Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25340 del 27/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 25340 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI PESCARA
nei confronti di:
MAR c0
DE LUCA IVIZO232 MARIA N. IL 14/10/1961
avverso la sentenza n. 2931/2014 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di PESCARA, del 04/11/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO
PEZZELLA;
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Data Udienza: 27/05/2015

I.

RITENUTO IN FATTO
1. Il GUP del Tribunale di Pescara, con sentenza emessa, in camera di
consiglio del 4.11.2014, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen, dichiarava non doversi procedere perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e rigettava
la richiesta di patteggiamento di DE LUCA MARCO MARIA, proposta con il consenso del P.M. per il reato di cui all’art. 10 D.L.vo 74/2000 per occultamento o
distruzione di scritture contabili di cui è obbligatoria la conservazione in modo da
non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume di affari per le annualità

viduale MEDIA 3 di De Luca Marco Maria; in Pescara commesso dal 2008 al 2012
ed accertato il 19.10.2012.

2. Ricorre il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pescara,
deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
• Violazione e/o erronea applicazione della legge penale, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Il ricorrente, dopo aver brevemente ricostruito i fatti di causa, deduce che
il ragionamento posto a base della sentenza impugnata sarebbe fondato su
un’erronea interpretazione della legge e su di un travisamento dei fatti processuali con conseguente illogicità della motivazione.
Nel caso di specie la prova dell’istituzione dei documenti contabili sarebbe
stata desumibile dall’avvenuto rinvenimento presso la ditta dell’imputato di due
faldoni di documentazione bancaria, nonché dai controlli incrociati presso ì clienti
della ditta, ove venivano rinvenute oltre sessanta fatture, non presenti però
presso la ditta.
Tali elementi dimostrerebbero l’esistenza di documentazione contabile che
poteva servire a ricostruire il volume di affari e dei redditi della ditta
dell’imputato, che non è stata rinvenuta né esibita.
Pertanto, risultando in maniera incontrovertibile l’esistenza dei documenti,
sarebbe evidente l’avvenuto occultamento o distruzione per non consentire la ricostruzione contabile.
Erroneamente il giudicante avrebbe ritenuto, dalla mancanza della documentazione presso la ditta e dalla mera dichiarazione dello stesso imputato di
non aver istituito alcuna documentazione contabile obbligatoria, l’assenza della
stessa, risultando tale deduzione frutto di un’erronea valutazione dei fatti processuali e di erronea applicazione della norma penale.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, con i conseguenti provvedimenti di legge.

dal 2008 al 2012, commesso in qualità di legale rappresentante della ditta indi-

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso appare fondato e va accolto

2. Ed invero, il GIP pescarese ha ritenuto che ci si trovasse di fronte alla
mancata istituzione delle scritture contabili —che effettivamente non è prevista
dalla legge come reato- trascurando, tuttavia, come fossero stati acquisiti agli
atti tutta una serie di elementi, in primis quello costituito dall’esistenza presso i
clienti della ditta dell’imputato delle fatture non rinvenute presso la stessa ditta

sussistenza del reato contestato.
Va ricordato, infatti, che, secondo il dictum di questa Corte di legittimità
l’occultamento delle scritture contabili, che integra gli estremi del reato di cui
all’art. 4, primo comma, n. 2 del D.L. 10 luglio 1982, n. 429, può realizzarsi con
qualsivoglia modalità e quindi con il materiale nascondimento in altro luogo rispetto a quello ove i documenti debbono esser conservati e con il rifiuto di esibirli (cfr. sez. 3, n. 3332 del 15.2.1991, Palese, rv. 186657). E, come rilevato da
questa Corte Suprema in un caso analogo a quello che ci occupa, la prova
dell’esistenza di documenti contabili non rinvenuti in sede di accertamento dalla
Guardia di Finanza può anche essere desunta dal rinvenimento di fatture per
prestazioni eseguite a favore di clienti, reperite presso questi ultimi, ma non più
in possesso dell’imputato (cfr. questa sez. 3, n. 38224 del 7.10.2010, Di Venti,
rv. 248571).
E’ stato anche precisato che il delitto di distruzione od occultamento di
scritture contabili o documenti obbligatori, non richiede, per la sua integrazione,
che si verifichi in concreto una impossibilità assoluta di ricostruire il volume d’affari o dei redditi, essendo sufficiente anche una impossibilità relativa, non esclusa quando a tale ricostruzione si possa pervenire “aliunde” (sez. 3, n. 39711 del
4.6.2009, Acerbis, rv. 244619).
Ciò in quanto il bene giuridico oggetto della tutela penale del reato di occultamento dì documenti contabili (art. 10 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) è l’interesse statale alla trasparenza fiscale del contribuente, in quanto la norma penale
incriminatrice sanziona l’obbligo di non sottrarre all’accertamento le scritture ed i
documenti obbligator (sez. 3, n. 3057 del 14.11.2007 dep. il 21.1.2008, Lanteri,
rv. 238613).
3. Il Gip pescarese è andato oltre quelli che sono, secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte regolatrice, i limiti di pronunciabilità di una sentenza ex art. 129 cod. proc. pen. in caso di richiesta di patteggiamento

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dell’imputato e poi la documentazione bancaria, da poter valutare ai fini della

In caso dì richiesta concorde di applicazione della pena, infatti, non è consentito al giudice pronunciare prìma del dibattimento sentenza di proscioglimento o di assoluzione ex art. 129 cod. proc. pen. per mancanza, contraddittorietà
od insufficienza della prova desumibile dal fascicolo del pubblico ministero, salvo
che le stesse siano irreversibili (cfr. sez. 3, n. 28971 del 7.6.2012, Capobianco,
rv. 253148; sez. 2, n. 6095 del 9.1.2009, Cusimano, rv. 243279; sez. 2, n. 2076
del 28.10.2003, Rallo ed altro, rv. 228148).
In altre parole, il divieto di pronunciare prima del dibattimento sentenza

qualora si versi in ipotesi di assoluta ed irreversibile assenza di un qualsiasi elemento di prova del fatto illecito e della responsabilità dell’imputato, ossia in una
situazione probatoria che non possa essere sviluppata nel dibattimento. Difatti,
in presenza di una radicale e non reversibile carenza di prova della sussistenza
del fatto o della responsabilità dell’imputato per il reato oggettivamente accertato nella sua materialità, la necessità della pronuncia di assoluzione deve farsi dipendere dai principi generali che regolano l’istituto della applicazione di pena su
istanza di parte, con í quali sarebbe logicamente impossibile un provvedimento di
applicazione di pena svincolato dalla astratta possibilità di accertamento della responsabilità penale dell’imputato senza tradire la causa stessa del patto sulla pena, che è quella della astratta possibilità, e quindi del rischio, di un accertamento
della responsabilità penale e di una conseguente più rigorosa condanna (così sez.
2, n. 2076 del 28.10.2003, n. 2076, Rallo, in motivazione).
Non è, tuttavia, come si diceva, il caso che ci occupa, ove vi erano elementi di assoluta discrasia rispetto all’opzione prescelta dal giudice di ritenere la
mancata istituzione delle scritture contabili e, quindi, l’insussistenza del reato.
Il giudice dell’udienza preliminare deve conformare i suoi poteri valutativi
al rito scelto dalle parti, con la conseguenza che gli è precluso di prosciogliere
l’imputato che ha chiesto di definire la sua posizione con l’applicazione di pena
concordata, facendo ricorso ai parametri indicati dall’art. 425 cod. proc. pen.,
che governano la valutazione della validità processuale della richiesta di rinvio a
giudizio (sez. 2, n. 47444 del 17.10.2014, Colombini ed altri, rv. 260957).
Peraltro, va anche ricordato, sul punto, il costante dictum di questa Corte
di legittimità secondo cui il giudice dell’udienza preliminare nel pronunciare sentenza di non luogo a procedere, a norma dell’art. 425, comma terzo, cod. proc.
pen., deve valutare, sotto il solo profilo processuale, se gli elementi acquisiti risultino insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in
giudizio, non potendo procedere a valutazioni di merito del materiale probatorio
ed esprimere, quindi, un giudizio di colpevolezza dell’imputato ed essendogli inibito il proscioglimento in tutti i casi in cui le fonti di prova si prestino a soluzioni
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di proscioglimento o di assoluzione ex art. 129 cod. proc. pen. non opera solo

alternative e aperte o, comunque, ad essere diversamente rivalutate. (sez. 2, n.
48831 del 14.11.2013, Maida, rv. 257645; cfr. anche, sez. 4 n. 26410 del
18.4.2007, Giganti ed altri, rv. 236800; sez. 3, n. 39401 del 21.3.2013, Narducci e altri, rv. 256848; sez. 6, n. 5049 del 27.11.2012 dep. 31.1.2013, Cappello e altri, rv. 254241; sez. 5 n. 22864 del 15.5.2009, Giacomin, rv. 244202
S’impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con trasmissione degli atti al Tribunale di Pescara per l’ulteriore corso.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata. Atti al Tribunale di Pescara.
Così deciso in Roma il 27 maggio 2015
Il

iglìere es nsore

Il Presidente

P.Q.M.

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