Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25359 del 07/05/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 25359 Anno 2015
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
1.

MAZZEI PIETRO nato il 09/07/1973;

2.

D’ALESSANDRO MARCO nato il 12/05/1990;

3.

FALANGA GIANLUCA nato il 03/11/1987;

avverso la sentenza del 15/07/2014 della Corte di Appello di Catanzaro;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Carmine Stabile che ha
concluso per il rigetto di tutti i ricorsi;
udito il difensore avv.to Carlo Esbardo per Falanga che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;
FATTO
1. Con sentenza del 15/07/2014, la Corte di Appello di Catanzaro
confermava la sentenza con la quale, in data 20/11/2013, il giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Cosenza aveva ritenuto MAZZEI
Pietro, D’ALESSANDRO Marco e FALANGA Gianluca colpevoli dei reati di
tentata rapina aggravata, detenzione e porto d’arma clandestina e

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Data Udienza: 07/05/2015

ricettazione e, d’ufficio, dichiarava gli imputati interdetti dai pubblici
uffici per la durata di anni cinque.

2. Avverso la suddetta sentenza, tutti e tre gli imputati, a mezzo

3. MAZZEI Pietro, ha dedotto:
3.1. VIOLAZIONE DELL’ART. 597 COD. PROC. PEN. per avere la Corte,
nonostante non fosse stato proposto alcun gravame da parte del
Pubblico Ministero, dichiarato d’ufficio l’interdizione di esso ricorrente dai
pubblici uffici. Invero, l’interdizione d’ufficio avrebbe potuto essere
dichiarata se il reato addebitato avesse previsto la suddetta sanzione
accessoria: ma, nessuno dei reati addebitati la prevedeva. Inoltre, la
Corte non aveva considerato che il primo giudice aveva ritenuto fra tutti
i reati in continuazione, come più grave quello del porto in luogo
pubblico di arma clandestina per il quale è prevista una pena base di
anni uno di reclusione e non è consentito applicare la suddetta
sanzione;
3.2. VIOLAZIONE DELL’ART. 132 – 133 COD. PEN. per non avere la Corte
accolto la richiesta di irrogare una pena più mite (in considerazione della
condotta preprocessuale), con motivazione carente.

4. D’ALESSANDRO Marco ha dedotto la violazione dell’art. 606 lett.
b) e) cod. proc. pen. per non avere la Corte adeguatamente motivato in
ordine alla dosimetria della pena, senza tenere in alcun conto tutti i
parametri di cui all’art. 133 cod. pen.

5. FALANGA Gianluca, ha dedotto:
5.1. LA VIOLAZIONE DELL’ART. 49/2 COD. PEN. per non avere la Corte
ritenuto che l’azione fosse inidonea in considerazione della

“resistenza

inaspettata del vetro antísfondamento”che frustrò il tentativo di rapina;
5.2. LA VIOLAZIONE DELL’ART. 56/3 COD. PEN. per non avere la Corte
ritenuto la sussistenza della suddetta scriminante desumibile dal fatto
che i ricorrenti non solo non si accanirono contro il vetro

2

dei rispettivi difensori, hanno proposto separati ricorsi per cassazione.

antisfondamento ma non rapinarono coloro che si trovavano all’interno
dell’ufficio postale.
DIRITTO
1.VIOLAZIONE DELL’ART.

597

COD. PROC. PEN.:

la censura (dedotta dal

Sul punto è sufficiente richiamare il principio di diritto enunciato dalle
SSUU n° 8411/1998 Rv. 210979 (alla quale si sono successivamente
conformate le sezioni semplici di questa Corte:
49759/2012 Rv. 254202) secondo il quale:

ex plurimis Cass.

«Poiché l’art. 597, terzo

comma, cod. proc. pen. non contempla, tra i provvedimenti peggiorativi
inibiti al giudice d’appello nell’ipotesi di impugnazione proposta dal solo
imputato, quelli concernenti le pene accessorie – le quali, secondo il
disposto dell’art. 20 cod. pen., conseguono di diritto alla condanna come
effetti penali di essa – al giudice di secondo grado è consentito applicare
d’ufficio le pene predette qualora non vi abbia provveduto quello di
primo grado, e ciò ancorché la cognizione della specifica questione non
gli sia stata devoluta con il gravame del pubblico ministero»:

ivi, in

motivazione, le SSUU precisano che «Il “significato proprio delle parole
secondo la connessione di esse” conduce a ritenere che nel ricollegare
l’interdizione perpetua dai pubblici uffici alla “condanna” alla pena della
reclusione superiore a cinque anni (e l’interdizione temporanea alle
condanne alla pena della reclusione superiore a tre anni) l’art. 29/1 cod.
pen. rimane del tutto indifferente al “come” si sia arrivati alla
irrogazione della pena, e quale esito abbia avuto sulla misura di questa
l’eventuale giudizio di comparazione o di bilanciamento tra circostanze
eterogenee onde adeguarla al caso concreto»:

con il che sono da

ritenersi manifestamente infondate anche le doglianze secondo le quali
la sanzione accessoria avrebbe potuto essere inflitta solo se prevista da
uno dei reati e, comunque, si sarebbe dovuto tenere in considerazione
la pena astratta prevista dal solo reato base e non anche la pena finale
(comprensiva anche di quella per i reati satelliti posti in continuazione)
in concreto inflitta.

3

solo Mazzei) è manifestamente infondata sotto entrambi i profili dedotti.

2.

VIOLAZIONE DEGLI ART. 49 – 56/3 COD. PEN.: anche la suddetta

doglianza (dedotta dal solo Falanga) è manifestamente infondata.
Sul punto, null’altro si ritiene di aggiungere alla seguente testuale
motivazione addotta dalla Corte territoriale che ha tratto le corrette
«Tali ultime

argomentazioni, in ragione del grado di sviluppo raggiunto dall’azione
progettata dai tre malviventi (l’uno all’esterno con il compito di bloccare
il traffico e facilitare la fuga, gli altri due all’interno dell’ufficio postale
armi in pugno brandite ed utilizzate in maniera conforme alle finalità
perseguite) risultano del tutto infondate e capziose; ciò non solo perché
non è configurabile la desistenza quando gli atti posti in essere
integrano già gli estremi del tentativo (Sez, 1, n. 43036 del 23/10/2012
– dep. 07/11/2012, Orti, Rv. 253616), quanto perché oltretutto la
desistenza, per essere giuridicamente rilevante, deve essere volontaria;
e il comportamento dell’agente non può ritenersi volontario ogni qual
volta la desistenza dalla condotta sia imposta dall’intervento di fattori
estranei — nel caso di specie la resistenza inaspettata del vetro
antis fondamento – che rendono irrealizzabile la prosecuzione diretta
all’attuazione del fine antigiuridico (e sia consentito rinviare, tra le
tante, a Sez. 2, n. 7036 del 29/01/2014 – dep. 13/02/2014, Canade’,
Rv. 258791, nonché a Sez. 2, n. 51514 del 05112/2013 – dep.
20112/2013, Martucciello, Rv. 258076: è configurabile il tentativo e non
la desistenza volontaria nel caso in cui la condotta delittuosa si sia
arrestata prima del verificarsi dell’evento non per volontaria iniziativa
dell’agente ma per fattori esterni che impediscano comunque la
prosecuzione dell’azione o la rendano vana».

3.

TRATTAMENTO SANZIONATORIO :

anche

la

suddetta dog I ianza

(dedotta dal Mazzei e dal D’Alessandro) è manifestamente infondata, in
quanto la motivazione addotta dalla Corte [«non risponde a verità che il
giudice a quo non abbia valutato il fatto nella sua globalità e non abbia perciò,
nel quantificare della pena, ponderato tutti gli elementi dai quali ricavare il
grado di gravità del fatto e della capacità a delinquere dei colpevoli. Così non è

4

conseguenze giuridiche dalla pacifica ricostruzione dei fatti:

accettabile la prospettazione difensiva che vorrebbe attribuire alla vicenda
natura episodica laddove la ricettazione di un’auto rubata e di un’arma micidiale
con matricola abrasa risultano condotte semmai sintomatiche di collegamenti
con ambienti delinquenziali di certo spessore ed ancora oggi avvolti dal mistero;
del pari l’esecuzione della rapina in concomitanza con il giorno in cui presso
l’ufficio postale si sarebbero dovute pagare le pensioni e l’accurata spartizione

anch’essa sintomatica di un perdurante atteggiamento antigiuridico e, con esso,
di una spiccata pericolosità; l’immediato intercettamento delle forze dell’ordine
(quando ancora i malviventi non avevano avuto modo di cambiarsi e recavano
con sé arma ed altre tracce del reato) svilisce non di poco la valenza pur
accordata dal g.i.p. al dato confessorio, vieppiù per i due complici che a tanto si
determinavano dopo la lettura dell’ordinanza dalla quale erano in grado di
apprezzare la pregnanza degli elementi a loro carico; ecco che allora tale
elemento non appare suscettibile, neanche per i soggetti incensurati, addirittura
di sopravanzare i numerosi di segno contrario poc’anzi sottolineati; piuttosto —
e ancora una volta condivisibilmente – nella sentenza gravata, lo stato di
incensuratezza degli uni a fronte della mole dei precedenti dell’altro (da ultimo
condannato per un tentato furto in abitazione risalente al settembre ’09) ha
costituito il presupposto per differenziare il trattamento sanzionatorio»]

è

ampia congrua e logica e, quindi, non censurabile in questa sede di
legittimità, essendo stato correttamente esercitato il potere
discrezionale spettante al giudice di merito in ordine al trattamento
sanzionatorio.

4. In conclusione, tutte le impugnazioni devono ritenersi
inammissibili a norma dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza:
alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché al
versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che,
ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in € 1.000,00 ciascuno.
P.Q.M.
DICHIARA
inammissibili i ricorsi e

5

dei compiti lasciano piuttosto pensare ad una meticolosa programmazione

CONDANNA
i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma
di C 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Roma 07/05/2015

(Dott. A oni.

ENTE
e tipino)

IL PR

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