Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25317 del 10/12/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 25317 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Servida Maurizio, nato a Milano il 10/07/1947,

avverso la sentenza del 28/05/2014 della Corte di appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale Giulio
Romano, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi per l’imputato l’avv. Marco Dal Ben, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.11 sig. Maurizio Servida ricorre per l’annullamento della sentenza del
28/05/2014 della Corte di appello di Milano che, in parziale riforma della
sentenza del 26/06/2013 del Tribunale di quella stessa città, ha concesso il
beneficio della non menzione di cui all’art. 175, cod. pen., confermando, nel
resto, la condanna alla pena di quattro mesi di reclusione (oltre pene accessorie)

Data Udienza: 10/12/2014

inflitta per il reato di cui all’art.

10 ter, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, perché,

quale amministratore unico pro-tempore della società «La Decalcomania
S.r.I.>>, non aveva versato entro il 27/12/2008 l’imposta sul valore aggiunto
quantificata, in base alla dichiarazione annuale relativa all’anno 2007, in C
104.891,00.
1.1. Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b)
ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del
2000 e vizio di motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato che i

liquidità dell’impresa che – deduce – esclude la volontarietà dell’omissione e
rendeva necessario accertare se versasse nella materiale condizione di
adempiere alla scadenza e se non avesse fatto tutto quanto in suo potere per
saldare il debito.
1.2.Con il secondo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e),
cod. proc. pen., l’erronea applicazione degli artt. 53 e 58, legge 24 novembre
1981, n. 689, e 133, cod. pen., e vizio di motivazione in punto di negata
sostituzione della pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.E’ fondato il secondo motivo di ricorso, Rogr lo,-Lì-ti s_ec-orLdo.

3.Secondo l’approdo ermeneutico di Sez. U., n. 37425 del 28/03/2103,
Favellato:
a) il reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (art. 10ter d.lgs n. 74 del 2000), che si consuma con il mancato pagamento dell’imposta
dovuta in base alla dichiarazione annuale entro la scadenza del termine per il
pagamento dell’acconto relativo al periodo di imposta dell’anno successivo, è
punibile a titolo di dolo generico e consiste nella coscienza e volontà di non
versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato, non essendo
richiesto che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere
le imposte;
b) la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione
annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve,
quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, entro il termine
lungo previsto;
c) il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è normalmente collegato
al compimento delle operazioni imponibili. Ogni qualvolta

il soggetto

d’imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall’acquirente del bene o del
servizio) l’IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario,

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giudici di merito hanno ritenuto sussistente nonostante la conclamata crisi di

organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione
tributaria. L’introduzione della norma penale, stabilendo nuove condizioni e un
nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta
esigenza di organizzazione su scala annuale. Non può, quindi, essere invocata,
per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento
della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda
dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta.

quale fattore in grado di escludere la colpevolezza, tema solo accennato nella
citata sentenza delle Sezioni Unite, questa Corte ha ulteriormente precisato che
è necessario che siano assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione che devono
investire non solo l’aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi
economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche la
circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata
tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto.
4.1.0ccorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il
contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a
consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur
avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo
patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di
un’improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito
erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli
non imputabili (Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014; Sez. 3, n. 15416 del
08/01/2014, Tonti Sauro; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv.
258055).

5.Tanto premesso, osserva sin d’ora il Collegio che nel caso di specie le
allegazioni difensive sono sempre state generiche (anche in appello) e non
riescono a supportare le eccezioni di inesigibilità della condotta o comunque di
sussistenza della forza maggiore che, nell’ottica difensiva, escludono l’elemento
soggettivo del reato.
5.1.0ccorre sgombrare preliminarmente il campo da un equivoco di fondo
che rischia di alterare la corretta impostazione dogmatica del problema: per la
sussistenza del reato in questione non è richiesto il fine di evasione, tantomeno
l’intima adesione del soggetto alla volontà di violare il precetto.
5.2.Quando il legislatore ha voluto attribuire all’elemento soggettivo del
reato il compito di concorrere a tipizzare la condotta e/o quello di individuare il
bene/valore/interesse con essa leso o messo in pericolo, lo ha fatto in modo
espresso, escludendo, per esempio, dall’area della penale rilevanza le condotte

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4.Sviluppando e riprendendo il tema della «crisi di liquidità» d’impresa

solo eventualmente (e dunque non intenzionalmente) volte a cagionare l’evento
(art. 323, cod. pen., artt. 2621, 2622, 2634, cod. civ., art. 27, comma 1, d.lgs.
27 gennaio 2010, n. 39), incriminando, invece, quelle ispirate da un’intenzione
che va oltre la condotta tipizzata (i reati a dolo specifico), attribuendo rilevanza
allo scopo immediatamente soddisfatto con la condotta incriminata (per es., art.
424 cod. pen.), assegnando al momento finalistico della condotta stessa il
compito di individuare il bene offeso (artt. 393 e 629 cod. pen., 416, 270, 270bis, 305, cod. pen., 289-bis, 630, 605, cod. pen.).

omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, non richiedendo
la norma, quale ulteriore requisito, un atteggiamento antidoveroso di volontario
contrasto con il precetto violato.
5.4.Gli argomenti utilizzati a sostegno della pretesa applicabilità, al caso
concreto, della «forza maggiore», appaiono, alla luce della considerazioni che
precedono, frutto di un’operazione dogmaticamente errata che tende ad attrarre
nell’orbita del dolo generico requisiti che, per definizione, non gli appartengono e
che si collocano piuttosto nell’ambito dei motivi a delinquere o che ne misurano
l’intensità (art. 133 cod. pen.).
5.5.La scelta di non pagare prova il dolo; i motivi della scelta non lo escludo.
5.6.La forza maggiore esclude la

suitas della condotta. Secondo

l’impostazione tradizionale, è la «vis cui resisti non potest>>, a causa della
quale l’uomo «non agit sed agitur» (Sez. 1, n. 900 del 26/10/1965, Sacca,
Rv. 100042; Sez. 2, n. 3205 del 20/1271972, Pilla, Rv. 123904; Sez. 4, n. 8826
del 21/0471980, Ruggieri, Rv. 145855).
5.7.Per questa ragione, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte,
la forza maggiore rileva come causa esclusiva dell’evento, mai quale causa
concorrente di esso (Sez. 4, n. 1492 del 23/11/1982, Chessa, Rv. 157495; Sez.
4, n. 1966 del 06/12/1966, Incerti, Rv. 104018; Sez. 4 n. 2138 del 05/12/1980,
Biagini, Rv. 148018); essa sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione
dell’evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta
all’assoluta ed incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al comando,
mai quando egli si trovi già in condizioni di illegittimità (Sez 4, n. 8089 del
13/0571982, Galasso, Rv. 155131; Sez. 5, n. 5313 del 26/03/1979, Geiser, Rv.
142213; Sez. 4, n. 1621 del 19/01/1981, Sodano, Rv. 147858; Sez. 4 n. 284 del
18/02/1964, Acchiardi, Rv. 099191).
5.8.Poiché la forza maggiore postula la individuazione dì un fatto
imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta
dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo
ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria
dell’agente, questa Suprema Corte ha sempre escluso, quando la specifica
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5.3.11 dolo del reato in questione è integrato, dunque, dalla condotta

questione è stata posta, che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto
agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante. (Sez. 3, n.
4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986; Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013,
Giro, Rv. 255880; Sez 3, n. 24410 del 05/04/2011, Bolognini, Rv. 250805; Sez.
3, n. 9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232; Sez. 3, n. 643 del
22/10/1984, Bottura, Rv. 167495; Sez. 3, n. 7779 del 07/05/1984, Anderi, Rv.
165822).
5.9.Costituisce corollario di queste affermazioni il fatto che nei reati omissivi

difficoltà di porre in essere il comportamento omesso (Sez. 6, n. 10116 del
23/03/1990, Iannone, Rv. 184856).
5.10.Ne consegue che: a) il margine di scelta esclude sempre la forza
maggiore perché non esclude la “suitas” della condotta; b) la mancanza di
provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria penalmente
rilevante non può pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore
quando sia comunque il frutto di una scelta/politica imprenditoriale volta a
fronteggiare una crisi di liquidità; c) non si può invocare la forza maggiore
quando l’inadempimento penalmente sanzionato sia stato con-causato dai
mancati accantonamenti e dal mancato pagamento alla singole scadenze mensili
e dunque da una situazione di illegittimità; d) l’inadempimento tributario
penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi
da fatti non imputabili all’imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi
rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio
finalistico.
5.11.Alla luce delle considerazioni che precedono, la tesi difensiva è
palesemente infondata e del tutto generica.
5.12.E’ infondata perché, come già detto, il dolo richiesto dalla norma
incriminatrice è integrato dal consapevole e volontario inadempimento e deve
sussistere alla scadenza del termine. Le ragioni dell’omissione sono ad esso
estranee ed appartengono all’area del movente, per cui – come già detto – la
scelta di destinare le risorse liquide dell’impresa (compresi gli accantonamenti
destinati al versamento mensile dell’imposta) al pagamento di altri debiti
(comprese le retribuzioni dei dipendenti) non esclude affatto, anzi conferma, la
volontarietà del mancato pagamento che sussiste a prescindere dal fatto che
l’inadempimento esprima o meno l’intenzione di evadere il pagamento
dell’imposta.
5.13.E’ inoltre generica perché il ricorrente non ha mai rigorosamente
dimostrato di essere stato nell’impossibilità di effettuare i versamenti mensili a
causa dell’insolvenza dei suoi clienti nei confronti dei quali aveva emesso fattura,
non avendo mai dedotto quale fosse l’ammontare preciso dell’IVA non incassata,

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integra la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, non la semplice

quali fossero le fatture insolute, quale incidenza avesse avuto l’insoluto sul
debito annuale verso l’Erario, se e quali iniziative giudiziarie o stragiudiziarie
fossero state tempestivamente ma inutilmente intraprese per riscuotere
l’insoluto. La generica e parziale indicazione di dati relativi a fatture rimaste non
pagate da parte di clienti morosi non costituisce prova rigorosa della assoluta
impossibilità di adempiere derivante da causa non imputabile, essendo peraltro
principio incontroverso, nella dottrina e nella giurisprudenza civilistica, che la
crisi di liquidità salvo casi eccezionali non manda esente da colpa il debitore

5.14.11 primo motivo è perciò infondato.

6.E’ invece fondato il secondo motivo di ricorso.
6.1.La Corte di appello ha respinto la richiesta di sostituzione della pena
detentiva con la corrispondente pena pecuniaria sul rilievo che quest’ultima non
potrebbe assolvere alla funzione afflittiva e rieducativa perché il reato per il
quale si procede «fa proprio riferimento al mancato assolvimento di obblighi di
versamento».
6.2.Così motivando, però, la Corte di appello ha negato la sanzione
sostitutiva per il sol fatto di aver commesso il reato omissivo, introducendo
un’ipotesi di esclusione oggettiva di applicabilità delle pene sostitutive mai
originariamente contemplata dal legislatore ed in contrasto, anzi, con
l’abrogazione stessa dell’art. 60, legge n. 689 del 1981.
6.3.Nell’esercitare il potere discrezionale di sostituire le pene detentive brevi
con le pene pecuniarie corrispondenti, è necessario tenere conto dei soli criteri
indicati nell’art. 133, cod. pen. (art. 58 I. n. 689 del 1981), tra i quali è
compreso quello delle condizioni di vita individuale, familiare e sociale
dell’imputato, ma non quello delle sue condizioni economiche (Sezioni Unite, n.
24476 del 22/04/2010, Gagliardi, Rv. 247274), tanto meno il tipo di reato
commesso.
6.4.E’ dunque necessario che la Corte d’appello rivaluti la possibilità di
sostituire o meno la pena detentiva alla luce delle finalità dell’istituto, avuto
riguardo ai più ampi criteri indicati dall’art. 58, legge 689/81, a prescindere dalle
condizioni economiche del condannato e nell’ottica della funzione rieducativa
della pena che non può risentire esclusivamente del tipo di reato commesso.
6.5.La sentenza impugnata deve perciò essere annullata con rinvio ad altra
sezione della Corte di appello di Milano che rivaluterà la possibilità di sostituire la
pena detentiva con quella pecuniaria.
6.6.Resta ferma l’irrevocabile affermazione della responsabilità
dell’imputato.

6

pecuniario inadempiente.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla applicabilità della
sostituzione della pena detentiva con la pecuniaria corrispondente, con rinvio ad
altra Sezione della Corte di appello di Milano.

Così deciso il 10/12/2014

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