Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25339 del 27/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 25339 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CASTAGNA RAFFAELE N. IL 06/06/1935
avverso la 09tdimott n. 11/2015 TRIB. LIBERTA’ di CHIETI, del
16/03/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO
PEZZELLA;
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/ette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Uditi di sor Avv.;

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Data Udienza: 27/05/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Chieti, con ordinanza del 16.3.2015, rigettava l’istanza
di riesame proposta dall’odierno ricorrente, CASTAGNA RAFFAELE, avverso il decreto del GIP del Tribunale di Vasto del 20.1.2015, di sequestro preventivo, anche per equivalente, della somma di C 186.400 o beni di pari valore nella disponibilità del Castagna, indagato per il reato di cui all’art. 10 ter D.Lgs. 74/2000.

2. Ricorre Castagna Raffaele, a mezzo del proprio difensore di fiducia, de-

tivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:

a. Inosservanza o erronea applicazione degli artt. 322ter cod. pen. e 321
cod. proc. pen. ex art. 606, lett. B) cod. proc. pen., per aver il Tribunale, nonostante la rateizzazione della somma dovuta dal Castagna ed il suo puntuale pagamento, sostenuto che non risulta rilevante la circostanza che l’Erario abbia recuperato o stia recuperando parte del debito tributario.
Il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto irrilevante l’avvenuto recupero di parte del debito tributario, in quanto il sequestro preventivo finalizzato alla
confisca per equivalente prevista dall’ad 322 ter cod. pen. ha finalità sanzionatoria. Tale argomentazione, infatti, riguarderebbe solo la misura della confisca
mentre il sequestro preventivo sarebbe una misura cautelare reale con vincolo di
indisponibilità su cose mobili e immobili, al fine di interrompere il compimento di
un reato o di impedirne il compimento di ulteriori.
Pertanto, la circostanza dell’avvenuta

rateizzazione del debito per

mancato versamento dell’IVA e il regolare pagamento delle rate farebbero venir
meno l’esigenza del sequestro preventivo, venendo meno la finalità cautelare.
Sicuramente assente – si sostiene in ricorso- è il pericolo che la disponibilità del danaro pertinente il reato possa aggravare o protrarne le conseguenze,
ovvero agevolare il compimento di altri reati.
Il tribunale non avrebbe debitamente considerato tali questioni e non
avrebbe tenuto conto della possibilità, data dalla legge, di non applicare la confisca nei casi in cui avvenga il pagamento delle imposte.
Rileva inoltre, il ricorrente che con il pagamento dell’imposta verrebbe
eliminata l’eventuale offesa agli interessi economici dello Stato.
In ogni caso, poi, non sarebbe stato commesso alcun reato, perché il bene giuridico tutelato sarebbe l’esigenza di percepire i tributi in modo completo.
Tenuto conto dello scopo perseguito dal sequestro preventivo e del bene
giuridico tutelato dall’art. 10 ter D.Lgs. 74/2000, l’adempimento dell’obbligazione
tributaria inciderebbe sulla persistenza dei presupposti per il mantenimento della
misura ed il pagamento sia pure tardivo farebbe venir meno qualsiasi indebito

ducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la mo-

vantaggio da aggredire con il provvedimento ablatorio. Cessano, di fatto, le ragioni giustificatrici del sequestro e della confisca.
Altrimenti il Castagna, oltre ad aver adempiuto al suo debito, si vedrebbe
privato anche dei beni equivalenti per valore al profitto del reato, ormai dismesso con il versamento dell’imposta evasa.
Così come l’avvenuta restituzione del profitto del reato fa venir meno lo
scopo perseguito con il sequestro e la confisca, parimenti l’accordo transattivo
per il versamento rateale dell’imposta dichiarata ed evasa, con il pagamento

dell’ingiustificato arricchimento derivante dal reato.
b. Erronea applicazione degli artt. 13 e 14 D.Lgs. 74/2000 ex art. 606,
lett. B cod. proc. pen., per aver il Tribunale sostenuto, nonostante il dettato
normativo non si esprima in tal senso, che il fatto che il sequestro sia applicabile
indipendentemente dall’esistenza di un danno all’amministrazione o di un avvenuto risarcimento del danno stesso sia ricavabile dagli articoli suddetti.
Il Tribunale avrebbe erroneamente sostenuto che il sequestro fosse applicabile indipendentemente dall’esistenza di un danno o dall’avvenuto risarcimento
dello stesso danno.
Gli art 13 e 14 D.Lgs. 74/2000 perseguirebbero un fine diverso rispetto a
quello indicato in ordinanza.
L’ordinanza risulterebbe illegittima in quanto non ricorrerebbe, nel caso di
specie, il fine di interrompere il reato o impedire il compimento di ulteriori reati.
c. Inosservanza o erronea applicazione degli artt. 321 cod. proc. pen. e
10 ter D.Lgs. 74/2000 ex art. 606, lett. b) cod. proc. pen., per aver il Tribunale
sostenuto che a giustificare il sequestro preventivo è sufficiente il fumus della
sussistenza degli estremi del reato e che la verifica della antigiuridicità del fatto
va compiuta su un piano di astrattezza.
La concessione della misura non può basarsi solo sulla verifica della configurabilità della fattispecie in una determinata ipotesi di reato, ma deve estendersi al controllo della concreta fondatezza dell’accusa.
Non può prescindersi dalla sussistenza del fumus commissi delicti, ossia
dall’esistenza di elementi incisivi dai quali poter desumere in concreto la sussistenza del reato. Non basta il semplice sospetto, ma occorre una rilevante probabilità che il delitto sia stato commesso.
Il Tribunale di Chieti non avrebbe rappresentato, in maniera puntuale e
coerente, le concrete risultanze processuali e la situazione emergente dagli elementi forniti, dimostrando la congruenza dell’ipotesi di reato prospettata rispetto
ai fatti cui si riferisce la misura del sequestro e l’esistenza di un vincolo tra la cosa ed il reato per cui si procede.
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graduale secondo un piano di estinzione del debito realizzerebbe l’eliminazione

Il Tribunale del riesame avrebbe ritenuto l’esistenza del fumus senza verificare la concreta fondatezza dell’accusa e senza operare una prospettazione
dell’esistenza degli elementi concreti per attribuire il reato alla persona indagata.
Pertanto, non sarebbe sostenibile la fondatezza dell’accusa.
Il ricorrente rileva, ancora, la mancanza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 10 ter D.Lgs. 74/2000.
Non sussisterebbe l’elemento psicologico doloso, in quanto l’indagato ha
regolarmente denunciato in dichiarazione le somme dovute non versate soltanto

Erroneamente l’elemento psicologico sarebbe stato ritenuto sussistente
sul presupposto che il Castagna alla data di consumazione del reato ricoprisse la
carica di amministratore della società.
Il comportamento dell’indagato potrebbe, al massimo, configurare un atteggiamento colposo, in quanto VIVA non è stata evasa, ma dichiarata correttamente e rateizzata.
Il sequestro, a seguito del pagamento delle rate, risulterebbe vanificato
ed eccessivamente punitivo.
Il tribunale non avrebbe considerato le problematiche relative all’effettiva
ed importante crisi di illiquidità non imputabile all’indagato.
In ogni caso, infine, andrebbe riconosciuta l’esimente della forza maggiore
stante l’oggettiva difficoltà di recuperare i numerosi crediti aziendali verso terzi,
certamente superiori ai crediti vantati e residui dell’Erario.
Nessun profitto o indebito vantaggio patrimoniale, sarebbe stato ottenuto
dal Castagna nel caso di specie, pertanto non è configurabile alcuna condotta
tendente ad accrescere il proprio patrimonio con la conseguente illegittimità della
misura di sequestro.

d. Inosservanza o erronea applicazione dell’art. 321 cod. proc. pen. ex
art. 606, lett. b) cod. proc. pen., per aver il Tribunale sostenuto che il tratto punitivo della misura in oggetto comporta l’irrilevanza della pericolosità del protrarsi della condotta.
Il Tribunale non avrebbe correttamente valutato il periculum in mora, che
per legittimare il sequestro preventivo, deve essere considerato in senso oggettivo, come probabilità di danno futuro e presentare i caratteri di concretezza e
attualità. Inoltre occorrerebbe l’esistenza di una specifica strumentalità del bene
con il reato commesso.
Il Tribunale avrebbe ritenuto che il tratto punitivo della misura renderebbe irrilevante la pericolosità del protrarsi della condotta, mentre avrebbe dovuto
riconoscere la mancanza di probabilità di una danno futuro e concreto.

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per la momentanea crisi economica.

e. Inosservanza o erronea applicazione dell’art. 321 cod. proc. pen. ex art
606, lett. b) cod. proc. pen., per aver il Tribunale sostenuto che, nonostante non
siano stati rispettati i tempi di notifica del decreto di sequestro preventivo la cui
inosservanza determina nullità ed inefficacia del decreto, ciò non rilevi in quanto
avente a che vedere con l’ipotesi della convalida da parte del GIP del sequestro
disposto dal P.M.
Il Tribunale non avrebbe considerato la tardività ed inammissibilità della
notifica del decreto di sequestro.

con i provvedimenti consequenziali atti a caducare la misura reale in atto, con
rinvio al giudice che dovrà procedere con le disposizioni consequenziali.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra illustrati sono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va
rigettato.

2. Va ricordato che l’art. 325 cod. proc. pen. prevede che contro le ordinanza in materia di riesame di misure cautelari reali il ricorso per cassazione
possa essere proposto solo per violazione di legge.
La giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha,
tuttavia, più volte ribadito come in tale nozione debbano ricomprendersi sia gli

“errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o
del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal
giudice (vedasi Sez. U, n. 25932 del 29.5.2008, Ivanov, rv. 239692; conf. sez.
5, n. 43068 del 13.10.2009, Bosi, rv. 245093).
Ancora più di recente è stato precisato che è ammissibile il ricorso per
cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento
impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei
requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico
seguito dal giudice nel provvedimento impugnato. (così sez. 6, n. 6589 del
10.1.2013, Gabriele, rv. 254893 nel giudicare una fattispecie in cui la Corte ha
annullato il provvedimento impugnato che, in ordine a contestazioni per i reati
previsti dagli artt. 416, 323, 476, 483 e 353 cod. pen. con riguardo all’affidamento di incarichi di progettazione e direzione di lavori pubblici, non aveva specificato le violazioni riscontrate, ma aveva fatto ricorso ad espressioni ambigue,
le quali, anche alla luce di quanto prospettato dalla difesa in sede di riesame,

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Chiede, pertanto, l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata

non erano idonee ad escludere che si fosse trattato di mere irregolarità amministrative,).
Di fronte all’assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso
l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento essenziale dell’atto.

3. Ciò premesso, ritiene il Collegio che nel caso all’odierno esame, come
si andrà a specificare, non si sia in presenza di un deficit motivazionale tale da

Il Tribunale di Chieti offre, infatti, una motivazione congrua, disattendendo gran parte dei motivi oggi riproposti.
E’ pur vero che l’ordinanza impugnata afferma un principio giuridico sbagliato laddove si legge che “peraltro non rileva che l’Erario abbia recuperato – o
stia recuperando – parte del debito tributario, poiché non è eliminato il vantaggio
economico che l’indagato avrebbe conseguito in virtù della condotta illecita” e
che “il sequestro sia applicabile indipendentemente dall’esistenza di un danno
all’amministrazione o di avvenuto risarcimento del danno stesso”.
Ad avviso del Collegio tale affermazione va corretta, nel senso che va
confermato l’orientamento espresso da questa Corte di legittimità con una recente decisione (sez. 3, n. 46726 del 12/07/2012 – dep. 03/12/2012, Lanzalone, Rv.
253851; conf.: Sez. 3, n. 10120 del 01/12/2010 – dep. 11/03/2011, Provenzale,
Rv. 249752) secondo cui il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per
equivalente del profitto del reato, corrispondente all’ammontare dell’imposta
evasa, può essere legittimamente mantenuto fino a quando permane l’indebito
arricchimento derivante dall’azione illecita, che cessa con l’adempimento dell’obbligazione tributaria.
Ciò non significa, evidentemente, che l’esistenza o meno di un debito tributario da adempiere sia ininfluente ai fini del sequestro.
Tuttavia, a differenza di quanto sostiene il ricorrente, l’intervenuto accordo di rateizzazione non basta.
La ratio legis contenuta nelle norme che prevedono il sequestro e la confisca per equivalente nei reati tributari, impone di ritenere, infatti, che solo l’a-

dempimento completo dell’obbligazione tributaria fa venir meno la ragione
gìustificativa della misura ablatoria, non rilevando quindi ai fini della revoca della
misura la mera rateizzazione del pagamento (che rileva sul piano amministrativo
– tributario determinando la sospensione della procedura esecutiva di recupero),
non essendo questa un’ipotesi equiparata all’adempimento.
Come ben rileva la citata sentenza 46726/2012, però, se è ben vero che il
mantenimento della misura ablativa è giustificato fino al momento in cui si rea6

configurare l’errata applicazione di norme di diritto.

lizza il recupero completo delle imposte evase a favore dell’amministrazione finanziaria, con corrispondente deminutio del patrimonio personale del contribuente (momento superato il quale non ha più ragione di essere mantenuto in vita il
sequestro preventivo), è altrettanto innegabile che il raggiungimento di un accordo per la rateizzazione del debito tributario con l’Amministrazione finanziaria
non può ritenersi esplicare i suoi effetti nel limitato campo amministrativo,
estendendo infatti la sua portata anche nel campo penale e, segnatamente, incidere sul quantum della somma sequestrata per equivalente in relazione al profit-

Il mantenimento del sequestro preventivo in vista della confisca nel suo

quantum iniziale, nonostante il pagamento – sebbene parziale – del debito erariale, darebbe luogo ad una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto
col principio che l’espropriazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al profitto derivato (cfr. sez. 3, n. 3260 del 4.4.2012 – dep. il 22/1/2013,
Curro, rv. 254679).
Perciò va affermato il principio che il sequestro preventivo finalizzato alla
confisca per equivalente, qualora sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario,
non può essere mantenuto sull’intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, ma deve essere ridotto in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione, poiché, altrimenti, verrebbe a
determinarsi una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il
principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non può mai essere
superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa (così, di recente, questa sez. 3, n. 6635 dell’8.1.2014, Cavatorta, rv. 258903).
La stessa sentenza 6635/2014 appena richiamata ha peraltro chiarito che,
analogamente, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente
del profitto corrispondente all’imposta evasa non può essere mantenuto qualora,
a seguito di procedura coattiva di pignoramento presso terzi, intrapresa dall’agente della riscossione ex art. 72-bis del d.P.R. n. 602 del 1973, il debito di imposta sia stato integralmente adempiuto dal terzo debitore in luogo del contribuente effettivamente obbligato verso l’Amministrazione finanziaria, posto che,
per effetto di questa operazione solutoria, non residua all’indagato alcun indebito
arricchimento o vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa.
Evidentemente, dunque, man mano che pagherà le rate concordate, il Castagna potrà richiedere al giudice della cautela di ridurgli l’importo del sequestro
in atto per gli importi pagati sino a quel momento.

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to derivato dal mancato pagamento dell’imposta evasa.

4. Sulle altre questioni proposte, ivi compresa quella della tardività della
notifica del decreto di sequestro preventivo, ha già fornito un’adeguata risposta il
Tribunale di Chieti.
Gioverà ricordare che in tema di reati tributari, il sequestro preventivo,
funzionale alla confisca per equivalente, può essere disposto non soltanto per il
prezzo, ma anche per il profitto del reato. (sez. 3, n. 23108 del 23.4.2013,
Nacci, rv. 255446, nella cui motivazione la Corte ha precisato che il principio rimane valido anche dopo le modifiche apportate all’art. 322 ter cod. pen. dalla I.

sez. 3 n. 25890 del 26.5.2010, Molon, rv. 248058).
Il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente (art. 322ter cod. pen.) può essere applicato ai beni anche nella sola disponibilità dell’indagato, per quest’ultima intendendosi, al pari della nozione civilistica del possesso, tutte quelle situazioni nelle quali i beni stessi ricadano nella sfera degli

interessi economici del reo, ancorché il potere dispositivo su di essi venga
esercitato per il tramite di terzi (sez. 3, n. 15210 dell’ 8.3.2012).
Le Sezioni Unite hanno rilevato, in proposito, che non è rinvenibile in alcuna disposizione legislativa una definizione della nozione di “profitto del reato” e
che tale locuzione viene utilizzata in maniera meramente enunciativa nelle varie
fattispecie in cui è inserita, assumendo quindi un’ampia “latitudine semantica” da
colmare in via interpretativa (Sezioni Unite, 2.7.2008, n. 26654, Fisia Italimpianti S.p.A. ed altri). In detta pronuncia (con riferimento alla confisca di valore prevista dall’art. 19 del d.Lgs. 8.6.2001, n. 231) sono state richiamate le consolidate affermazioni giurisprudenziali sulla nozione di “profitto dei reato” contenuta
nell’art. 240 cod. pen., secondo le quali: “il profitto a cui fa riferimento l’art. 240,
comma 1, cod. pen., deve essere identificato col vantaggio economico ricavato in
via immediata e diretta dal reato” (vedi Sez. Unite 24.2.1993, n. 1811, Bissoli;
17.10.1996, n. 9149, Chabni Samir).
Come affermato dalla condivisibile giurisprudenza di questa Suprema Corte, inoltre, in tema di reati tributari, il sequestro finalizzato alla confisca per
equivalente prevista dall’art. 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007 va riferito all’ammontare dell’imposta evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di profitto del reato, costituito dal risparmio economico conseguente alla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui
certamente beneficia il reo; a tal fine, per la quantificazione di questo risparmio,
deve tenersi conto anche del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni
dovute in seguito all’accertamento del debito tributario (così questa sez. 3, 23
ottobre 2012, n. 45849).
8

n. 190 del 2012; conf. sez. 3 n. 35807 del 7.7.2010, Bellonzi e altri, rv. 248618;

Nello specifico delle questioni oggi riproposte il tribunale del riesame dà
una risposta che fa buon governo dei principi più volte affermati da questa Corte
di legittimità circa i limiti in cui è possibile dedurre lo stato di insolvenza ai fini
della responsabilità penale e della configurabilità dello stato di necessità (cfr.
questa sez. 3, n. 5467 del 5.12.2013 dep. 4.2.2014, Mercutello, rv. 258055; sez.
3, n.15416 dell’8.1.2014, Tonti, non massim., sez. 3, n. 20266 dell’8.4.2014,
Zanchi, rv. 259190, sez. 3, n. 19574 del 21.11.2013 dep. il 13.5.2014, Assirelli,
rv. 259741, sez. 3, n. 3124 del 27.11.2013 dep. 23.1.2014, Murari, rv. 258842).

delitto contestato ricoprisse la carica di amministratore, soggetto passivo IVA e
dunque tenuto al versamento dell’imposta autodichiarata.

5. Al rigetto del ricorso consegue ex lege la condanna al pagamento delle
spese processuali.

P.Q.M.
Rigetto il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 27 maggio 2015
Il

sigliere es nsore

Il Presidente

Incontestato, peraltro, è che il Castagna alla data di consumazione del

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