Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25342 del 27/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 25342 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MILETTA SALVATORE N. IL 07/03/1959
avverso l’ordinanza n. 17/2015 TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO,
del 19/02/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO
PEZZELLA;
–l-Me/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 27/05/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Catanzaro, con ordinanza del 19.2.2015, rigettava
l’istanza di riesame proposta dall’odierno ricorrente, MILETTA SALVATORE, avverso il decreto di sequestro preventivo per equivalente emesso dal GIP del Tribunale di Lamezia Terme Vasto il 13.11.2014, fino a concorrenza della somma di
C 3.665.967,16, di beni intestati a Miletta Salvatore indagato per il reato di cui
all’art. 4 D.Lgs. 74/2000, in quanto nella qualità di legale rappresentante della
“BDE trasporti srl”, nelle previste dichiarazioni relative ai periodi di imposta rela-

con conseguente evasione di euro 1.876.662,39 per Ires ed euro 1.789.304,77
per IVA, per un ammontare complessivo di euro 3.665.967,16.

2. Ricorre Miletta Salvatore, a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
• Difetto dei presupposti del sequestro.
Il ricorrente deduce la palese assenza dell’elemento soggettivo del reato,
pertanto la condotta delittuosa di indicazione di elementi passivi fittizi non può
ascriversi al Miletta.
Come già specificato nel processo verbale di constatazione della Guardia
di Finanza, richiamato dal P.M. e dal GIP, la mancata presentazione della documentazione contabile degli elementi passivi presenti nelle dichiarazioni dei redditi
presentate, è stata dovuta a causa di forza maggiore, in quanto la stessa documentazione è andata distrutta a seguito di un allagamento.
I costi passivi indicati non sarebbero fittizi, ma semplicemente non documentabili e, quindi, non potrebbe ravvisarsi in capo all’indagato la volontà di
evadere le tasse.
Tale circostanza sarebbe stata dimostrata sia dalla denuncia presentata
dallo stesso Miletta che dalle indagini difensive espletate ed ancora in corso.
L’indagato avrebbe provveduto a ricostruire in maniera indiretta la distrutta documentazione, tramite il confronto con clienti e fornitori.
La buona fede dell’indagato sarebbe dimostrata dall’avvenuta denuncia
dei fatti, seppure in ritardo, in data certamente anteriore alle operazioni di verifica fiscale.
Inoltre la carenza dell’elemento psicologico del reato non solo emergerebbe da un’attenta analisi dei fatti denunciati nel P.V.C. della Guardia di Finanza,
ma sarebbe stata implicitamente ammessa dal P.M., che ha richiesto il sequestro. Infatti, la scelta di indagare il Miletta per il solo reato di cui all’art. 4 D.L.vo
74/2000 implicherebbe la carenza dei presupposti per il più grave reato di occul-

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tivi agli anni 2008, 2009, 2010 e 2011, avrebbe indicato elementi passivi fittizi,

tamento o distruzione delle scritture contabili, ammettendo così che la mancata
consegna dei documenti contabili sia dovuta a causa di forza maggiore.
Tale circostanza non solo escluderebbe la configurazione del reato di cui
all’art. 10 ma anche di quello di cui all’art. 4 dello stesso decreto.
Il ricorrente ritiene che il P.M. avrebbe ammesso che la distruzione dei
documenti contabili non costituisca reato e, quindi, ciò comproverebbe che gli
elementi cosiddetti fittizi siano gli elementi documentati dalla stessa documentazione andata distrutta.

errori nella ricostruzione della vicenda operata dal Tribunale.
In particolare evidenzia che l’inizio della verifica fiscale sarebbe avvenuto
1’1.10.2013 e non il 29.5.2012. Il questionario inviato in data 29.5.2012 era legato ad altra verifica fiscale effettuata nei confronti di un’altra società la D.M.T.
sas.
Il ritardo nella denuncia della perdita della documentazione fiscale sarebbe stata dovuta alla mancata percezione delle possibili conseguenze
dell’accaduto, tenuto conto anche dei disagi lavorativi ed economici patiti per
l’accadimento atmosferico. Non corrisponderebbe al vero che l’evasione fiscale
sia stata accertata dalla Guardia di Finanza attraverso un accertamento induttiv o.
Lo stesso P.M. parla di controllo contabile e sostanziale operato dalla G.d
F. analiticamente descritto, facendo riferimento ad una ricostruzione analitica e
non induttiva. Inoltre soltanto l’Agenzia delle Entrate ha il potere di qualificare la
pretesa fiscale da avanzare.
Rileva, infine la carenza del presupposto della gravità indiziaria.

Chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con il dissequestro del compendio oggetto di cautela, in favore dell’avente diritto ovvero disporre quanto già richiesto in via gradata al tribunale del Riesame.

CONSIDERATO IN DIRITTO
l. I motivi sopra illustrati sono infondati e pertanto il proposto ricorso va
rigettato.

2. Va ricordato che l’art. 325 cod. proc. pen. prevede che contro le ordinanza in materia di riesame di misure cautelari reali il ricorso per cassazione
possa essere proposto solo per violazione di legge.
La giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha,
tuttavia, più volte ribadito come in tale nozione debbano ricomprendersi sia gli

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Il ricorrente ricostruisce, poi, i fatti, evidenziando quelli che ritiene essere

”errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o
del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal
giudice (vedasi Sez. U, n. 25932 del 29.5.2008, Ivanov, rv. 239692; conf. sez.
5, n. 43068 del 13.10.2009, Bosi, rv. 245093).
Ancora più di recente è stato precisato che è ammissibile il ricorso per
cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur con-

impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei
requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico
seguito dal giudice nel provvedimento impugnato. (così sez. 6, n. 6589 del
10.1.2013, Gabriele, rv. 254893 nel giudicare una fattispecie in cui la Corte ha
annullato il provvedimento impugnato che, in ordine a contestazioni per i reati
previsti dagli artt. 416, 323, 476, 483 e 353 cod. pen. con riguardo all’affidamento di incarichi di progettazione e direzione di lavori pubblici, non aveva specificato le violazioni riscontrate, ma aveva fatto ricorso ad espressioni ambigue,
le quali, anche alla luce di quanto prospettato dalla difesa in sede di riesame,
non erano idonee ad escludere che si fosse trattato di mere irregolarità amministrative,).
Di fronte all’assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso
l’obbligo dì motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento essenziale dell’atto.

3. Ciò premesso, ritiene il Collegio che nel caso all’odierno esame, come
si andrà a specificare, non si sia in presenza di un deficit motivazionale tale da
configurare l’errata applicazione di norme di diritto.
Il Tribunale di Catanzaro offre, infatti, una motivazione congrua, disattendendo i motivi oggi riproposti, in primo luogo per quanto riguarda l’incertezza,
anche secondo la prospettazione difensiva, circa il fatto che le scritture obbligatorie richieste per il riscontro delle dichiarazioni tributarie oggetto di verifica fossero andate disperse nel febbraio del 2012 a causa degli allagamenti avvenuti
nella zona.
Anche a voler trascurare il particolare, certamente di non poco conto, che
la denuncia del Miletta venne sporta ai carabinieri di Sambiase il 16/5/2013,
quindi a distanza di più di un anno dai fatti e in contemporanea comunque con
l’attività di controllo della polizia tributaria, fosse essa riferita all’una o all’altra
società dell’imputato, il tribunale del riesame dà conto nel provvedimento impugnato che lo stesso Miletta aveva dichiarato in denuncia: ” In data odierna, a se4

sentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento

guito di un controllo della documentazione riferita alla mia contabilità aziendale,
ho potuto constatare l’ammanco di varia contabilità fiscale fino all’anno 2011. Ritengo che detto materiale sia andato distrutto a seguito della calamità naturale
dovuta al maltempo abbattutosi nella zona nel febbraio 2012, epoca in cui un
mio locale adibito a deposito sito nella contrada Rotoli, subì un allagamento causato dall’acqua piovana”.
Logicamente viene dedotto nel provvedimento impugnato non solo che la
tardiva denuncia ai carabinieri viene presentata in seguito alla notizia che era in

za di dove si trovassero le scritture contabili e solo in termini ipotetici ne ricollegava il loro mancato rinvenimento all’occasione indicata.
Per contro, come si dà conto nel provvedimento impugnato, dal compendio indiziario, composto interamente dall’esito della verifica fiscale emergeva che
la società BDE Trasporti S.r.l., legalmente rappresentato da Miletta Salvatore,
aveva indicato nelle dichiarazioni annuali relative all’imposta sui redditi ed Iva
elementi passivi dei quali non era in grado di esibire le scritture contabili obbligatorie e nemmeno altra certificazione fiscale. L’ipotesi accusatoria, dunque, appare sorretta, oltre che da una presunzione tributaria che permette la determinazione induttiva del reddito evaso, su dati di fatto precisi come emergenti dal verbale di verifica della Guardia di Finanza.
Il tribunale calabrese fa buon governo della giurisprudenza di questa Corte di legittimità – e nello specifico del richiamato dictum di questa sez. 3 n.
40992 del 14/5/2013, Ottaiano, rv 257620 laddove ha affermato che, quand’anche si volesse sostenere che, ai fini della determinazione delle somme omesse
nella dichiarazione, occorrerebbe tenere conto dei costi sostenuti dall’azienda per
la produzione dei ricavi, una tale determinazione risulta essere preclusa al tribunale in sede di riesame trattandosi di attività riservata al giudice di merito.
Corretti appaiono i ricordati presupposti, con riferimento all’articolo
322ter cod. proc. pen., per cui si è proceduto al sequestro non solo dei beni che
costituiscono il profitto del reato ma anche di quelli di cui l’indagato ha la disponibilità, per un valore corrispondente a quello del profitto, o non inferiore allo
stesso, e senza necessità di provare alcun nesso di derivazione dei beni oggetti
del sequestro dei reati sui quali lo stesso si fonda.

4. Va ricordato, infatti, che in tema di reati tributari, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, può essere disposto non soltanto
per il prezzo, ma anche per il

profitto del reato. (sez. 3, n. 23108 del

23.4.2013, Nacci, rv. 255446, nella cui motivazione la Corte ha precisato che il
principio rimane valido anche dopo le modifiche apportate all’art. 322 ter cod.

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atto il controllo tributario, ma anche che il denunciante non aveva esatta contez-

pen. dalla I. n. 190 del 2012; conf. sez. 3 n. 35807 del 7.7.2010, Bellonzi e altri,
rv. 248618; sez. 3 n. 25890 del 26.5.2010, Molon, rv. 248058).
Il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente (art. 322ter cod. pen.) può essere applicato ai beni anche nella sola disponibilità dell’indagato, per quest’ultima intendendosi, al pari della nozione civilistica del possesso, tutte quelle situazioni nelle quali i beni stessi ricadano nella sfera degli

interessi economici del reo, ancorché il potere dispositivo su di essi venga
esercitato per il tramite di terzi (sez. 3, n. 15210 dell’ 8.3.2012).

cuna disposizione legislativa una definizione della nozione di “profitto del reato” e
che tale locuzione viene utilizzata in maniera meramente enunciativa nelle varie
fattispecie in cui è inserita, assumendo quindi un’ampia “latitudine semantica” da
colmare in via interpretativa (Sezioni Unite, 2.7.2008, n. 26654, Fisia Italimpianti S.p.A. ed altri). In detta pronuncia (con riferimento alla confisca di valore prevista dall’art. 19 del d.Lgs. 8.6.2001, n. 231) sono state richiamate le consolidate affermazioni giurisprudenziali sulla nozione di “profitto dei reato” contenuta
nell’art. 240 cod. pen., secondo le quali: “il profitto a cui fa riferimento l’art. 240,
comma 1, cod. pen., deve essere identificato col vantaggio economico ricavato in
via immediata e diretta dal reato” (vedi Sez. Unite 24.2.1993, n. 1811, Bissoli;
17.10.1996, n. 9149, Chabni Samir).
Come affermato dalla condivisibile giurisprudenza di questa Suprema Corte, inoltre, in tema di reati tributari, il sequestro finalizzato alla confisca per
equivalente prevista dall’art. 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007 va riferito all’ammontare dell’imposta evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di profitto del reato, costituito dal risparmio economico conseguente alla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui
certamente beneficia il reo; a tal fine, per la quantificazione di questo risparmio,
deve tenersi conto anche del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni
dovute in seguito all’accertamento del debito tributario (così questa sez. 3, 23
ottobre 2012, n. 45849).
L’ordinanza impugnata appare correttamente motivata ed il ricorso tende
ad ottenere un riesame delle circostanze di fatto precluso in questa sede.

5. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna di parte ricorrente
al pagamento delle spese processuali.

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Le Sezioni Unite hanno rilevato, in proposito, che non è rinvenibile in al-

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 27 maggio 2015
nsigliere este sore

Il Presidente

Il

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