Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25330 del 13/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 25330 Anno 2015
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Formicola Bernardino, nato a Napoli il 5/11/1977

avverso la sentenza pronunciata da questa Corte, Quarta Sezione penale, in
data 16/5/2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 16/5/2014, la Quarta sezione penale di questa Corte
rigettava il ricorso proposto da Bernardino Formicola ed altri otto imputati
avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli il 25/1/2013.
2. Propone ricorso ex art. 625-bis cod. proc. pen. il Formicola, a mezzo del
proprio difensore, deducendo – con unico motivo – che questa sentenza
conterrebbe

errori

di

valutazione

con

riguardo

ad

intercettazioni

precedentemente ritenute inutilizzabili, e non specificherebbe il numero e
l’identificativo di quelle conversazioni giudicate rilevanti (peraltro indicate in
modo diverso nella prima e seconda sentenza di merito).

Data Udienza: 13/05/2015

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Per costante e condiviso indirizzo di questa Corte, l’errore verificatosi nel
giudizio di legittimità – e oggetto del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc.
pen. – consiste in un difetto percettivo (“materiale o di fatto”) causato da una
svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli
atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo

sarebbe stata adottata senza di esso (per tutte, Sez. 2, n. 2241 dell’11/12/2013,
Pezzino, Rv. 259821); orbene, ritiene il Collegio che ciò non si ravvisi affatto nel
caso di specie, atteso che le censure che il ricorrente muove alla sentenza si
riferiscono esclusivamente alla valutazione del compendio probatorio (ed, in
specie, delle intercettazioni) ed alla individuazione delle conversazioni ritenute
rilevanti, senza che sia possibile ravvisare in ciò alcun errore percettivo nei
termini appena riferiti.
A ciò si aggiunga, peraltro, che il ricorso risulta del tutto generico, poiché
richiama intercettazioni di diversi giudizi, talune delle quali sarebbero state
anche dichiarate inutilizzabili, senza alcuna individuazione delle stesse, senza
alcun riferimento di sorta e, pertanto, senza fornire a questa Corte alcun criterio
valutativo del merito della doglianza.
Il gravame, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 13 maggio 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

formativo della volontà, che abbia condotto a una decisione diversa da quella che

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