Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25318 del 10/12/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 25318 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: GENTILI ANDREA

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:

PATTI Carmelo, nato a Castelvetrano (Tp) il 26 gennaio 1934;

avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 990, del 5 febbraio 2014;

letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;

sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott., Giulio ROMANO il
quale ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata
sentito altresì, per il ricorrente, l’avv. Luciano INFELISI, del foro di Roma, che ha
insistito per l’accoglimento del ricorso.
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Data Udienza: 10/12/2014

l

RITENUTO IN FATTO

La Corte di appello di Milano, con sentenza del 5 febbraio 2014, ha
confermato la sentenze del Gip del Tribunale di Milano che, all’esito di giudizio
abbreviato, aveva condannato Patti Carmelo, in qualità di legale
rappresentante della Valtur Spa, alla pena di giustizia per avere questi, in
violazione dell’art. 10-bis del dlgs n. 74 del 2000, omesso di versare entro il
termine previsto per la dichiarazione annuale del sostituto di imposta la

somme versate ai sostituiti.
La Corte di appello provvedeva altresì ad applicare al Patti le pene
accessorie, previste dall’art. 12 del dlgs n. 74 del 2000, omesse dal Gip del
Tribunale di Milano, osservando che, trattandosi pene applicabili di diritto, non
ostava alla loro applicazione in grado di appello il divieto di

reformatio in

pejus.

Avverso tale sentenza ha presentato ricorso per cassazione il Patti,
deducendo la violazione della legge penale per non essersi il reato
perfezionato non avendo il Patti omesso di versare le somme risultanti dalle
certificazioni rilasciate ai sostituiti non essendo appunto stata fornita la prove
di tale rilascio.
Eccepiva altresì la violazione dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., per
avere la Corte territoriale disposto l’applicazione delle pene accessorie pur in
assenza di impugnazione del Pm.
Infine è censurata la sentenza della Corte di appello, sempre con
riferimento alla violazione di legge, per avere quella ritenuto sussistere, in
maniera apodittica, l’elemento soggettivo del reato contestato.
CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso, essendo risultato fondato il primo motivo di impugnazione, deve
essere accolto e, pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata.
Deve rilevarsi, ai fini di una necessaria breve ricostruzione, anche
diacronica, della normativa interessata, che la disposizione che si assume
essere stata violata dalla ricorrente, cioè l’art. 10-bis del dlgs n. 74 del 2000,
introdotta a seguito della entrata in vigore dell’art. 1, comma 441 della legge
n. 311 del 2004, prevede che costituisca illecito penale la condotta di
“chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della
dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla
certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a 50.000,00
euro per ciascun anno di imposta”.
Si tratta, come è agevole rilevare analizzando il riferito precetto, di una
fattispecie che dal punto di vista della condotta presenta una certa
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somma di euro 477.407,69, da lui trattenuta nella predetta qualità sulle

complessità; ciò in quanto essa – così sostanzialmente discostandosi dal suo
diretto precedente normativo, costituito dall’abrogato art. 2, comma 2, del di
n. 429 del 1982, convertito con modificazioni, con legge n. 516 del 1982 (al
quale, come infra si vedrà, si era sostituito nel tempo l’art. 3 del di n. 83 del
1991, convertito, con modificazioni, con legge n. 154 del 1991, il quale, a sua
volta, prevedeva due distinte ipotesi di reato, l’una conformata sulla
precedente disciplina, l’altra anticipatrice del modello attualmente vigente) – si

termine previsto…) ed in parte attraverso un comportamento commissivo (
…le “ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti”).
Essendo le predette condotte elementi costitutivi del reato, deve pertanto
affermarsi che, ai fini della sussistenza del reato, è necessario che il soggetto
attivo di esso, non soltanto abbia omesso di versare all’Erario l’importo delle
ritenute operate quale sostituto di imposta sui compensi effettivamente
versati ai sostituiti, peraltro nella misura superiore alla soglia minima di
punibilità ammontante ad euro 50.000,00, ma abbia anche materialmente
rilasciato ai sostituiti la relativa certificazione e che ciò sia avvenuto
anteriormente alla scadenza del termine entro il quale il sostituto di imposta
deve presentare la relativa dichiarazione.
Secondo un orientamento giurisprudenziale ancora di recente seguito
anche in questa stessa Sezione, e fatto proprio anche dalla Corte territoriale
milanese, nel reato di omesso versamento di ritenute certificate, la prova del
rilascio delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro
quale sostituto d’imposta sulle retribuzioni effettivamente corrisposte ai
sostituiti può essere fornita dal pubblico ministero anche mediante prove
documentali, testimoniali o indiziarie, ivi compresa sia la materiale allegazione
del modello 770 – cioè la dichiarazione con la quale il sostituto di imposta
attesta l’ammontare di tutte le retribuzioni pagate nell’anno di imposta
precedente a quello di presentazione e le ritenute su di esse operate – od
anche la prova testimoniale in ordine al contenuto di quest’ultimo (in questo
senso ancora: Corte di cassazione, Sezione III penale, 22 maggio 2014, n.
20778; idem Sezione III penale, 12 maggio 2014, n. 19454).
Tale prevalente indirizzo è stato, però, da ultimo motivatamente
contraddetto da questa stessa Sezione sulla base di una ampia serie di
argomentazioni che appaiono pienamente condivisibili.
Con tale decisione (Corte di cassazione, Sezione III penale, 1 ottobre
2014, n. 40526) in primo luogo è stato rilevato la differenza sostanziale fra le
due diverse documentazioni, aventi una fonte normativa ed una finalità non
comune, essendo l’una, la dichiarazione modello 770 – disciplinata dall’art. 4,
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realizza in parte attraverso un comportamento omissivo (“non versa entro il

comma 1 e ss, del dPR n. 322 del 1998 – volta ad informare la Agenzia delle
Entrate delle somme corrisposte ai sostituiti, delle ritenute operate su di esse
e del loro versamento all’Erario, mentre l’altra, la certificazione delle ritenute
– prevista a sua volta dall’art. 4, comma 6-ter, del dPR n. 322 del 1998 – è
destinata ad attestare l’importo delle somme corrisposte dal sostituto di
imposta e delle ritenute da lui operate. Mentre per la prima non è prevista in
via generale una data fissa di presentazione, le certificazioni debbono, ogni

la dichiarazione modello 770 deve essere comunque presentata dal datore di
lavoro (determinando la relativa omissione in ogni caso, quindi anche se si
trattasse di dichiarazione negativa, un illecito amministrativo), le
certificazioni, data la loro stessa natura, debbono essere rilasciate solo in
quanto si sia provveduto a versare le ritenute.
Siffatte differenze rendono ingiustificato inferire dal contenuto dei dati
riportati nel modello 770 il concreto rilascio della certificazione ai singoli
sostituiti di imposta.
Ma, ove quanto già riportato non bastasse, è stato altresì ricordato, in
maniera del tutto convincente, che se davvero fosse possibile effettuare
sempre ed in ogni caso (come nelle sentenze dianzi citate) l’equiparazione fra
presentazione del modello 770 e rilascio delle certificazioni – nel senso che
l’inoltro del modello 770 implica e dimostra di per sé l’avvenuto rilascio delle
certificazioni – allora diverrebbe irrazionale e privo di senso lo stesso sistema
normativo delineato dal legislatore con l’introduzione nell’impianto del dlgs
n. 74 del 2000 della novella costituita dall’art. 10-bis.
Come dianzi ricordato, infatti, la normativa previgente puniva
penalmente, sia pure con sanzioni diverse una volta entrato in vigore l’art. 3
del di n. 83 del 1991, convertito con modificazioni, con legge n. 154 del 1991,
sia l’omesso versamento di ritenute certificate che quello di ritenute non
certificate.
Il legislatore del 2000 eliminò, nell’originario impianto del citato dlgs, la
descritta distinzione e parificò le due ipotesi, punendole entrambe con la sola
sanzione amministrativa. Con l’introduzione dell’art. 10-bis, il legislatore ha
ripristinato la distinzione lasciando ferma la punizione con una sanzione
amministrativa per il mancato versamento di qualsiasi tipo di ritenuta, e
punendo (oltre che con la sanzione amministrativa) anche con la sanzione
penale il mancato versamento di ritenute certificate che superino una certa
soglia. Tutto l’impianto normativo si basa proprio sul presupposto che ben
possono esistere (e di solito esistono) omessi versamenti di ritenute per le

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anno, essere consegnate ai sostituiti di imposta entro il 28 febbraio; ancora:

quali non è stata rilasciata certificazione ed omessi versamenti di ritenute per
le quali è stata rilasciata certificazione.
L’orientamento giurisprudenziale dianzi ricordato portando inevitabilmente
a considerare che ogni ritenuta effettuata, sol perché documentata con la
dichiarazione modello 770, debba necessariamente essere stata certificata,
determina, in maniera fra l’altro tale da presentare non irrilevanti dubbi di
compatibilità con la normativa comunitaria (si veda a tale proposito quanto

Stevens contro Italia), che l’illecito amministrativo e quello penale possano
avere ad oggetto sostanzialmente il medesimo fatto, rendendo ingiustificata la
duplicità di sanzioni in caso di ritenute che superino la soglia.
Deve pertanto ritenersi che la sostanziale diversità ed indipendenza
reciproca tra i due atti sia stata riconosciuta dalla stessa previsione
normativa, punendo l’art. 10-bis, solo l’omesso versamento sopra soglia delle
ritenute oggetto di certificazione e non invece l’omesso versamento delle
ritenute che siano state esclusivamente indicate nella dichiarazione modello
770, per le quali varrà il regime dell’illecito amministrativo.
Come è stato altresì riportato nella citata sentenza n. 40526 del 2014 di
questa Corte, neppure è fondatamente possibile ritenere che sia astraibile,
sulla base del id quod plerumque accidit, una regola di esperienza nel senso
che le ritenute risultanti dal modello 770 siano per ciò stesso certificate,
essendo senza “senso dichiarare quello che non è stato corrisposto e, perciò
stesso, certificato”. Ove esistesse una siffatta regola di esperienza, infatti, il
legislatore ne avrebbe certamente dovuto tenere conto punendo, con notevole
semplificazione probatoria, il mancato versamento delle ritenute riportate
nella dichiarazione modello 770.
Ma, non avendo ciò fatto, pur intervenendo anzi sulla precedente
normativa (che, come dianzi ricordato nella primigenia formulazione,
richiedeva ai fini della rilevanza penale soltanto l’omesso versamento delle
ritenute), è proprio perché era ben consapevole delle differenze strutturali e
della radicale autonomia dei due distinti documenti, sicché non era possibile
desumere automaticamente dall’esistenza dell’uno la sussistenza dell’altro.
Né può ritenersi che la presentazione del modello 770 valga come indizio
sufficiente a dimostrare l’avvenuto rilascio delle ricordate certificazioni.
Invero, perché un fatto possa ritenersi provato, su base indiziaria è
necessario, per la costante giurisprudenza formatasi sull’art. 192, comma 2,
cod. proc. pen., che la sua esistenza possa essere desunta da più indizi,
aventi le caratteristiche della gravità, precisione e concordanza.

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stabilito con la nota sentenza delle CEDU del 4 marzo 2014 sul caso Grande

Nel caso in esame, la prova dell’avvenuto rilascio delle certificazioni
sarebbe invece, illegittimamente, dedotta da un solo indizio, rappresentato
appunto dalla presentazione del modello 770, neppure caratterizzato dalla
gravità e precisione.
Nella specie, la motivazione della sentenza impugnata si risolve nel mero
richiamo della contestata giurisprudenza, della quale già è stata
motivatamente dimostrata la inadeguatezza, secondo la quale, potendo la

quale sostituto di imposta sulle retribuzioni effettivamente corrisposte ai
sostituiti essere fornita dal Pm con ogni mezzo, essa può derivare anche dalla
sola acquisizione del modello 770 presentato dal sostituto di imposta.
Questa motivazione potrebbe ritenersi adeguata ove essa dovesse
concernere la sola prova della erogazione degli emolumenti e del mancato
versamento delle ritenute, e quindi della fondatezza della pretesa creditoria
della Agenzia delle Entrate, la cui violazione è presidiata dalla sanzione
amministrativa, ma nulla dimostra in ordine all’avvenuto rilascio ai sostituiti
delle certificazioni e quindi l’integrazione del delitto contestato alla ricorrente.
Né, è il caso di precisare, l’attuale convinta adesione all’orientamento
fatto proprio da questa Corte con la ricordata sentenza n. 40526 del 2014, ha
l’effetto di far gravare sugli uffici della pubblica accusa l’onere di una

probatio

diabolica dal momento che la prova che dovrà essere acquisita è di assai facile
reperimento o attraverso l’Agenzia delle Entrate, che dispone della
documentazione dei sostituiti, ovvero mediante la diretta audizione dei
sostituiti o, quanto meno, di taluno di essi.
In conclusione, va ribadito il principio che, nel reato di omesso
versamento di ritenute certificate di cui all’art. 10-bis del dlgs n. 74 del 2000,
spetta all’accusa fornire la prova dell’elemento costitutivo rappresentato dal
rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute effettivamente
operate e tale prova non può essere costituita dal solo contenuto della
dichiarazione modello 770 proveniente dal datore di lavoro.
Nella specie, come detto, la sussistenza del reato contestato è stata
desunta sulla base della sola acquisizione della dichiarazione modello 770, la
quale è, mentre idonea a fornire la prova del mancato versamento delle
ritenute, illecito questo sanzionato solo a livello amministrativo, non è invece
idonea a provare anche l’avvenuto rilascio delle certificazioni, circostanza di
fondamentale importanza in questa sede penale in quanto ne è necessaria la
dimostrazione ai fini della integrazione del reato de quo agitur.
La sentenza impugnata deve dunque essere annullata, essendo stato
accolto il primo motivo di ricorso e con assorbimento degli altri, con rinvio per
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prova delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro

nuovo esame ad altra Sezione della Corte d’appello di Milano, la quale si
atterrà al principio di diritto dianzi enunciato.
PQM
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di
appello di Milano.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2014
Il Presidente

Il Consigliere estensore

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