Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25313 del 10/12/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 25313 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Cavalli Giorgio, nato a Milano il 01/08/1940,

avverso la sentenza del 06/11/2013 del Tribunale di Mondovì;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giulio
Romano, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il sig. Giorgio Cavalli ricorre per l’annullamento della sentenza del
Tribunale di Mondovì che lo ha condannato alla pena di C 250,00 di ammenda
per il reato di cui agli artt. 29, comma 1, e 18, comma 5-bis, d.lgs. 10 settembre
2003, n. 276, perché, quale legale rappresentante della società cooperativa a
responsabilità limitata “L’Idea Lavoro”, aveva messo a disposizione della “MEC
S.p.a.” 5 soci lavoratori realizzando così una interposizione illecita di manodopera

Data Udienza: 10/12/2014

simulata da un contratto di appalto stipulato dalle due società il

10 febbraio

2008.
1.1. Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. c), cod. proc.
pen., l’incompetenza territoriale del Tribunale di Mondovì erroneamente ritenuta
dal giudice di prime cure che non ha considerato che il reato deve ritenersi
consumato non già nel luogo in cui è stato accertato (criterio residuale di
attribuzione della competenza), bensì in quello della sede legale dell’impresa
formalmente appaltante (nel caso di specie Milano), residenza altresì

quale provenivano tutti i lavoratori.
1.2.Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod.
proc. pen., la mancata assoluzione per difetto dell’elemento soggettivo del reato,
ritenuto sussistente benché la cooperativa fosse gestita in ogni suo aspetto
operativo da un amministratore di fatto (il direttore amministrativo) che, munito
di tutte le deleghe del caso e sub-delegando a sua volta i capi area responsabili
delle filiali sparse in tutta Italia (compresa quella dalla quale provenivano i
cinque lavoratori impegnati presso la “Mec”), aveva tenuto le redini della
capillare organizzazione decentrata del lavoro che faceva gerarchicamente capo
a lui, aveva sottoscritto il contratto di appalto, aveva preso parte alle relative
trattative, ne aveva curato ogni singolo aspetto operativo, tenendo l’imputato
all’oscuro di questa specifica vicenda come di tutti gli aspetti relativi
all’amministrazione societaria.
1.3.Con il terzo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc.
pen., l’insussistenza del reato per mancanza dell’elemento oggettivo non avendo
egli sottoscritto il contratto di appalto (che fu sottoscritto, come detto, dal
direttore amministrativo).
1.4.Con il quarto motivo eccepisce non essergli mai stato notificato il
verbale di ispezione del 26/11/2008 e di non essersi così potuto avvalere della
possibilità di estinguere in via amministrativa il reato, la cui notizia, aggiunge, è
stata trasmessa al Pubblico Ministero senza attendere la scadenza del termine
stabilito dall’art. 21. d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, per il pagamento
dell’oblazione.
1.5.Con l’ultimo motivo eccepisce che il diniego delle circostanze attenuanti
generiche non è motivato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il ricorso è infondato ma la sentenza impugnata deve essere annullata
perché il reato è estinto per prescrizione.

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dell’imputato, o, in subordine, in quello della sede secondaria (Cuneo) dalla

3.11 primo motivo è infondato.
3.1. Il reato di appalto illecito di manodopera di cui all’art. 18, comma 5-bis,
d.lgs, n. 276 del 2003, come reso palese dal testo della relativa fattispecie
incriminatrice (che fa riferimento ai lavoratori «occupati» e quantifica la
sanzione tenendo conto di «ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di
occupazione»), è di natura permanente e si consuma nel luogo e per tutto il
tempo in cui viene effettivamente disimpegnata l’attività lavorativa, non in quello
nel quale viene sottoscritto il contratto di appalto o ha sede l’agenzia dalla quale

3.2. Il luogo di lavoro è quello nel quale l’esercizio, da parte del
committente, del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori
utilizzati nell’appalto e la concomitante mancata assunzione, da parte
dell’appaltatore, del rischio d’impresa, svelano la vera causa del contratto, privo
dei requisiti di liceità di cui all’art. 29, d.lgs. 10 settembre 2003, n 276.
3.3.Nel caso in esame la prestazione lavorativa è stata disimpegnata presso
i locali della “Mec Spa” in Montanera, comune originariamente ricadente nel
circondario del Tribunale di Mondovì (e della Procura della Repubblica presso di
esso), successivamente accorpato al Tribunale di Cuneo.

4. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, che possono essere esaminati
congiuntamente per l’identità dell’oggetto (la responsabilità dell’imputato),
fondano in gran parte su una ricostruzione fattuale finalizzata a rappresentare la
situazione di assoluto dominio del direttore amministrativo nella gestione della
cooperativa tale da esautorare le funzioni di amministratore unico dell’imputato.
4.1.Senonché, a parte l’inammissibile sottoposizione a questa Suprema
Corte, ai fini di una loro diretta valutazione, di prove assunte nel processo di
merito, i motivi esposti risentono di una contraddizione intrinseca che ne
indebolisce la forza argomentativa.
4.2. E’ lo stesso imputato, infatti, a dedurre che nel novembre 2009 aveva
ripreso il controllo totale della società dopo aver appreso della “mala gestio” del
suo direttore amministrativo al quale aveva precedentemente delegato ogni
decisione.
4.3.11 fatto che l’imputato abbia potuto revocare la delega al direttore
amministrativo ed esautorarlo da ogni incarico, inibendogli persino la possibilità
di entrare fisicamente negli uffici, dimostra che egli ha sempre mantenuto

il

dominio sulla gestione societaria che non gli ha impedito, quando ha voluto e
potuto, di riprenderne l’amministrazione diretta e piena.
4.4.E’ arduo, in questo contesto, ipotizzare l’assenza di reali ed effettivi
poteri gestori che nel caso di specie l’imputato ha dimostrato di possedere.

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provengono i lavoratori.

4.5.Non possono nemmeno essere trasposti tal quali, al caso di specie, i
principi elaborati da questa Suprema Corte in materia di concorso
dell’amministratore di diritto nel reato doloso commesso dall’amministratore di
fatto, ostandovi la natura (anche) colposa del reato contestato al ricorrente.
4.62imputazione anche a titolo colposo del reato contestato, infatti, amplia
l’addebito estendendolo ai quei reati che, pur non previsti, né voluti
dall’amministratore di diritto e dei quali egli non aveva nemmeno la generica
conoscenza, avrebbero potuto esserlo ove egli avesse esercitato il dovere/potere

4.7.Sicché, non ha rilievo l’obiezione che l’amministratore era stato escluso
dal flusso di informazioni necessarie ad orientare la sua azione, perché quel che
conta è che egli avrebbe dovuto pretendere di essere informato, per cui quel che
rileva è se l’amministratore di diritto aveva la concreta ed effettiva possibilità di
impedire la consumazione del reato posto in essere dall’amministratore di fatto e
se la mancata conoscenza, anche generica, delle condotte illecite poste in essere
da quest’ultimo possa essere attribuita a sua colpa oppure no.
4.8. A tal fine un parametro di valutazione può ben essere offerto dall’art. 6,
d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, la cui osservanza esclude la responsabilità dell’ente
per il reato commesso dall’amministratore o dalle persone sottoposte alla
direzione o vigilanza di quest’ultimo.
4.9.Nel caso di specie, è lo stesso imputato ad ammettere di aver impresso
alla cooperativa da lui amministrata un assetto organizzativo tale per cui il
direttore amministrativo era stato dotato dei più ampi poteri gestionali.
4.10.Ne consegue che in alcun modo egli può andare esente da
responsabilità per il reato ascrittogli.

5. Il quarto motivo di ricorso è generico e comunque infondato.
5.1.11 Tribunale ha ritenuto infondata l’eccezione difensiva della “inesigibilità”
del pagamento in forma ridotta della sanzione amministrativa (art. 21, digs. n.
758 del 1994) a causa del fallimento della cooperativa, sul rilievo che: a) il reato
era stato accertato il 06/10/2008; b) l’imputato aveva mostrato di essere a
conoscenza degli esiti dell’ispezione presso la MEC Spa, come si evince dalla
denuncia-querela da lui sporta il 28/07/2011; c) il direttore amministrativo/
amministratore di fatto era stato allontanato nel novembre 2009; d) il fallimento
della cooperativa è stato dichiarato nel giugno 2010.
5.2.11 ricorrente oggi eccepisce di non aver mai ricevuto la notifica del
verbale di ispezione (questione di fatto), che la notizia di reato è stata trasmessa
all’autorità giudiziaria senza attendere la maturazione del termine concesso per il
pagamento della sanzione (questione di diritto), che il fallimento lo ha in ogni

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di vigilare e controllare l’operato del delegato.

caso privato delle disponibilità liquide per poter adempiere (questione di fatto e
di diritto).
5.3.In via preliminare va ricordato che, ai sensi dell’art. 20, comma 4, d.lgs.
19 dicembre 1994, n, 758, l’organo di vigilanza è tenuto a trasmettere al
pubblico ministero la notizia di reato senza attendere la scadenza dei termini
concessi al contravventore per eliminare le irregolarità accertate e pagare la
somma liquidata a titolo di oblazione ai sensi dell’art. 21, comma 2, d.lgs.
758/94, termini durante i quali il procedimento resta solo sospeso.

che la notizia di reato è stata trasmessa prima della scadenza del termine
stabilito per il pagamento dell’oblazione.
5.5.Palesemente infondata è altresì l’eccezione che il fallimento ha privato il
ricorrente delle disponibilità liquide per pagare la sanzione sia perché esso è
intervenuto a distanza di due anni dall’accertamento (quando il termine per
adempiere era ampiamente scaduto), sia perché al pagamento della sanzione è
tenuto il contravventore con le sue personali disponibilità, delle quali non è
privato se, come nel caso in esame, il fallimento ha riguardato una società di
capitali.
5.62eccezione secondo la quale all’imputato non era stato notificato il
verbale di accertamento costituisce questione di fatto del tutto eccentrica
rispetto alla diversa deduzione (l’inesigibilità della condotta) sottoposta al
giudizio del Tribunale che l’ha disattesa nei termini sopra indicati.
5.7.In ogni caso, trattandosi di questione di fatto, il ricorrente avrebbe
dovuto denunziare il travisamento della prova (con quanto ne consegue in
termini anche di autosufficienza del ricorso) invece di eccepire, genericamente, il
vizio di improcedibilità dell’azione penale (e dunque un vizio di legge).

6.La non manifesta infondatezza del ricorso non ha impedito il corretto
instaurarsi del rapporto processuale e, con esso, il decorso del termine utile per
la prescrizione del reato, maturato – avuto riguardo ai periodi di sospensione del
dibattimento per l’adesione del difensore all’astensione dalle udienze proclamata
dagli organismi di categoria (dal 14/04/2011 al 14/10/2011) – il 07/04/2014.
6.1.L’infondatezza del secondo e del terzo motivo di ricorso rendono non
evidente l’innocenza dell’imputato.
6.2.11 reato è dunque estinto per prescrizione.
6.3.11 che rende superfluo l’esame dell’ultimo motivo di ricorso.

5

5.4.Sicché è totalmente infondata, oltre priva di conseguenze, l’eccezione

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per
prescrizione.

Così deciso il 10/12/2014

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