Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2520 del 05/12/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 2520 Anno 2014
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: ROTUNDO VINCENZO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
AFRAH MOHAMED N. IL 15/11/1989
avverso la sentenza n. 1/2013 TRIB.SEZ.DIST. di ALBENGA, del
07/01/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO
ROTUNDO;

Data Udienza: 05/12/2013

c.c.: 5-12-13
FATTO E DIRITTO
Il ricorrente impugna per cassazione la sentenza di cui in epigrafe, resa ai sensi
dell’art. 444 c.p.p., che gli ha applicato la pena secondo la concorde richiesta delle
parti.
Deduce violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla qualificazione
del fatto a lui ascritto.
Il Collegio premette che l’applicazione della pena su richiesta delle parti è un
meccanismo processuale in virtù del quale l’imputato ed il Pubblico Ministero si
accordano sulla qualificazione giuridica della condotta contestata, sulla concorrenza
di circostanze, sulla comparazione fra le stesse e sull’entità della pena. Da parte sua il
giudice ha il potere dovere di controllare l’esattezza dei menzionati aspetti giuridici e
la congruità della pena richiesta e di applicarla dopo aver accertato che non emerge in
modo evidente una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 c.p.p.
Ne consegue che – una volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena ex art.
444 c.p.p. – l’imputato non può rimettere in discussione profili oggettivi o soggettivi
della fattispecie perché essi sono coperti dal patteggiamento.
Tanto premesso, il Collegio osserva che il ricorso é inammissibile, in quanto propone
proprio un riesame della vicenda storica, al fine di diversamente qualificare i fatti
ascritti al prevenuto, senza evidenziare alcun vizio denunciabile della sentenza
impugnata, che, nell’applicare la pena concordata, si è adeguata a quanto contenuto
nell’accordo tra le parti, escludendo che ricorressero i presupposti dell’art. 129 c.p.p.
e così adempiendo adeguatamente all’obbligo di motivazione, in relazione alla
ricordata speciale natura dell’accertamento in sede di applicazione della pena su
richiesta delle parti (Sez. un., u.p. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. un., u.p. 27
settembre 1995, Serafino; Sez. un., u.p. 25 novembre 1998, Messina).
Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle
Ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro
millecinquecento, non ravvisandosi ragioni per escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità.
Per questi motivi
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento della somma di euro millecinquecento in favore della
Cassa delle Ammende.
cos’ deciso in Roma, all’udienza del 5-12-13.

R.G. 23252-13

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