Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25430 del 30/05/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 25430 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BRAIDIC MICHELE N. IL 18/09/1980
avverso l’ordinanza n. 1839/2011 TRIBUNALE di BRESCIA, del
30/05/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI; t
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. C) Jc
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Uditi difensor vv.;

Data Udienza: 30/05/2013

Ritenuto in fatto
1.Con ordinanza resa il 30 maggio 2012 il Tribunale di Brescia, pronunciando
quale giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza proposta da Michele Braidic per
l’applicazione in sede esecutiva della continuazione tra i reati giudicati con diverse
sentenze indicate nell’istanza stessa, ritenendo ostativo il rilievo circa: a) la
distanza temporale tra la commissione dei reati, avvenuta nell’arco di sei anni, con
intervalli di quattro anni tra il primo ed il secondo gruppo e di circa un anno tra il
c)

l’assenza di elementi per ricondurre i reati stessi allo stato di tossicodipendenza per
le indicazioni generiche contenute nelle certificazioni prodotte. Più in generale, il
Tribunale riteneva che la considerazione complessiva delle condotte rivelasse la
dedizione al crimine come sistema di vita e strumento per il reperimento dei mezzi
per il sostentamento ed irrilevante la decisione dell’istante di collaborare con la
giustizia.
2.Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’interessato a
mezzo del suo difensore, il quale si duole con unico motivo di violazione di legge in
relazione al disposto delle norme di cui agli artt. 81 cod. pen. e 671 cod. proc. pen.
e di mancanza o illogicità della motivazione per l’omessa pronuncia da parte del
Tribunale sull’istanza proposta con riferimento, non a tutti quelli giudicati, ma
soltanto ai reati indicati all’interno dei tre raggruppamenti, i quali erano accomunati
dalla data ravvicinata e dalla prossimità spaziale dei luoghi di commissione, ed allo
stato di tossicodipendenza, ritenuto non risalente e correlato con l’epoca di
consumazione degli illeciti senza aver considerato che l’attuale condizione faceva
presumerne anche la precedente sussistenza per la tendenza di cui ne è affetto ad
occultarla.
3. Con requisitoria scritta depositata il 10 gennaio 2013

il Procuratore

Generale presso la Corte di Cassazione, dr. Oscar Cedrangolo, ha chiesto dichiararsi
inammissibile il ricorso, fondato su censure in punto di fatto.
Considerato in diritto
1.11 primo motivo di ricorso è inammissibile per generica formulazione.
1.1L’ordinanza impugnata, dopo aver premesso la puntualizzazione dell’istanza
esaminata come riferita ai reati compresi nei tre gruppi, ivi indicati, nonché i
principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, ha quindi escluso di
poter ravvisare apprezzabili indici della loro commissione in esecuzione di un
medesimo disegno criminoso, giustificando tale conclusione con la considerazione
delle fattispecie concrete quanto a tempi e luoghi di consumazione, di cui si è
rilevata la diversità e la distanza geografica, il differente contesto di commissione

secondo ed il terzo; b) la loro commissione in concorso con soggetti diversi;

quanto ai concorrenti, la differente natura dei singoli episodi criminosi, ancorchè
tutti in danno dell’altrui patrimonio, trattandosi di furti, rapine e porto d’armi,
ricettazioni e truffe.
1.2 Per contro, il ricorso critica il percorso giustificativo del provvedimento
impugnato, sostenendo che la decisione era stata basata su parametri difformi da
quelli indicati nella propria memoria difensiva e ribadendo in primo luogo che
all’interno di ciascun gruppo i reati erano stati commessi ad intervalli temporali
brevissimi ed in luoghi prossimi; in realtà ciò non risulta, dal momento che quanto
all’ambito di ciascun raggruppamento, i fatti criminosi non siano stati commessi in
assoluta ed immediata consecuzione temporale, ma a distanza di mesi e comunque,
anche nei due casi in cui erano stati distanziati per periodi inferiori al mese, erano
stati perpetrati in località distanti ed in province diverse del Nord Italia.
1.3 Oltre a tale rilievo, il ricorrente non confuta le diversità oggettive delle
singole fattispecie e la consumazione in concorso con soggetti di volta in volta
diversi, non specifica nemmeno gli oggetti materiali dei singoli illeciti, avendo
piuttosto ribadito in modo generico trattarsi di azioni tutte in danno dell’altrui
patrimonio. Ma sotto questo profilo risulta allora pertinente e quanto mai corretta
l’osservazione condotta dal Tribunale, secondo la quale il Braidic aveva agito in
base a singole determinazioni al fine di arricchimento e di procurarsi quanto
necessario alle proprie esigenze, sottraendolo alle vittime con modalità differenti,
violente, oppure artificiose, a seconda delle occasioni propizie e non già in base ad
unico programma delinquenziale preordinato inizialmente e poi attuato nel tempo.
1.4 Si deve dunque ritenere che l’istante non abbia assolto all’onere che grava
sullo stesso di allegare precise e specifiche circostanze, nonché elementi probatori,
dai quali poter desumere la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della
continuazione in sede esecutiva.
1.5 In conclusione, per quanto l’ordinanza impugnata abbia condotto l’analisi
e giustificato la decisione assunta in riferimento a tutti i reati indicati nell’istanza,
non limitando l’analisi a quelli inclusi nei tre distinti gruppi, le censure mosse non
riescono a scalfirne la logica e la coerenza con i dati di fatto disponibili.
2. Quanto all’altro profilo dedotto, dell’omessa riconduzione dei singoli reati
allo stato di tossicodipendenza, il Tribunale ha in modo ineccepibile osservato che la
documentazione offerta dalla difesa era inidonea a dimostrare che il Braidic fosse
tossicodipendente sin dal 1999 e comunque all’epoca della loro commissione,
risalente da sei ad undici anni prima rispetto a quanto attestato dai certificati
prodotti, sicchè non era possibile ricollegarvi la relativa attività criminosa. A fronte
di tale corretto rilievo ed in assenza di un qualsiasi elemento significativo non ha
alcuna consistenza argomentativa l’obiezione difensiva, secondo la quale

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esposto nello stesso ricorso permette di evidenziare come, anche limitando l’analisi

dovrebbe desumere che la tossicodipendenza fosse insorta da molti anni prima
dell’accertamento condotto dal personale sanitario della Casa circondariale di
Mantova e comunque fosse coeva ai crimini per i quali si era chiesta l’unificazione
per continuazione. Inoltre, proprio l’avere il ricorrente nel 2008 chiesto all’Asl di
Brescia di essere sottoposto a trattamento per la cura della dipendenza da alcol,
come da certificazione prodotta, sembra proprio smentire tale assunto, dal
momento che non si vede per quale ragione egli, all’atto di sottoporsi

seria e preoccupante condizione di tossicofilo, che, se esistente, avrebbe interferito
con le possibilità di effettiva guarigione e frustrato sul nascere ogni proposito
riabilitativo.
2.1 Si ricorda comunque in punto di diritto che la modifica apportata all’art.
671 c.p.p., comma 1, introdotta dal D.L. n. 272 del 2005, art. 4-vicies, convertito
con la L. n. 49 del 2006, ha inserito nel testo normativo una disposizione a
contenuto generale, la previsione secondo la quale “la consumazione di più reati in
relazione allo stato di tossicodipendenza” deve essere considerata “fra gli elementi
che incidono sulla applicazione della disciplina del reato continuato”, sia nel giudizio
di cognizione, che nella fase dell’esecuzione. L’intervento esegetico della Corte di
Cassazione si è espresso nel senso che, per quanto la novellazione dell’art. 671
cod. proc. pen. abbia inteso attenuare il rigore del regime sanzionatorio nei
confronti del responsabile tossicodipendente, tale condizione personale non è
vincolante per il giudice, ma opera quale indizio, indicativo della risoluzione e
determinazione unitaria a monte di una pluralità di reati diversi, che deve essere
oggetto di considerazione unitamente agli altri dati fattuali disponibili; ciò comporta
che la tossicodipendenza in sè non è sufficiente per applicare in via automatica la
continuazione, ma la sua allegazione e dimostrazione impone che se ne tenga conto
in una valutazione complessiva con tutte le altre condizioni già individuate dalla
giurisprudenza per dare attuazione concreta all’istituto (Cass., sez. 1, nr. 7190 del
14/02/2007, P.G. in proc. Bernardis, rv. 235686; sez. 1, nr. 20144 del 27/04/2011,
Casà, rv. 250297; sez. 5, nr. 10797 del 23/02/2010, Riolfo, rv. 246373; sez. 1, nr.
33518 del 7/07/2010, Trapasso, rv. 248124; sez. 1, nr. 39287 del 13/10/2010,
Presta, rv. 248841).
Deve dunque concludersi che l’ordinanza impugnata resiste alle censure che le
sono state mosse e supera il vaglio conducibile nel giudizio di legittimità. Ne
discende il rigetto del ricorso con la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

3

volontariamente ad un programma di recupero, avrebbe dovuto tacere l’altrettanto

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso in Roma, il 30 maggio 2013.

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