Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25333 del 14/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 25333 Anno 2015
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Papaianni Leonardo Giovanni, nato a Corigliano Calabro (Cs) 1’8/3/1971

avverso l’ordinanza pronunciata dal Tribunale del riesame di Bari in data 627/8/2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Fulvio Baldi, che ha chiesto il rigetto del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 6-27/8/2014, il Tribunale del riesame di Bari, in
parziale accoglimento del ricorso proposto, sostituiva nei confronti di Leonardo
Giovanni Papaíanní la misura cautelare degli arresti domiciliari (disposta con
ordinanza del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Trani in
data 22/7/2014) con quella dell’obbligo di presentazione alla p.g.; la misura era
giustificata dai gravi indizi di colpevolezza – e specifiche esigenze cautelar’ dì cui
all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. – in ordine al delitto di cui all’art.

Data Udienza: 14/05/2015

416 cod. pen., per aver organizzato e promosso un’associazione per delinquere
finalizzata alle truffe (in specie, la vendita di olio comunitario per olio
extravergine di oliva 100% italiano, talvolta anche biologico).
2.

Propone ricorso per cassazione il Papaianni, a mezzo del proprio

difensore, argomentando – con unico, diffuso motivo – la violazione degli artt.
274 e 275 cod. proc. pen., nonché la mancanza e l’illogicità della motivazione. Il
Tribunale del riesame avrebbe confermato il fumus del delitto associativo in capo
al ricorrente (l’unico che sostiene la misura cautelare) in forza di affermazioni

reato, quali l’esistenza di uno stabile vincolo, la finalità di realizzare un numero
indeterminato di reati e la costituzione di una organizzazione idonea allo scopo.
Ancora – e malgrado le doglianze difensive – il Collegio di merito non avrebbe
motivato quanto al ruolo che viene imputato al Papaíanni nell’associazione di cui
al capo P) della rubrica; ruolo non ricavabile dagli elementi di indagine
(soprattutto, intercettazioni telefoniche e documenti), i quali darebbero atto
soltanto di rapporti con Antonio Cassetta (indagato quale dominus dell’intera
vicenda), invero giustificati da vincoli commerciali leciti e di amicizia correnti tra i
due. L’ordinanza, pertanto, si sarebbe lungamente soffermata sul fumus delle
truffe (reati fine), ma avrebbe completamente disatteso la contestazione di cui
all’art. 416 cod. pen., l’unica – si ribadisce – in forza della quale il ricorrente
patisce la misura in atto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Costituisce indirizzo ermeneutico più volte affermato da questa Corte quello
per cui, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per
cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme
di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento
secondo i canoni della logica ed i principi di dìritto, ma non anche quando
propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in
una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal Giudice di merito (Sez.
6, n. 11194 dell’8/3/2012, Lupo, Rv. 252178; Sez. 5, n. 46124 dell’8/10/2008,
Pagliaro, Rv. 241997). Allorquando, poi, sia denunciato un vizio di motivazione in
ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta
solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di
legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il Giudice di merito abbia dato
adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità
del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della

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generiche ed apodittiche, senza peraltro individuare i presupposti del medesimo

motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni
della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze
probatorie (per tutte, Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Tiana, Rv. 255460).
Orbene, ritiene il Collegio che il Tribunale del riesame abbia fatto buon
governo di questo principio.
Ed invero l’ordinanza impugnata – che si apprezza per la particolare
ampiezza e ricchezza argomentativa – ha individuato in modo adeguato, logico e
privo di alcuna incoerenza il contesto indiziario del delitto di cui all’art. 416 cod.

allo stato degli atti. In particolare, il provvedimento ha evidenziato:
1) una stabile associazione per delinquere – sviluppata per anni tra Calabria
e Puglia – finalizzata a truffe in materia di olio extra vergine di oliva, comprato
all’estero (perlopiù in Spagna) e rivenduto come prodotto 100% italiano, talvolta
anche biologico;
2) il funzionamento dello stesso consorzio attraverso un complesso sistema
societario, costituito da plurime “cartiere” (emittenti fatture per operazioni
inesistenti) e “pattumiere cartolari” (destinatarie di analoghe fatture) che
lavoravano principalmente per la “S.AG.O. s.r.l.”, il cui legale rappresentante era
Grazia Pomo, moglie del cugino di Antonio Cassetta, amministratore di fatto della
stessa società e vertice dell’intera associazione (nonché di altre qui non in
esame);
3) il meccanismo illecito così realizzato, in forza del quale la S.AG.O.
erogava danaro alla “Azienda agricola Papaianní Leonardo Giovanni” e/o alla
“Industria Viteritti s.r.l.” – entrambe amministrate dai ricorrente (l’una in veste
formale, l’altra di fatto) – in cambio di false fatture per cessione di olio
extravergine di oliva italiano, salvo poi avere restituito il danaro attraverso la
“O.A.S.I. s.r.l.” (società priva di sede legale e di contabilità ufficiale, il cui legale
rappresentante era ancora il Papaianni), che acquistava in Spagna e Portogallo
olio comunitario per conto della S.AG.O. (che, però, non figurava), la quale, a
sua volta, le vendeva – sempre sulla carta – olio extravergine di origine
comunitaria;
4) l’interposizione di altre società, quale la “Olisol s.r.l.”, necessarie per la
restituzione alla S.AG.O. delle somme (effettivamente) versate alla “Papaianni” o
alla “Viteritti” in cambio della fatture attestanti (falsamente) la cessione di olio
100% italiano;
5) l’amplissima e dettagliata mole documentale – rivenuta soprattutto in
Andria, presso la sede occulta della S.AG.O. – che conferma tutto quanto
precede, quantomeno nella presente fase cautelare, con analitica indicazione di
cifre, date, società, banche, nominativi di persone (al punto che una delle

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pen. (capo P), nonché del ruolo in esso ascritto al Papalanni, come ravvisabili

numerose cartelle portadocumenti era stata intitolata “Operazione Spagna”), con
esplicito riferimento agli enti riferibili – formalmente o di fatto – al ricorrente;
documentazione dalla quale emerge che Antonio Cassetta dava precise
indicazioni al Papaianni quanto alle fatture interessanti la S.AG.O., attive e
passive, al fine di pareggiare i rapporti debito/credito;
6) le intercettazioni telefoniche tra i due soggetti, le quali danno conto dei
costanti contatti tra i due, specie allorquando la società riferibile a quest’ultimo
viene fatta oggetto di verifiche da parte della Guardia di Finanza.

Tribunale del riesame di Bari ha confermato l’ipotesi accusatoria quanto al delitto
di cui all’art. 416 cod. pen., del quale ha così individuato il fumus degli elementi
costitutivi; in tal modo, in particolare, il Collegio di merito ha fatto buon governo
del principio, costantemente affermato da questa Corte, in ragione del quale
l’associazione per delinquere si caratterizza per tre fondamentali elementi,
costituiti 1) da un vincolo associativo tendenzialmente permanente, o comunque
stabile, destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti concretamente
programmati, 2) dall’indeterminatezza del programma criminoso che distingue il
reato associativo dall’accordo che sorregge il concorso di persone nel reato, e 3)
dall’esistenza di una struttura organizzativa, sia pur minima, ma idonea e
soprattutto adeguata a realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira (per tutte,
Sez. 2, n. 16339 del 17/1/2013, Burgio, Rv. 255359).
Elementi tutti ravvisati dall’ordinanza impugnata.
Elementi, ancora, del tutto disattesi nel presente ricorso, che non dedica agli
stessi alcuna valutazione; il gravame, infatti, si limita al richiamo dei noti e
condivisi orientamenti ermeneutici in tema di rapporto tra l’associazione per
delinquere ed il concorso di persone nel reato (che si vorrebbe riconosciuto),
senza però – in alcun modo – riferirli nello specifico al caso che occupa. Ancora,
il ricorso evoca i rapporti commerciali ed amicali tra il Papaianni ed Antonio
Cassetta, senza però offrire alcuna censura – né tantomeno individuare alcun
effettivo vizio motivazionale – in ordine ai passi dell’ordinanza che assegnano, a
detti rapporti, anche un carattere illecito. Da ultimo, il ricorrente porge a questa
Corte plurime domande sull’esistenza (che si nega) di qualsivoglia elemento
probatorio quanto al ruolo nell’associazione contestato al Papaianni; tali
asserzioni, però, risultano manifestamente generiche, atteso che neppure
accennano alle plurime considerazioni sopra richiamate, risolvendosi in una
astratta petizione di principio.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il

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Orbene, in forza di questo vasto e variegato materiale istruttorio, il

ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in euro 1.000,00.

P.Q.M.

spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 14 maggio 2015

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

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