Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25367 del 09/06/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 25367 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Papa Orazio, nato a Castiglione di Sicilia il 14/08/1950;
avverso la sentenza del 14/05/2014 della Corte d’appello di Messina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Piercamillo Davigo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Sante
Spinaci, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito per l’imputato l’Avv. Sergio Saraceno in sostituzione dell’Avv. Ernesto Pino,
che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 5.7.2013 il G.U.P. del Tribunale di Messina dichiarò
Papa Orazio responsabile di estorsione continuata e – con la diminuente per il
rito abbreviato – lo condannò alla pena di anni 4 di reclusione ed € 2.000,00 di
multa, nonché al risarcimento dei danni (da liquidarsi in separato giudizio con
una provvisionale) ed alla rifusione delle spese di giudizio a favore della parte
civile Catalano Angelo.

2.

L’imputato propose gravame ma la Corte d’appello di Messina, con

sentenza del 14.5.2014 confermò la pronunzia di primo grado e condannò
l’imputato alla rifusione delle ulteriori spese di giudizio sostenute dalla parte
civile.

Data Udienza: 09/06/2015

3. Ricorre per cassazione l’imputato, tramite il difensore, deducendo:
1. vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità basata
solo sulla attendibilità della persona offesa apoditticamente affermata,
disattendendo le articolate doglianze svolte nei motivi di appello;
2.

violazione di legge e vizio di motivazione sull’affermazione di
responsabilità, avendo l’imputato agito quale intermediario con gli autori
dell’estorsione nell’esclusivo interesse della persona offesa e senza
percepire alcun compenso ed anzi la vittima gli aveva chiesto un prestito;
mancanza di motivazione sul diniego delle circostanze attenuanti
generiche e sull’entità della pena inflitta.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono manifestamente infondati e
svolgono censure di merito.
La Corte territoriale non solo ha ritenuto attendibili le dichiarazioni della
persona offesa, ma ha affermato che le stesse trovavano riscontro nelle
intercettazioni, escludendo anche che Papa avesse agito nell’esclusivo interesse
della persona offesa.
In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda
sindacabile in questa sede.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non
deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore
possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve
limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune
e con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una
formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass. Sez. 5^ sent. n. 1004 del
30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2^ sent. n. 2436 del
21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).
Del resto va ricordato che il vizio di motivazione implica o la carenza di
motivazione o la sua manifesta illogicità.
Sotto questo secondo profilo la correttezza o meno dei ragionamenti
dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità
degli enunciati che la compongono.

2. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato e svolge censure di
merito.
Le circostanze attenuanti generiche sono state negate per la gravità del
fatto ed i precedenti penali dell’imputato.

2

\,.

3.

La determinazione in concreto della pena costituisce il risultato di una
valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti
dalla legge, sicché l’obbligo della motivazione da parte del giudice
dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione
alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata l’irrogazione
della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non
eccessiva. Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e
globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 cod. pen. ed anche quelli

20.5.1989 dep. 12.7.1989 rv 181825; conf. mass. n. 155508; n. 148766; n.
117242).

3. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della
Cassa delle ammende della somma di mille euro, così equitativamente fissata in
ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.

Così deciso il 09/06/2015.

specificamente segnalati con i motivi d’appello (Cass. Sez. 6, sent. n. 10273 del

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