Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25438 del 03/07/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 25438 Anno 2015
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: VITELLI CASELLA LUCA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
COFFA ANNARITA N. IL 07/08/1980
avverso la sentenza n. 516/2013 TRIBUNALE di LECCE, del
02/04/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA VITELLI
CASELLA;

Data Udienza: 03/07/2014

n.75 ricorrente COFFA Annarita

Motivi della decisione

L’imputata ricorre per cassazione,

a mezzo del difensore, avverso la

sentenza in epigrafe di applicazione concordata della pena, in quanto ritenuta
responsabile del delitto di cui agli artt.110, 624, 625 nn. 2 e 7 cod.pen,

il vizio di difetto di motivazione in punto all’omessa applicazione dell’art. 129
cod. proc. pen..
Il ricorso è inammissibile, ex art. 606, comma 3, cod.proc.pen., perché proposto
per motivi manifestamente infondati e privi del requisito della specificità.
Come questa Corte ha ripetutamente affermato (cfr.

ex plurimis

S.U. 27

settembre 1995, Serafino), l’obbligo della motivazione della sentenza di
applicazione concordata della pena va conformato alla particolare natura della
medesima e deve ritenersi adempiuto qualora il giudice dia atto, ancorché
succintamente, di aver proceduto alla delibazione degli elementi positivi richiesti
(la sussistenza dell’accordo delle parti, la corretta qualificazione giuridica del
fatto, l’applicazione di eventuali circostanze ed il giudizio di bilanciamento, la
congruità della pena, la concedibilità della sospensione condizionale della pena
ove la efficacia della richiesta sia ad essa subordinata) e di quelli negativi (che
non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell’art. 129
cod.proc.pen.). Non è consentito, dunque, all’imputato, dopo l’intervenuto e
ratificato accordo, proporre questioni in ordine alla mancata applicazione dell’art.
129 cod.proc.pen. senza precisare per quali specifiche ragioni detta disposizione
avrebbe dovuto essere applicata nel momento del giudizio.
Nella caso di specie, il Primo Giudice ha peraltro espressamente motivato
l’insussistenza dei presupposti legittimanti l’applicazione dell’art. 129 cod.
proc.pen.,facendo diretto richiamo alle risultanze degli atti contenuti nel fascicolo
del P.M. ed in particolare alla denunzia sporta dal direttore del centro
commerciale ed al verbale di sommarie informazioni rese dall’addetto alla
vigilanza dello stesso centro.
Segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 1.500,00 a
titolo di sanzione pecuniaria,in favore della cassa delle ammende, trattandosi di
causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, della
ricorrente stessa (cfr. Corte Costituzionale sent. n. 186 del 7 – 13 giugno
2000).
PQM

i

commesso in Surbo il 6 marzo 2012. Lamenta, in termini generici ed assertivi,

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di euro 1.500,00 in favore della cassa
delle ammende.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2014.

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