Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25355 del 07/05/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 25355 Anno 2015
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
SALVATI RAFFAELLA nata il 07/05/1960, avverso la sentenza del
10/03/2014
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Carmine Stabile che ha
concluso per l’annullamento sena rinvio per prescrizione;
FATTO e DIRITTO
1. Con sentenza del 10/03/2014, la Corte di Appello di Salerno, in
parziale riforma della sentenza pronunciata in data 02/02/2011 dal
giudice monocratico del Tribunale di Nocera Inferiore, dichiarava non
doversi procedere nei confronti di SALVATI Raffaella per il delitto di
truffa ai danni dell’INPS, per prescrizione fino al 27/03/2006,
confermando, nel resto la sentenza impugnata.

2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputata, a mezzo del proprio
difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo la manifesta

Data Udienza: 07/05/2015

illogicità della motivazione nella parte in cui aveva ritenuto che fosse
stata provata la responsabilità della ricorrente al di là di ogni
ragionevole dubbio. La Corte, infatti, aveva valorizzato le testimonianze
solo sotto il profilo accusatorio, ignorando, invece, le dichiarazioni

3. il ricorso è manifestamente infondato.
La Corte, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, ha
preso in esame tutto il compendio probatorio come risulta dalla
circostanza che ha analizzato le dichiarazioni rese dal teste Masucci
«non scalfita dalla deposizione dei testi a discarico che non avevano
portato alcuna chiarimento in rodine ai fatti risultanti in atti, ossia gli
artifizi e raggiri consistiti nelle false dichiarazioni sull’esistenza del
rapporto di lavoro e l’ingiusto profitto derivante dalla reiterata indebita
percezione dei contributi previdenziali ed assistenziali 11.3».
Il processo è tutto qui: da una parte, le conclusioni alla quale sono
pervenuti entrambi i giudici di merito sulla base della svolta istruttoria;
dall’altra, le affermazioni dell’imputata che sostiene di non avere posto
in essere alcun artifizio o raggiro ai danni dell’INPS.
Di conseguenza, poiché nella motivazione della sentenza
impugnata, non sono evidenziabili incongruità, carenze o
contraddittorietà motivazionali, la censura, essendo incentrata tutta su
una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, va
dichiarata inammissibile.
In altri termini, le censure devono ritenersi manifestamente
infondate in quanto la ricostruzione effettuata dalla Corte e la decisione
alla quale è pervenuta deve ritenersi compatibile con il senso comune e
con «i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento»: infatti, nel
momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve
stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore
possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione,
ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile
con il senso comune Cass. n. 47891/2004 rv 230568; Cass. 1004/1999
rv 215745; Cass. 2436/1993 rv 196955.

2

favorevoli alla tesi difensiva.

Sul punto va, infatti ribadito che l’illogicità della motivazione, come
vizio denunciabile, dev’essere percepibile ictu ocu/i, dovendo il sindacato
di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando
ininfluenti le minime incongruenze: ex plurimis SSUU 24/1999.
Infine, va osservato che, essendo stato il ricorso dichiarato

«l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta
infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto
d’impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e
dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc.
pen.»: ex plurimis SSUU 22/11/2000, De Luca, Riv 217266 – Cass.
4/10/2007, Impero
Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto
dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle
spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle
Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in C 1.000,00.
P.Q.M.
DICHIARA
inammissibile il ricorso e
CONDANNA
la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C
1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Roma 07/05/2015

inammissibile, trova applicazione il principio di diritto secondo il quale

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