Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2539 del 03/12/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 2539 Anno 2016
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: MENICHETTI CARLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FERRARI ALESSANDRO N. IL 09/03/1974
avverso la sentenza n. 163/2013 CORTE APPELLO di TRENTO, del
30/04/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/12/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CARLA MENICHETTI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. ?ux-.)

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Data Udienza: 03/12/2015

Considerato in fatto
1. Con sentenza in data 30 aprile 2014 la Corte d’Appello di Trento confermava la
sentenza del locale Tribunale, Sezione distaccata di Cavalese, di condanna di Ferrari
Alessandro alla pena di giustizia per il reato di cui all’art.590, III comma, c.p. perché,
nella qualità di Direttore Tecnico dell’impresa edile “D.F. Costruzioni s.r.l.” aveva
cagionato a Dei Giudici Ernestino, dipendente di tale ditta quale capo cantiere, lesioni
personali consistite in una “frattura radio/ulna dx” con prognosi iniziale di giorni 35,

alle successive visite di controllo, per imprudenza, negligenza e imperizia e per la
violazione delle norme antinfortunistiche di cui all’art.18 D.Lgs.9.4.2008, n.81.
2. La Corte perveniva alla pronuncia di condanna – ritenuta preliminarmente la
procedibilità d’ufficio del reato – rilevando che l’infortunio si era verificato a seguito del
cedimento, per eccessivo carico (costituito da una benna carica appoggiata per
l’asportazione dei detriti), del solaio ove stava lavorando il Dei Giudici unitamente ad
altro operaio, e che si trattava di un rischio del tutto prevedibile che andava fronteggiato
con le opportune e specifiche cautele, del tutto omesse. In particolare, nonostante il
piano delle demolizioni (DPI) prevedesse, senza distinguo o eccezioni, che
nell’abbattimento dei solai in legno, l’asportazione della caldana in cemento, cioè lo strato
superiore che i due operai stavano disgregando quando era avvenuto il fatto, avrebbe
dovuto essere eseguita “con gli addetti imbracati ed ancorati a funi opportunamente
tesate”, tale minima misura di salvaguardia, che avrebbe evitato l’incidente, non era
stata predisposta. Attribuiva quindi la responsabilità dell’evento al Ferrari, indicato nel
POS e nel DPI come direttore tecnico di cantiere, che avrebbe dovuto in questa sua veste
vigilare le attività quotidianamente svolte e pretendere che gli operai lavorassero ancorati
a funi di sicurezza.
3. Propone ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, articolando cinque
distinti motivi: violazione dell’art.590, ultimo comma c.p., in relazione all’art.606, comma
1, lett.b) ed e) c.p.p. per avere erroneamente la Corte territoriale ritenuto la durata della
malattia superiore a 40 giorni, mancando invece una prova certa sul punto; violazione
dell’art.604 c.p.p. per mancata correlazione tra accusa e sentenza, avendo la Corte
ritenuto un profilo di colpa non contestato ed omesso ogni risposta sullo specifico motivo
di impugnazione; vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all’art.40,
secondo comma, c.p. per aver configurato in capo all’imputato una posizione di garanzia
che invece spettava allo stesso capo cantiere (preposto) che si era infortunato; vizio di
motivazione e violazione di legge in relazione all’art.40, primo comma, e 41 c.p. per
mancanza del nesso di causalità tra la condotta omissiva dell’imputato e l’evento lesivo;
infine, difetto di motivazione in ordine all’elemento psicologico del reato.

prolungata fino a un totale di 73 giorni a seguito di certificati medici rilasciati dall’INAIL

Ritenuto in diritto
4. Il ricorso è infondato.
4.1. In ordine alla durata della malattia la Corte di Trento, nel disattendere il
motivo di appello volto a dimostrare che si trattava di una lesione guarita entro i 40
giorni e dunque di un reato improcedibile per difetto di querela, ha fatto proprie le ragioni
analiticamente indicate dal Tribunale rilevando che la prognosi iniziale effettuata dai
sanitari del Pronto Soccorso di Cavalese, che per primi sottoposero a visita l’infortunato,

sicuramente superiore a 40 giorni perché, dopo la rimozione dell’apparecchio gessato
(avvenuta al 35 0 giorno), fu necessario un periodo riabilitativo di fisiokinesiterapia per
altri 15 giorni: tale periodo, come correttamente osservato dai giudici di merito, andava
computato nella complessiva durata della malattia perché solo all’esito della prescritta
rieducazione e non certo al momento di rimozione dell’ingessatura, si poteva parlare di
reintegrazione completa della funzionalità dell’arto.
4.2. Neppure può condividersi la seconda censura. Il motivo si articola in due
aspetti: mancata correlazione tra contestazione e sentenza e omessa motivazione sullo
specifico motivo di appello. Quanto al primo aspetto, la infondatezza si ravvisa proprio
nella contestazione elevata a carico del Ferrari a cui è stata attribuita sia una colpa
generica sia un profilo di colpa specifica, e segnatamente la violazione dell’art.18 lett.f)
del D.Lgs.n.81/2008 – applicabile a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le
tipologie di rischio – che impone ai datori di lavoro e ai dirigenti di richiedere l’osservanza
da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in
materia di sicurezza ed igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei
dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione, e dunque il Ferrari è stato
posto nelle condizioni di svolgere, così come ha svolto, ogni opportuna ed ampia attività
difensiva relativamente alla sua responsabilità. Sul secondo aspetto questa Corte si è già
pronunciata nel senso che “in tema di impugnazioni, il mancato esame, da parte del
giudice di secondo grado, di un motivo d’appello non comporta l’annullamento della
sentenza quando la censura, se esaminata, non sarebbe stata in astratto suscettibile di
accoglimento, in quanto l’omessa motivazione sul punto non arreca alcun pregiudizio alla
parte e, se trattasi di questione di diritto, all’omissione può porre rimedio ai sensi
dell’art.619 c.p.p. la Corte di cassazione quale giudice di legittimità” (Sez.III, 21.5.2015,
n.21029).
4.3. Gli altri tre motivi, che attengono all’elemento materiale della condotta,
all’elemento psicologico ed al nesso di causalità con l’evento possono essere
congiuntamente esaminati.
La Corte di merito ha analizzato in primo luogo la causa del crollo del solaio ed ha
accertato – fornendone adeguata e logica motivazione in base alle testimonianze assunte
– che non vi era stato alcun puntellamento, che vi era stata appoggiata una ben

fu di 50 giorni s.c. e la durata effettiva della malattia, fino alla guarigione, fu poi

(traslata a mezzo gru) per l’asportazione dei materiali di risulta della demolizione, che
non era stata verificata la presenza di travi amnnalorate. Dunque, tra la tesi del
cedimento dovuto all’eccessivo peso della benna carica e quella meramente teorica e non
riscontrata di travi logorate, propugnata dalla difesa, ha ritenuto valida la prima, del
sovraccarico concentrato, non mancando tuttavia di evidenziare come in ogni caso un
solaio risalente nel tempo e con stratificazione di materiali che non consentiva una
precisa intelligibilità della sua consistenza, avrebbe dovuto indurre ad adottare le misure

rispetto ai pericoli oggettivamente incombenti, perché insiti nella vetustà dell’immobile e
nella insondabilità di insidie non immediatamente percepibili. Di contro, come già detto
nella narrativa in fatto, nonostante l’espressa previsione del DPI, il Dei Giudici ed il
secondo operaio lavoravano senza alcuna imbracatura e senza alcun sistema di
ancoraggio, che ne avrebbe evitato la caduta sotto il cedimento del piano di appoggio.
Tale dinamica del fatto rende evidente il nesso di causalità tra l’omessa adozione
della misura di prevenzione antinfortunistica e l’evento lesivo per cui è processo: se
l’operaio fosse stato imbracato ed ancorato a funi opportunamente tese, come richiesto
dal piano delle demolizioni, sarebbe rimasto “sospeso” e non sarebbe precipitato a terra.
Appare raggiunta allora la prova, oltre ogni ragionevole dubbio, che se fosse stata
attuata la condotta omessa il sinistro non si sarebbe verificato, come ritenuto dalla Corte
di Trento.
Deduce ancora il ricorrente che rivestendo il Dei Giudici la posizione di capo
cantiere era tenuto a rispettare le misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro
e dai responsabili aziendali, non avendo egli spazi di autonomia per disattenderle, sicché
la sua condotta omissiva, del tutto imprevedibile nonostante la vigilanza del Ferrari,
aveva reso l’infortunio tutto dipendente dalle sue scelte.
Tale tesi difensiva, già disattesa dai giudici di merito, è priva di pregio.
Giova preliminarmente rilevare che questa Suprema Corte ha da tempo chiarito
che in tema di infortuni sul lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia,
ciascun garante risulta per intero destinatario dell’obbligo di impedire l’evento, fino a che
non si esaurisca il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di
garanzia: in particolare, il direttore tecnico ed il capo cantiere, figure inquadrabili
rispettivamente in quella del dirigente e del preposto, sono titolari di autonome posizioni
di garanzia, seppure a distinti livelli di responsabilità, dell’obbligo di dare attuazione alle
norme dettate in materia di sicurezza sul lavoro. Ne consegue che la nomina di un capo
cantiere non implica di per sé il trasferimento a quest’ultimo della sfera di responsabilità
propria del ruolo dirigenziale del direttore tecnico (Sez.IV, 19.12.2011, n.46849;
27.2.2008, n.8593; 26.10.2007, n.39606).
Dunque, se è vero che il capo cantiere è destinatario diretto dell’obbligo di
verificare che le concrete modalità di esecuzione delle prestazioni lavorative all’intern

di salvaguardia minime, destinate a garantire la sicurezza degli operai che vi lavoravano

del cantiere rispettino le normative antinfortunistiche, deve rilevarsi che nel caso di
specie il Dei Giudici ha affermato di aver deciso autonomamente che quel solaio poteva
sopportare il carico della benna piena senza bisogno di particolare accorgimenti di
sicurezza, compiendo così una valutazione che si è rivelata errata, e in ciò, ad avviso
della Corte di merito si incentra la responsabilità del Ferrari, che quale direttore tecnico di
cantiere aveva il preciso obbligo di verificare il minuto rispetto delle norme di sicurezza e
di far osservare quanto previsto dal POS e dal DPI, e non rimettere agli stessi dipendenti

Appare allora immune dalle censure mosse in ricorso l’affermazione di penale
responsabilità del Ferrari, cui la Corte di Trento è pervenuta rilevando come l’imputato
avrebbe dovuto vigilare e tenere sotto controllo le attività quotidianamente svolte nel
cantiere, evitando di consentire ai dipendenti di operare scelte spettanti alla dirigenza e
di assumere iniziative operative proprie, e nella specie avrebbe dovuto pretendere ed
accertarsi che gli operai lavorassero ancorati alle funi di sicurezza come previsto dal
ripetuto piano delle demolizioni e non rimanere assente dal cantiere, sebbene informato
del lavoro da svolgere, senza aver imposto le osservanze di salvaguardia.
5. ne deriva il rigetto del ricorso e la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 3 dicembre 2015

Il Consigli

sore

la salvaguardia della loro incolumità.

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