Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25194 del 08/02/2018

Penale Sent. Sez. 1 Num. 25194 Anno 2018
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: FIORDALISI DOMENICO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A.

avverso l’ordinanza del 28/03/2017 del TRIBUNALE di TRENTO
sentita la relazione svolta dal Consigliere DOMENICO FIORDALISI;
lette le conclusioni del PG

Data Udienza: 08/02/2018

Il Procuratore generale, Giovanni Di Leo, chiede il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. A.A.  (di nazionalità cilena) ricorre avverso
l’ordinanza del 28.3.2017 con la quale il Tribunale di Trento, in funzione di
giudice dell’esecuzione, aveva rigettato l’istanza di accertamento del ne bis in
idem,

volta alla rideternninazione della pena complessivamente non

pronunciate per il medesimo fatto e contro la stessa persona.

2. In particolare, con la sentenza n. 6/2013 del 08/01/2013 (irrevocabile dal
29.10.2013) il ricorrente era stato condannato alla pena di mesi sei di
reclusione ed euro 400,00 di multa, per il reato di cui all’art. 570 cod. pen.,
per fatti commessi a Trento “dal maggio 2010”. Con la sentenza n. 1079/2014
del 03/12/2014 (irrevocabile dal 29.12.2014) era stato condannato alla pena
di mesi due di reclusione ed euro 100 di multa da aggiungersi alla pena
suddetta applicando la disciplina della continuazione col medesimo reato di cui
all’art. 570 cod. pen., commesso dall’aprile del 2011 (data della precedente
contestazione) fino al 31.1.2014 (data delle ultime sommarie informazioni
rese da B.B.), perché faceva mancare i mezzi di sussistenza alla figlia
minore, omettendo di versare a B.B. le somme spettanti
a titolo di mantenimento della figlia, per le spese ordinarie e straordinarie.
3. Nel caso di specie l’assenza di preclusione sostanziale va messa in relazione
al fatto che il giudice di Trento asserisce di aver fatto l’accertamento in
concreto nella sentenza di patteggiamento che ha riconosciuto la
continuazione tra i predetti fatti di reato.
4. Secondo il ricorrente, la sovrapposizione di date dei reati commessi,
avrebbe imposto una riduzione della pena inflitta, ai sensi dell’art. 669 comma
1 cod. proc. pen., mentre il Tribunale aveva rigettato la richiesta, perché
trattavasi dell’applicazione di una pena su richiesta di parte, ai sensi dell’art.
444 cod. proc. pen.
5. Il ricorrente deduce l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena
di nullità ex art. 606 lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., per errore di diritto e
per mancanza di motivazione, stante l’identità del fatto contestato come si
evince dai capi di imputazione delle sentenze e dal fatto che la prima

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coincidente in ragione della sussistenza di una pluralità di sentenze

contestazione è aperta, con la fissazione della sola data di inizio della
condotta.
6. Nel dettaglio, il ricorrente evidenzia che le due sentenze del Tribunale
coprono lo stesso periodo di tempo, che la motivazione del provvedimento
impugnato è illogica e richiama impropriamente la giurisprudenza di legittimità
Sez. 3, n. 17197, del 10/03/2016, Andreini Rv. 266582 che riguarda un caso
diverso, relativo ad un contrasto tra una sentenza di condanna o un decreto
penale e una sentenza assolutoria, mentre nel caso di specie si tratta di due

dell’art. 669 comma 1 e non in quello di cui all’art. 669 comma 8 cod. proc.
pen.
Precisa il ricorrente che proprio la giurisprudenza suindicata si pronuncia nel
senso che la statuizione incidentale del giudice di cognizione non è vincolante,
per il giudice dell’esecuzione, mentre lo sarebbe stato solo se la questione del
ne bis in idem fosse stata risolta in via principale dal giudizio di cognizione.
7. Inoltre, il fatto che la seconda sentenza sia di patteggiamento non avrebbe
il rilievo impeditivo datogli dal Tribunale, in ordine alla questione sollevata,
perché l’art. 445 cod. proc. pen. non contempla alcuna limitazione dei diritti
processuali del condannato in fase esecutiva.
8. Infine, denuncia incompiutezza della motivazione, per assenza di
intelligibilità delle ragioni che hanno indotto il giudice alla decisione assunta.
9. Osserva il Collegio che il ricorso va dichiarato sotto ogni profilo
inammissibile.
10.

Il ricorrente non ha spiegato né ha svolto alcuna argomentazione in

base all’identità delle situazioni di fatto, che costituiscono il contenuto delle
imputazioni sulle quali si sono pronunciate le due sentenze.
Egli ha solo richiamato le date di commissione dei fatti di reato, così come
contestate.
Tale mancanza appare insanabile dal giudice in questa sede di legittimità;
ed invero il fatto che la prima sentenza sia relativa ad una contestazione c.d.
“aperta”, con l’indicazione della sola data di inizio della condotta, senza
indicazione della data di cessazione della condotta, rileva solo sul piano
processuale e non anche su quello sostanziale.
Tanto che la giurisprudenza di legittimità Sez. 5 n. 25578 del 15 maggio
2007 ha precisato che “non si ha alcuna inversione dell’onere della prova,

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sentenze di condanna che coprono gli stessi fatti, pertanto si verte nell’ipotesi

quasi che debba essere l’imputato, sol perché accusato di un reato di carattere
permanente, a dimostrare, a fronte di una presunzione contraria, la
cessazione dell’illecito prima della data di condanna in primo grado”.

11.

Va quindi ribadita la posizione delle Sez. U., n. 11029, del 13/07/1998,

Montanari, e Sez. 1, n. 10640, del 03/09/1999, Valerio, per la quale, quando
dalla data di cessazione della permanenza debba farsi derivare anche in sede
esecutiva un qualsiasi effetto giuridico, non può bastare il puro e semplice

si sia trattato di contestazione aperta, se il giudice di merito abbia o meno
ritenuto esplicitamente o implicitamente provata la permanenza della
condotta illecita oltre la data dell’accertamento e, eventualmente, se tale
permanenza risulti effettivamente accertata fino alla sentenza (si veda, anche,
Sez. 1, n. 774, del 14/12/2004, Lucarelli, e Sez. 1, n. 46583, del 17/11/2005,
Piccolo).

12.

Spettava quindi al ricorrente dedurre che la condotta accertata in

concreto nella seconda sentenza si fosse sovrapposta a quella ritenuta dal
primo giudice, indipendentemente dal mero richiamo della data della
contestazione “aperta” nel primo capo di imputazione fino alla pronuncia della
sentenza.

13.

Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e la condanna del

ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento
in favore della Cassa delle Ammende di una somma determinata, equamente,
in Euro 2000,00, tenuto conto del fatto che non sussistono elementi per
ritenere che “la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità”. (Corte cost. n. 186 del
13/06/2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 08/02/2018.

riferimento alla data della sentenza di primo grado, ma occorre verificare, ove

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