Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25343 del 27/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 25343 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BENENATI FABIO N. IL 13/02/1979
avverso l’ordinanza n. 6/2015 TRIB. LIBERTA’ di PESCARA, del
05/03/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO
PEZZELLA;
firttesentite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 27/05/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Pescara, con ordinanza dei 5.3.2015, rigettava l’istanza
di riesame proposta dall’odierno ricorrente, BENENATI FABIO, avverso il decreto
del GIP dei Tribunale di Pescara del 16.1.2015, di sequestro preventivo delle disponibilità liquide, nonché in difetto e limitatamente alla parte residua, il sequestro per equivalente di beni immobili, di cui il Benenati è titolare, nella sussistenza di indizi a carico dell’indagato di presentazione infedele della dichiarazione fiscale ai fini delle imposte sui redditi per l’anno di imposta 2012, mediante non

ne di imposta per C 209.811,53.

2. Ricorre Benenati Fabio, a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. Violazione dell’art. 111, co. 6 Cost. e dell’art. 125, co. 3 cod. proc. pen.
– motivazione apparente e/o mancanza assoluta di motivazione (art. 606, co.1
lett. c) cod. proc. peri.) – inosservanza e/o erronea applicazione dell’art. 4 D.Lgs.
74/2000, degli artt. 101 e 109 DPR 917/86, nonché degli artt. 322ter cod. pen. e
324 e 309, co. 9, cod. proc. pen. (art.606, co. 1, lett. b) cod. proc. pen.)
Il ricorrente deduce di aver proposto istanza di riesame per ben nove distinti motivi (A, B1, B2, B3, B4, B5, C1, C2, C3), ma il Tribunale avrebbe dato
risposta soltanto a tre di essi, quello relativo alla sopravvenuta perdita di efficacia della misura (A), quello relativo alla indeducibilità delle sopravvenienze passive (B3) e quello relativo alla mancata indicazione dei beni da sottoporre a vincolo (C3).
Riporta i restanti motivi, sui quali il Tribunale avrebbe omesso ogni pronuncia:
• con il motivo sub B1 si rilevava che il fatto così come contestato (mancata contabilizzazione di elementi positivi di reddito pari all’imposta che si assumeva evasa) non avrebbe integrato alcuna delle condotte previste e punite
dall’art. 4 D.Lgs. 74/2000 e che, comunque, affermare che l’imposta evasa costituisse componente attiva di reddito significava porsi al di fuori della normativa
fiscale e di ogni principio in tema di bilancio e fiscalità; erronea e fuorviante appariva anche l’indicata data di commissione del reato;
• con il motivo sub B2, si deduceva la violazione dell’art. 220 disp. att.
c.p.p. con riferimento al processo verbale di contestazione redatto dalla Guardia
di Finanza, con la conseguente inutilizzabilità del medesimo: il processo verbale
di constatazione redatto dalla guardia di finanza o dai funzionari degli uffici finanziari è un atto amministrativo extraprocessuale, come tale acquisibile e utiliz-

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contabilizzazione di elementi positivi di reddito pari ad C 762.951,00 con evasio-

zabile a fini probatori. Tuttavia, qualora emergano indizi di reato, occorre procedere secondo le modalità previste dall’art. 220 disp. att., in quanto altrimenti, la
parte del documento redatta successivamente a detta emersione non è utilizzabile. Invero, è causa dì inutilizzabilità dei risultati probatori la violazione delle disposizioni del codice di procedura penale la cui osservanza, nell’ambito delle attività ispettive o di vigilanza, è prevista per assicurare le fonti di prova in presenza
di indizi dì reato. Nel caso di specie, indizi di reato sono emersi sin dall’inizio
dell’attività, con la conseguenza che da quel momento, contrariamente a quanto

nale. Pertanto il processo verbale di constatazione in atti è inutilizzabile;
• con il motivo sub B4, si osservava che, nel caso di specie, doveva ritenersi insussistente la fittizietà degli elementi passivi esposti, sollevandosi specificamente la problematica relativa al rapporto fra indeducibilità e fittizietà: il costo
“fittizio” starebbe ad indicare esclusivamente quell’elemento passivo cui non corrisponde un esborso monetario equivalente rispetto al dato indicato nel documento fiscale. Ogni altra questione, che possa viziare l’indicazione di un costo in
dichiarazione, quale la indeducibilità, la inerenza, la mancata aderenza ai criteri
valutativi prescritti, non può incidere sulla sua esistenza concreta e, dunque,
portare a qualificarlo come fittizio;
• con il motivo sub B5, si deduceva l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato. L’impossibilità di ricondurre la erronea deduzione dei costi alla definizione legislativa di imposta evasa avrebbe consentito di escludere
che in tale condotta si potesse configurare il dolo specifico del “fine di evadere le
imposte” e, del resto, anche gli accertatori avrebbero ritenuto la natura essenzialmente colposa della condotta dell’amministratore. L’elemento soggettivo del
reato, comunque, non sarebbe sussistente per le difficoltà incontrate da Fabio
Benenati al momento dell’assunzione della carica per la ricostruzione ed interpretazione della contabilità della società, tali da rendere necessarie delle rettifiche.
Ciò emergerebbe anche dagli accertamenti della Guardia di Finanza.
• con il motivo sub Ci., si rilevava l’illegittimità della misura per il mancato accertamento dell’incameramento del profitto del reato, da parte del detentore dei beni;
• con il motivo sub C2, si eccepiva l’illegittimità della misura perché il decreto non conteneva alcuna indicazione circa la effettiva e concreta impossibilità
di procedere al sequestro dei beni della persona giuridica prima di dar corso al
sequestro nei confronti dei beni di proprietà del suo amministratore.
Il sequestro per equivalente a carico di Fabio Benenati avrebbe potuto essere adottato unicamente a seguito dell’accertata impossibilità di procedere al
sequestro, a fini di confisca, dei beni dell’ente beneficiato dall’indebito risparmio

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è avvenuto, avrebbe dovuto farsi ricorso alle norme del codice di procedura pe-

fiscale (Cass. pen., Sez. IV, 21.03.2013, nr. 18602; Sez. III, 04.10.2012, nr.
38740).
Il Tribunale non si sarebbe pronunciato sui punti sopraindicati e non
avrebbe svolto il proprio ruolo di garanzia e controllo.
Il ricorrente deduce inoltre che, laddove la Suprema Corte non ritenesse
esistente la violazione dell’art. 125 cod. proc. pen., i motivi di riesame devono
intendersi riproposti, in quanto il loro mancato accoglimento, da parte del tribunale, integrerebbe violazione degli att. 4 D.Lgs. 74/2000, 43 cod. pen., 220 disp.

In relazione all’esistenza del fumus il Tribunale avrebbe respinto la tesi difensiva senza fare corretta applicazione delle norme.
Il ricorrente rileva che le sopravvenienze passive, originate dalle necessarie rettifiche a seguito della revisione contabile operata dal nuovo amministratore, non sono state mai poste in discussione.
Ogni singola rilevazione contabile che ha concorso alla formazione dì sopravvenienze passive, sarebbe riconducibile ad insussistenza di attività iscritta in
bilancio in precedenti esercizi e sarebbe, quindi, aderente alla normativa fiscale,
con totale deducibilità.
Lo stesso Tribunale avrebbe, poi, ritenuto deducibili le voci relative ad
una sopravvenienza di euro 33.181,19 indicata quale insussistenza di credito.
Il ricorrente rileva che ogni voce contabile che avrebbe concorso a formare le sopravvenienze in esame, almeno per euro 535.558,61, avrebbe la medesima natura di quella indicata come deducibile dal giudice del riesame.
Il Benenati richiama la tabella riportata nella memoria difensiva depositata all’udienza camerale e i mastrini di cassa prodotti, rilevando che, nel caso dette sopravvenienze venissero considerate indeducibili, si tratterebbe di applicare
una doppia tassazione alle stesse voci.
Il Tribunale, poi, in relazione alla questione relativa alla indeducibilità delle fatture Ortenrian, avrebbe omesso di pronunciarsi, esprimendosi in modo del
tutto generico non attinente alla censura sollevata.
Dal PVC emergerebbe che dette fatture per complessivi € 85.877,83, sarebbero state considerate indeducibili per il mancato reperimento delle stesse
fatture integrali tra la contabilità della società, rinvenendosene solo le ultime pagine.
La difesa avrebbe rilevato, che non essendo stata posta in discussione la
loro veridicità, le stesse non potevano considerarsi ai fini del calcolo dell’imposta
evasa.
Il giudice non avrebbe dato adeguata risposta alla censura, affrontando il
tema delle fatture Orteman, solo in sede di trattazione dell’argomento del fumus,
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att. cod. proc. pen., 322-ter cod. pen. e 321 cod. proc. pen.

ritenendo l’acquisto insussistente. Il Tribunale avrebbe posto la propria attenzione su di un profilo che non era oggetto di riesame e non sarebbe stato pertinente
con la fattispecie in questione, non essendo emersi nelle indagini, elementi tali
da far ritenere le operazioni mai eseguite.
Lo stesso Tribunale, altrove, senza replicare al motivo di gravame, riconoscerebbe che anche deducendo il prezzo degli acquisti presso la Orteman,
l’imposta evasa sarebbe stata comunque superiore alla soglia.
Tale assunto sarebbe censurabile, perché, lo scorporo di C 85.777,83,

zione proporzionale dell’importo sequestrabile.
In ultimo, il ricorrente ritiene che l’ordinanza vada annullata a seguito
della verifica di proporzionalità della somma sequestrata rispetto al profitto della
contestata evasione.
A seguito della ritenuta deducibilità, da parte del riesame, delle somme di
C 33.181,19 e di C 61.375,04, lo stesso collegio avrebbe dovuto riformare il decreto mediante proporzionale riduzione dell’importo sequestrabile. Detta riduzione sarebbe stata espressamente richiesta nelle conclusioni dei motivi di riesame.
b. Inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 322 ter cod. pen. e
321 cod. proc. pen. (art. 606, co. 1, lett. b) e c) cod. proc. pen.).
Il ricorrente deduce di aver eccepito, nei motivi di riesame, l’illegittimità
del sequestro per mancata specifica indicazione dei beni da sottoporre a vincolo.
L’elencazione specifica dei beni sarebbe stata presente nell’informativa
della Guardia di Finanza.
Nonostante ciò, il Tribunale avrebbe ritenuto che non risultasse agli atti la
specificazione dell’ammontare complessivo delle disponibilità finanziarie e che il
P.M. non avesse indicato i beni specifici da sottoporre a sequestro, pertanto il
GIP avesse legittimamente disposto il sequestro generico.
Chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con ogni consequenziale statuizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra illustrati sono parzialmente fondati, nei limiti che si andrà a specificare

2. Va ricordato che l’art. 325 cod. proc. pen. prevede che contro le ordinanza in materia di riesame di misure cautelari reali il ricorso per cassazione
possa essere proposto solo per violazione di legge.
La giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha,
tuttavia, più volte ribadito come in tale nozione debbano ricomprendersi sia gli
“errores in ludicando” o n in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radi5

avrebbe comportato la riduzione della contestata evasione, comportando la ridu-

cali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o
del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal
giudice (vedasi Sez. U, n. 25932 del 29.5.2008, Ivanov, rv. 239692; conf. sez.
5, n. 43068 del 13.10.2009, Bosi, rv. 245093).
Ancora più di recente è stato precisato che è ammissibile il ricorso per
cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento

requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico
seguito dal giudice nel provvedimento impugnato. (così sez. 6, n. 6589 del
10.1.2013, Gabriele, rv. 254893 nel giudicare una fattispecie in cui la Corte ha
annullato il provvedimento impugnato che, in ordine a contestazioni per i reati
previsti dagli artt. 416, 323, 476, 483 e 353 cod. pen. con riguardo all’affidamento di incarichi di progettazione e direzione di lavori pubblici, non aveva specificato le violazioni riscontrate, ma aveva fatto ricorso ad espressioni ambigue,
le quali, anche alla luce di quanto prospettato dalla difesa in sede di riesame,
non erano idonee ad escludere che si fosse trattato di mere irregolarità amministrative,).
Di fronte all’assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso
l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento essenziale dell’atto.

3. Ciò premesso, ritiene il Collegio che nel caso all’odierno esame, come
si andrà a specificare, effettivamente, come rileva il ricorrente, il tribunale pescarese non ha risposto a tutti i corposi motivi depositati dalla difesa all’udienza
del gravame cautelare, evidenziando il provvedimento impugnato un deficit motivazionale tale da configurare l’errata applicazione di norme di diritto.
Pur mancando negli atti trasmessi a questa Corte di legittimità il decreto
di sequestro preventivo, va evidenziato che dal provvedimento impugnato non

si evince la motivazione per cui non sia stato possibile dar luogo a sequestro diretto del profitto del reato, punto su cui si era incentrato uno dei
motivi di riesame (C2).
Va ricordato, infatti, che in tema di reati tributari, il sequestro preventivo,
funzionale alla confisca per equivalente, può essere disposto non soltanto per il
prezzo, ma anche per il profitto del reato. (sez. 3, n. 23108 del 23.4.2013, Nacci, rv. 255446, nella cui motivazione la Corte ha precisato che il principio rimane
valido anche dopo le modifiche apportate all’art. 322 ter cod. pen. dalla I. n. 190

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impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei

del 2012; conf. sez. 3 n. 35807 del 7.7.2010, Bellonzi e altri, rv. 248618; sez. 3
n. 25890 del 26.5.2010, Molon, rv. 248058).
Il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente (art. 322ter cod. pen.) può essere applicato ai beni anche nella sola disponibilità dell’indagato, per quest’ultima intendendosi, al pari della nozione civilistica del possesso, tutte quelle situazioni nelle quali i beni stessi ricadano nella sfera degli

interessi economici del reo, ancorché il potere dispositivo su di essi venga
esercitato per il tramite di terzi (sez. 3, n. 15210 dell’ 8.3.2012).

cuna disposizione legislativa una definizione della nozione di “profitto del reato” e
che tale locuzione viene utilizzata in maniera meramente enunciativa nelle varie
fattispecie in cui è inserita, assumendo quindi un’ampia “latitudine semantica” da
colmare in via interpretativa (Sezioni Unite, 2.7.2008, n. 26654, Fisia Italimpianti S.p.A. ed altri). In detta pronuncia (con riferimento alla confisca di valore prevista dall’art. 19 del d.Lgs. 8.6.2001, n. 231) sono state richiamate le consolidate affermazioni giurisprudenziali sulla nozione di “profitto dei reato” contenuta
nell’art. 240 cod. pen., secondo le quali: “il profitto a cui fa riferimento l’art. 240,
comma 1, cod. pen., deve essere identificato col vantaggio economico ricavato in
via immediata e diretta dal reato” (vedi Sez. Unite 24.2.1993, n. 1811, Bissoli;
17.10.1996, n. 9149, Chabni Samir).
Come affermato dalla condivisibile giurisprudenza di questa Suprema Corte, inoltre, in tema di reati tributari, il sequestro finalizzato alla confisca per
equivalente prevista dall’art. 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007 va riferito all’ammontare dell’imposta evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di profitto del reato, costituito dal risparmio economico conseguente alla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui
certamente beneficia il reo; a tal fine, per la quantificazione di questo risparmio,
deve tenersi conto anche del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni
dovute in seguito all’accertamento del debito tributario (così questa sez. 3, 23
ottobre 2012, n. 45849).
Ebbene, com’è noto, questa Corte, a Sezioni Unite, con la nota sentenza
n. 10561/2014 , Gubert, ha affermato i seguenti principi: I. E’ consentito nei
confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca
di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di
reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilità di
tale persona giuridica. II. Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla
confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia
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Le Sezioni Unite hanno rilevato, in proposito, che non è rinvenibile in al-

stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona
giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio. III. Non è
consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei
confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro

o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di
reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in
capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al

solo transitoria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei
beni costituenti il profitto di reato.
Sul punto di cui al principio sub III, dunque, dovrà essere fornita dal giudice del rinvio la riposta che manca nel provvedimento impugnato.
Nemmeno pare poi fornita una risposta alle doglianze sopra ricordate sub
motivo 134, con il quel il ricorrente aveva lamentato che, nel caso di specie, doveva ritenersi insussistente la fittizietà degli elementi passivi esposti, sollevandosi specificamente la problematica relativa al rapporto fra indeducibilità e fittizietà: il costo “fittizio” starebbe ad indicare esclusivamente quell’elemento passivo
cui non corrisponde un esborso monetario equivalente rispetto al dato indicato
nel documento fiscale. Ogni altra questione, che possa viziare l’indicazione di un
costo in dichiarazione, quale la indeducibilità, la inerenza, la mancata aderenza
ai criteri valutativi prescritti, non potrebbe incidere sulla sua esistenza concreta
e, dunque, portare a qualificarlo come fittizio.
S’impone, dunque, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al
Tribunale di Pescara, chiamato a motivare sui punti di cui si è detto.

4. L’ordinanza impugnata, che sui punti sopra evidenziati non fornisce
una risposta, per il resto appare motivata in maniera coerente e logica.
E’ evidente l’utilizzabilità a fini cautelari -e quindi l’infondatezza della doglianza oggi riproposta in punto di violazione dell’art. 220 disp. att cod. proc.
pen.- di tutte le risultanze della compiuta verifica fiscale.
Correttamente poi, in punto di diritto, sostiene il tribunale del riesame che
il controllo del giudice non possa investire la concreta fondatezza dell’accusa, ma
limitarsi all’astratta possibilità, non smentita dalle risultanze fattuali, di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato.
La doglianza fondata sull’omessa pronuncia sui restanti singoli motivi di
riesame appare infondata. Il tribunale si è pronunciato in maniera esaustiva ricostruendo l’intera vicenda che ha dato origine all’indagine.

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reato. IV. La impossibilità del sequestro del profitto del reato può essere anche

Sulla mancanza di specifica indicazione dei beni sottoposti a sequestro, il
tribunale (cfr. pag. 6 del provvedimento impugnato) fa buon governo della richiamata giurisprudenza di questa Corte di legittimità laddove sostiene che esiste l’onere ma non l’obbligo di tale indicazione, che ben può essere demandata
all’esecuzione.
Su tali punti non sussiste, dunque, la lamentata violazione di legge.

P.Q.M.

Così deciso in Roma il 27 maggio 2015

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Il Presidente

Annulla il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Pescara.

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