Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25338 del 27/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 25338 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ARNONE FRANCESCO N. IL 13/08/1963
avverso l’ordinanza n. 10/2015 TRIB. LIBERTA’ di COSENZA, del
18/02/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO
PEZZELLA;
4e4e/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Uditi dif or Avv.;

– 0032 9Q-,`

Data Udienza: 27/05/2015

RITENUTO IN FATTO
1.

Il Tribunale dì Cosenza, con ordinanza del 18.2.2015, rigettava

l’istanza di riesame proposta dall’odierno ricorrente, ARNONE FRANCESCO, avverso il provvedimento del Pubblico Ministero presso il Tribunale di Cosenza del
19.1.2015, di convalida del sequestro probatorio operato il 17.1.2015 dal Corpo
Forestale dello Stato, di alcuni generi alimentari (principalmente carni) conservati oltre la data di scadenza e/o sottoposti a trattamento di congelazione non au-

2. Ricorre Arnone Francesco, a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:

a. Violazione di legge ex art. 606 lett. b) in relazione agli artt. 253 c.1,
354, 355 e 324 cod. proc. pen. nonché inosservanza dì norme processuali stabilite a pena di nullità in relazione agli artt. 125 c.3, 355 e 324 cod. proc. pen. per
avere il P.M. in sede di convalida del sequestro e il Tribunale in sede di riesame
omesso di precisare la specifica fattispecie configurabile nel caso in esame nonché per aver omesso qualsiasi controllo circa la sua astratta configurabilità ed il
fumus commissi delictì o per aver adottato motivazione del tutto apparente.
Il ricorrente deduce di aver lamentato, in sede dì riesame, l’avvenuta
convalida del sequestro operato d’iniziativa della P.G. senza individuare la specifica fattispecie di reato astrattamente configurabile nel caso concreto.
Il P.M. avrebbe indicato, nel decreto di convalida, avvenuto con modulo
prestampato, il reato di cui agli artt. 5 e 6 della L.283/1962. L’art. 5 richiamato
dal P.M., prevede sette differenti fattispecie di reato ciascuna con propri e peculiari elementi costitutivi con la conseguenza di impedire la comprensione della
tesi accusatoria e del reato contestato.
Il Tribunale del riesame avrebbe ritenuto tale deduzione infondata, ritenendo non necessaria la formulazione dell’accusa, da parte del P.M., ed evidente
che il reato contestato all’Amone fosse quello di cui alle lettere b) e d) dell’art. 5
legge 283/1962.
Ancora, io stesso Tribunale riterrebbe sussistente il fumus commissi delicti, pur in assenza di qualsiasi valutazione sull’esistenza di gravi indizi di colpevolezza.
Rileva il ricorrente che mentre la P.G. avrebbe disposto il sequestro ipotizzando il reato di cui alla lettera d) 5 della legge citata la quale ha ad
oggetto “sostanze alimentari insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive”, il P.M. discorrendo genericamente di “alimenti deteriorati” avrebbe convalidato il sequestro richiamando gli artt. 5 e 6 della stessa
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torizzato.

legge. I Giudici del riesame avrebbero ritenuto che dalla lettura del provvedimento di sequestro e di convalida apparisse evidente come il reato contestato
fosse quello di cui alle lettere b) e d).
Il P.M. avrebbe utilizzato l’espressione “alimenti deteriorati”, senza alcun
cenno agli elementi estrinseci, muffe, colorazione sospetta, condizioni igieniche,
ecc…, da cui sarebbe presumere lo stato di deterioramento. Né sarebbe possibile
desumerli dal verbale di sequestro.
Lo stesso Tribunale del Riesame pur ampliando le fattispecie di reato in-

nell’altra fattispecie, di compiere la necessaria verifica sull’astratta configurabilità
dei reati ipotizzati.
Il giudice del riesame non avrebbe colmato le lacune motivazionali proprie
della convalida, spiegando in base a quali elementi fattuali estrinseci ha ritenuto
integrate, su un piano di mera astrazione, le due fattispecie evidenziate, né a
fortiori avrebbe valutato minimamente il fumus del reato contestato.
Il tribunale, richiamando il verbale di sequestro, evidenzierebbe che il sequestro aveva riguardato generi alimentari sottoposti a congelazione non autorizzata e che avevano superato la data di scadenza fissata dal produttore per il
prodotto fresco, privi di etichetta contenente i dati di tracciabilità; ciò senza
spiegare le ragioni che consentano di sussumere tali fattispecie concrete nelle
ipotesi delittuose di cui alle lettere b) o d) dell’art.5 L.283/1962. In particolare,
senza spiegare perché tali cibi siano da considerare alterati o in cattivo stato di
conservazione.
La sussistenza del fumus commissi delicti, verrebbe affermata stante la
qualità dell’Arnone di legale rappresentante della società nella cui sede venivano
rinvenute le carni sequestrate, messe in vendita malgrado il ritenuto stato di alterazione.
Non viene spiegato per quale motivo un cibo congelato nel rispetto di tutte le procedure tecniche, che non sarebbero state messe in discussione né dalla
PG né dal P.M., sarebbe astrattamente da ritenersi alterato o in cattivo stato di
conservazione laddove mancasse l’autorizzazione” amministrativa al congelamento.
Sul punto la difesa dell’Arnone rileva di aver prodotto, nel procedimento
di riesame, la documentazione comprovante l’esistenza di detta autorizzazione.
Lo stesso giudice del riesame dopo aver evidenziato l’esistenza
dell’autorizzazione dell’Arnone al congelamento di carni, affermerebbe il superamento di tale circostanza per il cattivo stato di conservazione della carne detenuta per la vendita. Tale affermazione sarebbe abnorme, in quanto gli ispettori
dell’ASP affermano la “non commerciabilità dei prodotti alimentari in quanto sca-

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tegrate dall’Arnone, ometterebbe di precisare quali fatti rientrerebbero nell’una o

duti di validità e congelati arbitrariamente e in stato di alterazione essendo gli
stessi in origine freschi”. Lo stato dì alterazione, pertanto, deriverebbe unicamente dal fatto che gli alimenti fossero scaduti e congelati arbitrariamente.
Il giudice del riesame avrebbe dovuto, quindi, in presenza
dell’autorizzazione al congelamento, quantomeno accogliere l’istanza in relazione
agli alimenti erroneamente ritenuti congelati senza autorizzazione.
Il ricorrente evidenzia, poi, che nel verbale ispettivo n.06/2015 redatto da
operatori dell’Asp di Cosenza, le parole “e in stato di alterazione” poste dopo le

cessivo, per conferire al fatto accertato maggiore enfasi e maggiore tipicità rispetto alla fattispecie poi contestata. Tale circostanza sarebbe estremamente
importante, perché se gli ispettori avessero realmente rilevato uno stato di alterazione degli alimenti sarebbe stata la prima cosa che avrebbero indicato nel
verbale.
Nel caso di specie, invece, l’espressione citata sarebbe stata aggiunta
quando ormai il verbale era terminato. Detta espressione sarebbe stata utilizzata
in senso atecnico, al solo scopo di conferire maggiore pregnanza e tipicità al fatto contestato.
Ugualmente per i generi alimentari scaduti rispetto alla data di scadenza
fissata dal produttore per il prodotto fresco, il giudice, nell’ambito del controllo dì
compatibilità tra fattispecie concreta ed astratta richiesto, avrebbe dovuto spiegare le ragioni per cui detti alimenti sarebbero da considerarsi alterati o in cattivo stato di conservazione.
Evidenzia il ricorrente che il congelamento sarebbe avvenuto proprio per
evitare che í prodotti scadessero alla data fissata dal produttore per il prodotto
fresco. Del resto, sarebbe dato inconfutabile il fatto che nel caso di specie la data
di scadenza fissata dal produttore riguarda il prodotto alimentare allo stato fresco.
Pertanto, trattandosi di alimenti perfettamente integri ed in perfetto stato
il giudice anziché accettare acriticamente la prospettazìone accusatoria avrebbe
dovuto accertare, su un piano di mera astrazione senza entrare nel merito, se un
prodotto congelato fa cui data di scadenza allo stato fresco è spirata debba considerarsi prodotto alterato o in cattivo stato di conservazione. Una risposta a tale
quesito avrebbe condotto all’accoglimento dell’istanza di riesame del sequestro.
Infine, per quanto riguarda le carni prive della etichetta di tracciabilítà, anche in
questo caso mancherebbe la verifica giudiziaria sulla astratta configurabilità
dell’ipotesi di reato e sul fumus. Non si comprende in che modo la mancata apposizione dei cartellini contenenti le informazioni di tracciabilità, costituente una

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parole “congelati arbitrariamente” sarebbero state aggiunte in un momento suc-

violazione di carattere amministrativo, influirebbe sullo stato di conservazione
degli alimenti.
In ogni caso, l’Arnone sarebbe stato in possesso di tutta la documentazione commerciale e fiscale, ai fini dell’individuazione dei fornitori delle materie
prime, essendo questo l’unico obbligo di tracciabilità gravante su chi esercita attività di ristorazione ai sensi dell’art.18 Reg CE n. 178/2002.
La P.G. appartenente al Corpo Forestale, non ha mai richiesto all’Arnone
la documentazione relativa agli alimenti poi sequestrati, rilevando che su alcuni

i dati di tracciabilità.
Sarebbe evidente, continua il ricorrente, che su singole unità o porzioni
appartenenti ad una partita più consistente, possano mancare le informazioni riferite alla etichettatura o tracciabilità. In tali casi, la PG avrebbe dovuto richiedere il documento commerciale per verificare la corrispondenza della tipologia di
prodotto oggetto di ispezione, il nome del fornitore, l’origine, la quantità, oltre al
registro di carico sul quale sono annotati i prodotti in entrata corredate di tutte le
informazioni sulla partita.
Anche in questo un’attenta e corretta lettura delle risultanze avrebbe dovuto condurre il Tribunale – secondo il ricorrente- ad accogliere l’istanza di riesame.

b. Violazione di legge nonché inosservanza di norme processuali stabilite
a pena di nullità in relazione agli artt. 125 c.3, 253 c.1, 355 c.1 e 324 cod. proc.
pen. per avere il P.M. in sede di convalida ed i Giudici del riesame adottato una
motivazione meramente apparente in relazione alle esigenze probatorie.
I giudici del riesame, per ottemperare all’obbligo di motivazione, avrebbero dovuto distinguere, nell’ordinanza di rigetto, quali fatti fossero da ricondurre
alla fattispecie astratta prevista dalla lettera b) dell’art.5 legge 283/1962 e quali
quelli integranti la fattispecie di cui alla lettera d) della stessa legge.
Per la configurabilità della fattispecie di cui alla lett. b) è sufficiente, infatti, l’inosservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie intese a garantire la buona
conservazione degli alimenti senza che sia necessario verificare una effettiva alterazione intrinseca degli stessi; mentre il verificarsi di tale alterazione determina la fattispecie di cui alla lett. d), trattandosi di fattispecie in rapporto di progressione nella idoneità offensiva.
Sarebbe evidente che solo in relazione alla fattispecie prevista dalla lettera d), il sequestro probatorio finalizzato a consentire gli “accertamenti tecnici del
caso” troverebbe una reale giustificazione, in quanto per l’accertamento della
fattispecie di cui alla lett. b) a nulla rileverebbero gli accertamenti tecnici finalizzati ad accertare uno stato intrinseco di alterazione degli alimenti.

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pezzi di carne “sfusi e avvolti per singoli pezzi in pellicola” protettiva mancavano

Inoltre, a conferma del fatto che dall’ispezione non sia emerso nulla di
concretamente idoneo da far presumere uno stato di alterazione degli alimenti, il
P.M. non ha mai provveduto a far effettuare gli invocati “accertamenti tecnici”,
che sarebbero stati unicamente il pretesto per imporre un vincolo sugli alimenti.
Gli stessi giudici del riesame indicherebbero la reale ragione del sequestro, allorquando affermano che la sospetta non commestibilità delle carni in sequestro impedisce qualsiasi possibilità di restituzione all’indagato, anche in ragione della futura destinazione alla distruzione degli alimenti ritenuti deteriorati.

considerarsi del tutto illegittimo.

Chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con ogni consequenziale provvedimento di legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.

2. Va ricordato che, secondo il combinato disposto degli artt. 324, 325 e
355, terzo comma, cod. proc. pen., il ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza
dì riesame di provvedimenti in materia di sequestro preventivo e probatorio è
proponibile solo per violazione di legge, non anche per difetto o illogicità della
motivazione, sicché le censure attinenti alla motivazione del provvedimento impugnato, proposte dal ricorrente, devono ritenersi inammissibili.
La giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha
tuttavia più volte ribadito come nella nozione di violazione di legge debbano ricomprendersi sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della
motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno
del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza,
completezza e ragionevolezza, e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (vedasi Sez. U, n. 25932 del 29.5.2008, Ivanov,
239692; conf. Sez. 5, n. 43068 del 13.10.2009, Bosi, rv. 245093).
Ancora più di recente è stato precisato che è ammissibile il ricorso per
cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro (in quel caso si trattava di sequestro preventivo) pur consentito solo per violazione di legge, quando
la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente
apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la
vicenda contestata e l'”iter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato. (così sez. 6, n. 6589 del 10.1.2013, Gabriele, rv. 254893).

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Pertanto non essendo questa la funzione del sequestro probatorio, lo stesso è da

Di fronte all’assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso
l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento essenziale dell’atto.
Va anche aggiunto che per giurisprudenza costante di questa Suprema
Corte spetta al tribunale, in sede di riesame di un sequestro probatorio,
l’operazione logica di controllo dell’esattezza della qualificazione della cosa come
“corpus delicti”.
In altri termini, occorre che il giudice del gravame della cautela riscontra-

ni in cui meglio si specificherà in seguito, tra quell’oggetto e l’illecito penale per il
quale si procede.

3. Orbene, nel caso in esame ritiene il Collegio che non si sia di fronte,
ad un deficit motivazionale di portata tale da integrare la lamentata violazione di
legge.
Il ricorrente rubrica le sue doglianze quali violazioni di legge, ma in realtà
propone tutta una serie di censure motivazionali.
In proposito va ricordato che in tema di sequestro probatorio il sindacato
del giudice del riesame non può investire la concreta fondatezza dell’accusa, ma
deve essere limitato alla verifica dell’astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato e ai controllo dell’esatta qualificazione dell’oggetto del provvedimento come “corpus delicti”.
Deve essere accertata, cioè, per giurisprudenza costante di questa Corte
Suprema, l’esistenza della relazione di immediatezza, descritta nel secondo
comma dell’art. 253 cod. proc. pen., tra la cosa stessa e l’illecito penale (sez. 5,
n. 9528 del 13.1.2009, Zhang, r -v. 242998; conf. sent. 1810/1997 rv. 207194,
4724/1997 rv. 208417, n. 34625/2005, rv. 232503).
Va ulteriormente precisato che il sequestro probatorio, in quanto mezzo

di ricerca della prova dei fatti costituenti reato, non può per ciò stesso essere fondato sulla prova del carattere di pertinenza ovvero di corpo di reato delle
cose oggetto del vincolo patrimoniale, ma solo sul “fumus” di esso, cioè sulla
mera possibilità del rapporto di esse con il reato.
In altri termini, ai fini della legittimità del vincolo, è sufficiente la semplice
possibilità, purché non astratta ed avulsa dalle caratteristiche del caso concreto,
della configurabilità di un rapporto di queste con il reato. (così sez. 6, n. 33229
del 2.4.2014, Visca, rv. 260339, fattispecie in cui la Corte ha annullato il sequestro di una somma di denaro per carenza di motivazione in ordine alla sua provenienza quale compenso per traffico di influenze o alla sua destinazione quale

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re la sussistenza, o meno, della necessaria relazione di immediatezza, nei termi-

provvista per corrompere pubblici funzionar, conf. sez. 6, Sentenza n. 1683 del
27/11/2013, dep. 2014, Cisse, rv. 258416).
Naturalmente -va anche chiarito tale “possibilità” non può essere intesa
nel senso di una compatibilità del tutto astratta, ed avulsa dalle caratteristiche
del caso concreto, quasi che il sequestro possa considerarsi legittimo tutte le volte in cui non ricorrano elementi idonei a dimostrare, in termini perentori, che la
cosa non è pertinente al reato o non ne rappresenta il corpo od il frutto.
Qualora quindi dal complesso delle prime indagini tale “fumus” emerga, il

re, di per sé o attraverso le successive indagini che da esso scaturiscono, se esiste il collegamento pertinenziale tra “res” e illecito. (così sez. 2, n. 3273 del
21.6.1999, Lechiancole, rv. 214660, fattispecie in tema dì sequestro probatorio,
disposto nell’ambito di indagini preliminari concernenti il delitto di usura, di documentazione varia di cui il ricorrente sosteneva il difetto di capacità rappresentativa e quindi l’impossibilità di considerarla “cosa pertinente al reato, conf. sez.
3, n. 2727 del 10.7.2000, Blasi, rv. 217009; sez. 3, n. 2691 del 6.7.2000, Sinigaglia, rv. 217059; sez. 3, n. 3514 del 25.10.2002 dep. 24.1.2003, Frezza e altri, rv. 223130; sez. 3, n. 37168 del 4.10.2002, PM in Proc. Minardi e altri, rv.
222887; sez. 3, n.13641 del 12/02/2002, Pedron, rv. 221275; sez. 2, n. 31950
del 03/07/2013, Fazzari, rv. 255556; sez. 6, n. 1683 del 27/11/2013, dep.
2014, Cisse, Rv. 258416).
E’ stato anche precisato che in tema di sequestro probatorio, il rapporto
di pertinenzialità fra le cose sequestrate e l’ipotesi di reato per cui si procede non
può essere considerato in termini esclusivi dì relazione immediata, ben potendo
acquisire rilievo ed essere oggetto di ricerca ed apprensione ogni elemento utile
a ricostruire í fatti che anche in forma indiretta possono contribuire al giudizio sul
merito della contestazione. (sez. 3, n. 13641 del 12.2.2002, Pedron., rv.
221275).

4. Il tribunale calabrese fa buon governo della giurisprudenza di questa
Corte Suprema, in relazione alla richiamata sent. 29990/2014, laddove ricorda
che il decreto del P.M. di convalida del sequestro probatorio può essere sorretto
da una motivazione enunciata anche mediante formule estremamente sintetiche
o prestampate, quando, avuto anche riguardo agli atti processuali ivi richiamati,
siano adeguatamente esplicitate le ragioni probatorie del vincolo di temporanea
indisponibilità delle cose sequestrate.
Nel caso di specie, quindi, il giudice del gravame cautelare ritiene in motivazione che il PM abbia assolto l’onere motivazionale su esso incombente, indicando, sia pur sinteticamente, sia il titolo di reato ascritto all’Arnone (artt. 5 e 6
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sequestro si appalesa non solo legittimo ma opportuno, in quanto volto a stabili-

legge 283/1962), sia le ragioni che legittimavano il mantenimento del vincolo a
finì probatori.
Con motivazione logica e congrua viene confutata l’argomentazione difensiva già proposta in quella sede secondo cui il PM avrebbe dovuto individuare con
esattezza il comma dell’art. 5 violato dall’Arnone, posto che, in fase di convalida
del sequestro, l’organo dell’accusa non è tenuto a formulare l’imputazione, essendo sufficiente che il fatto per il quale si procede possa essere individuato anche attraverso gli atti redatti dalla polizia giudiziaria.

ma di convalida di sequestro probatorio eseguito dalla polizia giudiziaria, adempie l’obbligo di motivazione il PM che, nel suo provvedimento, dia conto dei presupposti del vincolo e, quindi, della configurabilità del reato, con specificazione
della relativa ipotesi normativa; poiché, per altro, nella fase delle indagini preliminari, l’organo dell’accusa non è tenuto a formulare l’imputazione, è sufficiente
che il fatto per il quale si procede possa essere individuato anche attraverso gli
atti redatti dalla polizia giudiziaria, cui il provvedimento faccia riferimento. In tal
caso, invero, non si realizza lesione del diritto di difesa, che è garantito dalla
consegna del verbale di sequestro e, comunque, dalla notifica del provvedimento
del PM e dal successivo deposito ex art. 324 comma sesto cod.proc.pen. (cfr.
sez. 5, n. 2108 del 4.4.2000, Peluso, rv. 216366, fattispecie relativa al sequestro
di prodotti di pelletteria, recanti marchio contraffatto, nella quale, in sede di convalida, il PM aveva indicato gli articoli che si ipotizzavano violati ed aveva allegato al proprio decreto gli atti relativi agli accertamenti espressamente richiamati;
conf. sez. 3, n. 41178 del 24.10.2002, Camozza, rv. 222973; sez. 4, n. 34347
del 7.5.2003, Montesel, rv. 225242; sez. 5, n. 12229 del 17.2.2004, Carboni, rv.
227536; sez. 5, n. 7278 del 26.1.2006, Ballandi, rv. 233608; sez. 3, n. 20769
del 16.3.2010, Di Serio, rv. 247620).
In tal modo, il diritto di difesa è garantito dalla consegna del verbale di
sequestro e, comunque, dalla notifica del provvedimento del PM e dal successivo
deposito ex art. 324 co. 6 cod. proc. pen. (cfr. sez. 2, n. 39382 dell’8.10.2008,
Salvadori, rv. 241881).
I giudici calabresi danno atto che, dal combinato disposto del provvedimento di sequestro e della sua convalida, appare evidente come il reato contestato all’Arnone fosse quello di cui alle lettere b) e d) dell’art. 5 legge 283/1962,
come infatti poi specificato dal PM nella richiesta di decreto penale di condanna
accolta dal GIP.
Sussistente viene poi ritenuto il fumus commissi delicti, stante la possibilità di sussumere la condotta dell’Arnone — legale rappresentante della società
nella cui sede venivano rinvenute le carni sequestrate, messe in vendita malgra9

Questa Corte di legittimità, infatti, ha in più occasioni ribadito che, in te-

do il ritenuto stato di alterazione — nella fattispecie incriminatrice contestata, a
prescindere da qualsiasi valutazione sulla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in capo al ricorrente, quale valutazione estranea al procedimento di riesame (corretto in proposito è il richiamo agli arresti di questa Corte costituiti dalle
sentenze 24589/2011, 26457/2005, n. 26457, 44399/2004).
Nella motivazione del provvedimento impugnato si dà atto che, riservata
la possibilità di introdurre elementi di segno contrario da parte dell’Arnone nel
giudizio di merito, lo stato di alterazione delle carni sequestrate risultava al mo-

dal Corpo Forestale dello Stato della relativa valutazione prima del sequestro (e
ai fini della verifica della sussistenza dei relativi presupposti), non smentito dalla
documentazione prodotta dalla difesa, idonea a mettere in evidenza, al più, l’autorizzazione dell’Arnone al congelamento di carni (quale circostanza ritenuta, tuttavia, superata dal cattivo stato di conservazione della carne detenuta per la
vendita).
Non è, dunque, il solo fatto che le carni presentassero una data di scadenza ormai decorsa (circostanza che secondo il dictum di questa Corte a Sez.
Un. n. 1/1995, Timpanaro, rv. 203094, non è sufficiente, da sola, ad integrare
alcuna ipotesi di reato, ma solo un illecito amministrativo) ad essere stato valutato ai fini della sussistenza del fumus, ma anche la non corretta procedura di
congelazione cui erano state sottoposte e il loro stato di alterazione.
Viene anche evidenzìato, peraltro, come, proprio sulla base di una situazione di evidenza della prova, il PM procedente ha richiesto e ottenuto l’emissione di un decreto penale di condanna in data 9 febbraio 2015, come si ricava dagli atti trasmessi all’ufficio.

5. Nessun dubbio, infine, pare sussistere circa le esigenze probatorie evidenziate dal PM nel provvedimento di convalida in quanto -come evidenziato dal
tribunale cosentino- le carni in sequestro rappresentano all’evidenza il corpo del
reato ascritto all’imputato e la loro sospetta incommestibilità, pur da approfondire, ne impediva, allo stato, qualsiasi possibilità di restituzione all’indagato.
Va, infatti, ricordato che in tema di riesame avverso il decreto
di sequestro probatorio, il sindacato del tribunale deve essere limitato alla
astratta possibilità di sussumere, in una determinata ipotesi di reato, il fatto attribuito ad un soggetto ed alla qualificazione dell’oggetto del provvedimento come “corpus delicti”, ossia alla esistenza della relazione di immediatezza tra la cosa e la fattispecie penale (così sez. 5, ord. n. 23240 del 18.5.2005, Zhu, rv.
231901, nella cui motivazione la Corte ha specificato che l’impugnazione non può
consistere nella sollecitazione ad approfondimenti e valutazioni sul merito del-

lo

mento chiaramente evincibile dal rilievo ispettivo dell’ASP di Cosenza, incaricata

L

la imputazione, dal momento che il sequestro è un mezzo di ricerca della prova e
quindi non può richiedersi che tale prova sia già sussistente all’atto della imposizione del vincolo).

6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’alt 616 cod. proc.
pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C mille in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso in Roma il 27 maggio 2015
iere este sore

Il Presidente

della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo

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