Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25445 del 02/05/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 25445 Anno 2013
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: DI STEFANO PIERLUIGI

SENTENZA

N. 39477/2012

sul ricorso proposto da:
MESSINA GIUSEPPE n. 17/11/1968
ALESSI CALOGERO n. 20/3/1949
PARISI CALOGERO n. 23/8/1967
MONTANA SETTIMI° n. 3/1/1939
POSANTE SALVATORE n. 20/4/1943
avverso la sentenza n. 3029/2009 del 25/10/2011 della CORTE DI
APPELLO DI PALERMO
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERLUIGI DI STEFANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ALFREDO MONTAGNA che
ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Udito il difensore avv. LUIGI CONIGLIO difensore di Messina e in
sostituzione dell’avv. SALVATORE RE difensore di Alessi nonché in sostituzione
dell’avv. VINCENZO CAPONNETTO difensore di Parisi che ha chiesto
l’accoglimento dei ricorsi.
Udito il difensore avv. ANTONINO GRAZIANO difensore di Montana che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Messina Giuseppe, Alessi Calogero, Parisi Calogero, Montana Settimi°,
Posante Salvatore sono stati condannati dalla Corte di Appello di Palermo con
sentenza del 24 novembre 2009 – depositata il 23 dicembre 2010 – in parziale

Data Udienza: 02/05/2013

accoglimento dell’appello del pubblico ministero avverso la sentenza di
assoluzione del Tribunale di Agrigento del 15 luglio 2005/9 gennaio 2006.
L’accusa iniziale a carico dei ricorrenti ed altre persone era di aver costituito
una associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti di
peculato, falso e concussione nell’ambito delle attività di distribuzione di derrate
alimentari provenienti dall’Unione Europea, destinate a persone indigenti ed
affidate per la distribuzione alla Croce Rossa Italiana, sezione di Agrigento.
Oltre al reato associativo erano stati contestati:
appropriazioni di confezioni di alimenti da parte di svariati soggetti in concorso
con il responsabile locale della Croce Rossa per la distribuzione delle derrate,
Messina Giuseppe;
– al solo Messina numerosi reati di falso per aver alterato i cedolini di
consegna delle derrate alimentari in modo da occultare la distribuzione irregolare
di parte di tali derrate;
– vari fatti di concussione per aver il Messina ed altri soggetti operanti per
la Croce Rossa richiesto ad istituti di assistenza destinatari degli alimenti la quota
annuale di lire 50.000 per la consegna della merce.
In totale erano contestati 100 reati.
Secondo l’accusa i fatti risultavano accertati In quanto, disposto un controllo
da parte della polizia giudiziaria sulle modalità di consegna delle derrate
alimentari destinate dalla U.E. agli indigenti, nel periodo dal giugno ad ottobre
del 2000, sulla scorta di appostamenti e intercettazioni, si scopriva che, in
occasione dello scarico delle merci, parte di queste venivano ritirate da soggetti
non aventi diritto. Tali circostanze erano confermate dall’esito di varie
perquisizioni che consentivano di ritrovare nelle case di alcuni degli imputati
singole confezioni di alimenti provenienti dalla fornitura U.E..
Il Tribunale, all’esito di una ampia istruttoria, riteneva completamente
Infondata la tesi di accusa.
Con ampia motivazione ricostruiva la modalità dl gestione delle derrate
alimentari; queste erano state distribuite sul territorio italiano tramite la Croce
Rossa Italiana che, con riferimento al caso particolare di Agrigento, effettuava
attività di pubblicizzazione dell’iniziativa e raccolta di informazioni per individuare
i soggetti aventi diritto, procedendo poi alla distribuzione.
Il Tribunale, quanto ai fatti di peculato, innanzitutto confermava la natura di
ente pubblico non economico della Croce Rossa Italiana con riferimento alle sue
attività in generale ed al particolare compito alla stessa affidato di distribuzione
dei citati prodotti.

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– varie decine di singoli fatti di peculato in riferimento a singole

Dava poi atto che, dalle testimonianze acquisite, risultava che, mentre in
anni precedenti l’attività di distribuzione di derrate alimentari era stata gestita
con volontari dell’ente, venuti meno tali soggetti, il socio Messina Giuseppe, cui
era stato affidato l’incarico di gestire la distribuzione, aveva ritenuto di operare
con l’aiuto di persone varie reperite direttamente e di utilizzare, a garanzia della
corretta gestione, un sistema di documentazione della distribuzione delle
derrate, sistema che lui stesso organizzava.
Dei vari soggetti che lo coadiuvavano, alcuni curavano lo scarico,

autoarticolati che venivano scaricati presso il locale campo sportivo mentre altri
si interessavano dell’attività di documentazione e contabilizzazione.
Il Tribunale valutava analiticamente i singoli fatti contestati quali peculato,
rilevando come i soggetti ritenuti singolarmente responsabili delle appropriazioni

In concorso con il Messina avevano partecipato in modo volontario alla attività in
questione, senza rivestire qualifiche nell’ambito della Croce Rossa, ed avevano
prelevato personalmente alimenti che, nei vari casi, erano stati individuati in
qualche busta di latte, qualche pacco di riso, pacchi di biscotti, etc., confezioni di
formaggio, generalmente in piccolo numero e scarso controvalore monetario;
solo in alcuni casi la merce descritta dalla polizia giudiziaria quale oggetto di
appropriazione era in maggiori quantità.
In alcuni casi, secondo quanto osservato dalla polizia giudiziaria dalla visione
delle registrazioni delle operazioni di facchinaggio, alcuni soggetti avevano
caricato sulle proprie autovetture una quantità abbastanza rilevante di merce
come desumevano dall’abbassamento del lato posteriore della vettura, indice di
maggior peso sugli ammortizzatori.
Il Tribunale, quindi, considerava le ragioni per le quali non era configurabile
il reato di peculato. Pur trattandosi di beni in disponibilità di un ente pubblico,
sulla scorta delle informazioni ottenute dal comitato centrale della Croce Rossa
Italiana sulle modalità di gestione delle derrate alimentari, si apprendeva che la
distribuzione non era effettuata in base a regole specifiche ed inderogabili ma in
base a ragionevoli prassi operative, sia per individuare i casi di indigenza che per
le modalità di gestione del materiale. Se, quindi, di norma le attività in tutte le
sedi italiane andavano svolte con personale interno, comunque nei casi in cui
non vi fosse tale personale disponibile si faceva ricorso a soggetti esterni
ricompensati in qualche modo.
Nel caso di Agrigento, in assenza di fondi per pagare il personale, si
utilizzava una comune e ragionevole prassi in uso da parte della Croce Rossa
internazionale anche in altre aree del mondo: si utilizzava una parte delle derrate
alimentari quale ricompensa per i collaboratori.
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l’immagazzinamento e la distribuzione degli alimenti che giungevano con

Quanto alla documentazione utilizzata per gestire le attività di distribuzione,
dalle informazioni fornite dal responsabile la Croce Rossa nazionale risultava
come tale documentazione non sempre veniva utilizzata, anche in relazione ai
soggetti cui le derrate venivano distribuite, non sempre in grado di sottoscrivere
I buoni dl consegna .
Peraltro il Tribunale rilevava come emergesse con chiarezza dalle
dichiarazioni dei responsabili della Croce Rossa che era del tutto normale
l’individuazione di soggetti indigenti sulla base di criteri sostanziali ed intuitu
ovvia prassi comune che gli stessi responsabili dell’ente ritiravano derrate
alimentari sul luogo dello scarico per consegnarle direttamente agli aventi diritto
(persone con difficoltà di mobilità etc), essendo questa la banale spiegazione di
alcuni dei casi in cui alla p.g. era sembrato che il materiale prelevato
“Irregolarmente” fosse in quantità maggiore rispetto agli altri casi di presunta
indebita appropriazione.
Del resto, proprio nel caso particolare di Agrigento, la Amministrazione
comunale non era in grado di fornire liste complete ed affidabili degli indigenti,
ragione in più per cui, in occasione della distribuzione degli alimenti, alcuni dei
soggetti formalmente inseriti tra gli aventi diritto non sembravano avere
l’apparenza dell’indigenza.
Il Tribunale procedeva comunque ad un’attenta analisi dei singoli casi e delle

singole persone ritenute responsabili del reati, trovando sempre conferma del
corretto utilizzo delle citate prassi operative.
La conclusione del giudice di primo grado era innanzitutto la assoluta
irrilevanza penale delle distribuzioni di derrate in quantità congrua ai soggetti
che venivano così retribuiti per aver partecipato allo scarico e movimentazione
verso i magazzini delle derrate alimentari. Peraltro, osservava il Tribunale,
risultava anche come larga parte di costoro fossero soggetti sostanzialmente
indigenti, tanto da accettare intere giornate di attività di facchinaggio per
qualche pacco di riso, pasta e latte, equivalente di poche decine di migliaia di
lire, in ciò risolvendosi la maggior parte delle contestazioni.
Quanto ai casi in cui erano stati visti anche volontari “interni” della Croce
Rossa caricare sulle autovetture derrate alimentari, la agevole spiegazione già
Indicata non era contraddetta da alcun elemento concreto: talora, quali volontari,
avevano una delega formale al ritiro delle derrate per conto degli aventi diritto
(enti dl assistenza etc) ed altre volte loro stessi si recavano, a titolo di cortesia, a
consegnare il materiale a chi non era in grado di recarsi personalmente, sia per
la mancanza di mezzi di trasporto che per le condizioni di salute e di età.

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personae, anche se i loro nominativi non comparivano in liste formali; inoltre era

Del resto, osservava il Tribunale, proprio la assoluta esiguità delle presunte
appropriazioni ponevano le vicende certamente al di fuori di qualsiasi ipotesi di
accaparramento di merci; dato non smentito dalle poche ipotesi in cui la polizia
giudiziaria aveva dato atto del “sospetto abbassamento” delle autovetture
ritenute cariche. Si trattava, palesemente, di congetture indimostrate ed
indimostrabili, potendo anche banalmente dipendere dalla vetustà dei veicoli..
In alcuni casi, addirittura, i soggetti cui era contestata l’appropriazione
erano presenti nelle liste degli aventi diritto.
Quanto ai reati di falso, il Tribunale osservava come certamente il sistema
utilizzato dal Messina non era finalizzato ad occultare presunte appropriazioni;
proprio il Messina aveva voluto introdurre la prassi dei cedolini di consegna per il
controllo diretto sulla distribuzione. Per il Tribunale era osservazione ovvia e
banale che certamente Messina non poteva aver introdotto un sistema
facoltativo di documentazione per poi doverlo falsare per occultare le
appropriazioni.
Anzi, secondo le prove

acquisite nel processo, il Messina

aveva

costantemente operato in modo efficace, senza alcun ausilio di direttive degli
organi superiori dell’ente che non prestavano particolare attenzione alle modalità
di gestione delle attività, non dando mai ragione di rilievi in sede di controlli
periodici da parte del comitato centrale della Croce Rossa Italiana e dell’Aima.
Ma, anche a volere ritenere il contrario, nessun elemento poteva attribuire al
Messina la responsabilità per l’alterazione dei buoni di consegna in quanto, dalle
prove raccolte ed analiticamente richiamate nel corpo della motivazione,
risultava come il Messina non fosse presente in occasione delle presunte
falsificazioni che, quindi, certamente non potevano essere attribuite a lui.
Sul presupposto di quanto sopra il Tribunale rilevava anche la assoluta
inconsistenza delle ipotesi di peculato d’uso delle autovetture della Croce Rossa,
utilizzate correttamente ai fini istituzionali.
Quanto ai presunti casi di concussione, il Tribunale rilevava che era
sufficiente fare riferimento alle dichiarazioni rese in dibattimento da tutti i
soggetti in teoria vittime di concussione per appurare come non vi fossero affatto
state pressioni perché gli stessi versassero la usuale quota di lire 50.000 a titolo
di offerta volontaria per la gestione delle attività della Croce Rossa locale.
Risultava anche che, secondo le disposizioni di Messina, le offerte, per quanto
modeste, andavano richieste soltanto a parrocchie ed istituti religiosi e
l’utilizzazione “istituzionale” delle offerte volontarie era dimostrata dal fatto che
in questo modo era stato acquistato il computer utilizzato per gestire l’attività di
distribuzione delle derrate.
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Quindi in nessun caso risultavano commesse condotte di peculato.

Anche tali ipotesi di accusa erano, insomma, assolutamente inconsistenti.
Avverso tale sentenza, il pubblico ministero proponeva appello sul quale la
Corte di Appello di Palermo decideva con la sentenza già citata, accogliendo
parzialmente l’impugnazione
La Corte, confermando gli argomenti del primo giudice quanto al ruolo della
Croce Rossa Italiana, con due pagine di motivazione specifica
– dichiarava Messina Giuseppe responsabile dei peculati di cui ai capi 33,
38, 41, 49, 50 e 68 ritenendo fondate le osservazioni del pubblico ministero;
Settimi°, Parlagreco Francesca, Parlagreco Maria e Russo Carmelo responsabili
delle condotte di peculato loro singolarmente ascritte ritenendo sufficiente la
circostanza che costoro non avessero diritto, quali indigenti, alle derrate
alimentari;
– dichiarava Parisi Calogero, sergente del corpo militare della Croce Rossa,
responsabile del peculato in quanto veniva notato nelle videoriprese caricare in
auto confezioni di alimenti.
Per il resto l’appello veniva rigettato.
Dei predetti condannati dalla Corte di Appello Messina Giuseppe, Alessi
Calogero, Parisi Calogero, Montana Settimi°, Posante Salvatore hanno
presentato ricorso per cassazione.
Messina Giuseppe:

propone ricorso a mezzo del proprio difensore

deducendo con il primo motivo la violazione di legge per essere stato
erroneamente ritenuto ammissibile l’ appello del pubblico ministero pur a fronte
di motivi estremamente generici. Con secondo motivo deduce la violazione di
legge per la sostanziale assenza di motivazione non avendo la Corte dedotto
alcun argomento in contrasto con le motivazioni della sentenza di primo grado.
Con terzo motivo deduce il vizio di motivazione per la assoluta contraddittorietà
della motivazione che per alcuni casi di peculato accoglie l’appello nei confronti
del ricorrente e lo rigetta nei confronti dei presunti correi ed in altri casi lo
accoglie nei confronti dei presunti corre’ e lo rigetta nei confronti del Messina,
senza dare alcuna spiegazione di tale incomprensibile differente trattamento.
Alessi Calogero: a mezzo del proprio difensore contesta la motivazione
deducendo la carenza assoluta di motivazione.
Parisi Calogero: a mezzo del proprio difensore con il primo motivo deduce la
violazione di legge sostanziale in quanto i fatti accertati non corrispondono alla
condotta contestata non avendo la Corte tratto le adeguate conclusioni dalla
comprovata circostanza che il ricorrente non avevo affatto partecipato allo
scarico delle merci. Risultava invece come il ricorrente avesse prelevato derrate
alimentari per conto del proprio genitore, fatto attestato dal documento di
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– dichiarava Alessi Calogero , Nobile Francesco, Posante Salvatore, Montana

consegna, in orario diverso da quello di apertura al pubblico del centro di
distribuzione. Con secondo motivo deduce la mancanza ovvero la manifesta
illogicità della motivazione.

Montana Settimio: propone ricorso a mezzo del proprio difensore deducendo
con primo motivo la totale mancanza e comunque la manifesta illogicità della
motivazione non essendo stato tenuto conto dell’assoluta mancanza di

un suo

ruolo nell’ambito della Croce Rossa, essendosi limitato ad operazioni materiali ed
occasionali; comunque rileva che non è stata data una adeguata motivazione

ordine alla determinazione della pena.

Posante Salvatore:

propone ricorso a mezzo del proprio difensore

deducendo la violazione della legge penale sostanziale e processuale nonché la
carenza ed illogicità della motivazione non risultando adeguate ad esporre
eventuali elementi dimostrativi della sua responsabilità le sette righe dedicate
alla valutazione della sua posizione.
Con secondo motivo deduce la violazione di legge per essere stata applicata
la misura della interdizione dai pubblici uffici non ricorrendo i presupposti di
legge.
RITENUTO IN DIRITTO
È fondato il primo motivo del ricorso di Messina Salvatore in ordine alla
evidente inammissibilità dell’appello del pubblico ministero, restando assorbiti gli
altri motivi di tutti i ricorsi.
Al fini del giudizio di appello il requisito della specificità dei motivi va
valutato tenendo conto del tipo di impugnazione, anche nel merito, per cui,
soprattutto per il profilo delle ragioni in diritto, non è richiesto uno sviluppo
particolarmente analitico degli argomenti a sostegno dell’impugnazione. Ma, nel
caso di specie, va considerato che si è in presenza di una sentenza di primo
grado ampia e ben argomentata che, in modo formalmente e sostanzialmente
esaustivo, ricostruiva ogni profilo della vicenda non limitandosi ad escludere la
fondatezza delle accuse per la scarsità del materiale probatorio. I primi giudici
rilevavano come vi fossero macroscopici errori di interpretazione delle condotte
osservate, giungendo alla ragionata conclusione che si era di fronte ad una totale
inconsistenza delle ipotesi di accusa, basata su elementi probatori assolutamente
generici interpretati in modo erroneo in conseguenza del mancato
approfondimento delle effettive modalità di gestione della distribuzione degli
alimenti da parte della Croce Rossa.
A fronte di tutto ciò l’appello:
1)quanto ai fatti di peculato si limita ad elencare il materiale probatorio
affermandone la portata dimostrativa delle accuse senza affatto considerare che
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della sua responsabilità. Con secondo motivo deduce il vizio di motivazione in

la generica affermazione sulla portata probatoria delle prove del PM è
esattamente quanto era stato ampiamente confutato dalla sentenza impugnata;
alle argomentazioni della sentenza non si fa praticamente alcun riferimento,
laddove i motivi andavano svolti proprio confrontandosi con il contenuto del
provvedimento impugnato. In particolare, quanto al ruolo fondamentale della
accertata “prassi” nella distribuzione degli alimenti quale corrispettivo, a fronte
delle argomentate considerazioni del Tribunale, nell’atto di appello l’ufficio
impugnante si limitava a osservare che un proprio testimone sosteneva che la
testimoniale e comunque la palese confusione tra “errore amministrativo” e dolo
di peculato rappresenta l’ unica e osservazione sul tema centrale, per cui è
evidente che la motivazione del Tribunale sia stata contrastata solo
apparentemente, in termini assai generici e di stile.
2) Quanto gli altri reati, il pubblico ministero proponeva argomentazioni non
meno generiche ma si tratta di fatti per i quali è comunque intervenuta
assoluzione definitiva. Si deve comunque osservare che non erano argomenti
utilizzabili per riconoscere un generale carattere di ammissibilità dell’atto di
impugnazione.
Ricorre quindi un caso tipico di genericità dei motivi, ovvero l’ipotesi in cui vi
è solo una generica prospettazione di inadeguata valutazione delle prove senza
alcuna indicazione di quali siano gli specifici errori nella valutazione delle prove
acquisite.
La sentenza impugnata deve essere quindi annullata senza rinvio attesa la
inammissibilità originaria dell’atto di appello del pubblico ministero, inidoneo ad
introdurre un nuovo grado di giudizio.
P.Q.M.
Ritenuta l’inammissibilità dell’appello del PM annulla senza rinvio la sentenza
impugnata.
Roma così deciso il 2 maggio 2013
Il C

e estensore

prassi era un “errore amministrativo”. L’uso dl valutazioni personali quale prova

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