marzo 2014 n.36 ( in vigore dal 21 marzo 2014)
convertito nella legge 16 maggio 2014 n. 79 – art. 1, con cui non solo si sono
sensibilmente ridotte le pene di genere detentivo e pecuniario previste dall’art.73
comma V° d.P.R. n. 309/1990,sia nel minimo che nel massimo edittali rispetto

2

L’art.2 del decreto legge 23 dicembre 2013 n.146 convertito, con modificazioni,

alla formulazione in vigore all’epoca del fatto, ma soprattutto si è confermata la
qualificazione delle condotte ” di lieve entità ” in termini di fattispecie autonoma
di reato, come già stabilito dall’art.2 del decreto legge 23 dicembre 2013 n.146
convertito, con modificazioni, dall’art. 1 comma 1° della legge 21 febbraio 2014
n. 10.
Non resta quindi che far luogo all’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata (che ha recepito un accordo sulla pena in base ciiblla normativa

meno favorevole rispetto a quella attualmente in vigore ) al fine di consentire al
giudice a quo l’eventuale applicazione dellyus superveniens.
Gli atti vanno quindi rimessi a detto giudice per il nuovo giudizio.

PQM

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio e dispone trasmettersi gli atti al
Tribunale di Ravenna.
Così deciso in Roma,lì 3 luglio 2014.

anteriore, la cui forbice edittale delle pene di entrambi i generi si rivela assai

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