Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25233 del 18/04/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 25233 Anno 2013
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: ROTUNDO VINCENZO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
TRABELSI HEDI N. IL 22/04/1989
avverso la sentenza n. 13523/2011 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di BOLOGNA, del 15/03/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO
ROTUNDO;

Data Udienza: 18/04/2013

FATTO E DIRITTO
1 .-. L’imputato ricorre per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe, con
la quale gli é stata applicata la pena concordata con il Pubblico Ministero ai sensi dell’art.
444 c.p.p. per i reati a lui ascritti, ritenuta la continuazione tra gli stessi.
Lamenta la violazione dell’art. 129 c.p.p. nonché la mancanza ed illogicità della
motivazione, in quanto dagli atti del procedimento sarebbe emerso con evidenza che
ricorrevano le condizioni per la sua assoluzione.
Deduce altresì violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta
continuazione tra i reati, alla mancata indicazione della pena inflitta per ciascuno dei
delitti contestati e alla pena applicata, ritenuta eccessiva.
2 .-. Il primo motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile per assoluto
difetto di specificità. Il ricorrente, in vero, pur dolendosi della insufficienza delle
argomentazioni poste alla base della decisione impugnata, non indica in alcun modo le
ragioni per le quali, in presenza di una richiesta di applicazione della pena da lui
proveniente, che presupponeva la rinuncia implicita a qualsiasi questione sulla
colpevolezza, il Giudice avrebbe dovuto nondimeno disattendere tale richiesta e
pervenire ad una decisione di proscioglimento basata sull’evidenza della insussistenza del
fatto, della sua mancata commissione da parte dell’imputato, della presenza di cause di
giustificazione, dell’insussistenza dell’elemento soggettivo o in genere della sua
inidoneità ad integrare gli estremi del reato contestato.
Anche le ulteriori censure sono inammissibili.
Premesso che l’applicazione della pena su richiesta delle parti è un meccanismo
processuale in virtù del quale, da un lato, l’imputato ed il Pubblico Ministero si
accordano sulla qualificazione giuridica della condotta contestata, sulla concorrenza di
circostanze, sulla comparazione fra le stesse e sull’entità della pena, e, dall’altro, il
giudice ha il potere dovere di controllare l’esattezza dei menzionati aspetti giuridici e la
congruità della pena richiesta e di applicarla dopo aver accertato che non emerge in modo
evidente una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 c.p.p., si osserva che il
ricorso propone censure non consentite, atteso che il giudice, nell’applicare la pena, non
ha fatto altro che attenersi a quanto al riguardo concordato tra le parti, previa verifica e
riconoscimento della relativa congruità.
Tanto più valgono tali conclusioni in riferimento alla entità dell’aumento di pena
applicato ai sensi dell’art. 81 cpv. c.p., trattandosi di pena corrispondente a quella
concordata dalle parti. A parte il fatto che in sentenza risultano indicati gli aumenti di
pena applicati per le singole infrazioni.
3 .-. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro
millecinquecento, determinata in considerazione della natura del provvedimento
impugnato, in favore della Cassa delle Ammende.
P. Q. m.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento della somma di euro millecinquecento in favore della Cassa
delle Ammende.
Co deciso in R.. a in data 18-4-13.
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– 7 M 2013
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c. c.: 18-4-13

R.G. n. 43205-12

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