Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25181 del 09/02/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 25181 Anno 2016
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: CASA FILIPPO
Data Udienza: 09/02/2016

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI BRINDISI
nei confronti di:
TAFURI COSIMO N. IL 11/1211992
inoltre:
TAFURI COSIMO N. IL 11/12/1992
avverso l’ordinanza n. 264/2014 TRIBUNALE di BRINDISI, del
25/02/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;

lette/semi~ le concl~sioni del PG Dott. ~~ Ul.lu. .a.u~ ~ ~ LuL. dLt-~
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Uditi difensor Avv.;

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza resa in data 25.2.2015, il G.I.P. del Tribunale di Brindisi, deliberando
in funzione di giudice dell’esecuzione, rideterminava in euro 5.000,00 di multa la pena
pecuniaria inflitta a TAFURI Cosimo con sentenza emessa ex art. 444 c.p.p. dal G.I.P.
medesimo in data 10.11.2011, irrevocabile il 20.6.2012,.
Con la predetta sentenza era stata applicata al TAFURI la pena di tre anni di reclusione
ed euro 26.000,00 di multa per aver l’imputato detenuto a fini di spaccio circa 800 grammi di
hashish e 24 grammi di marijuana.
Posto che la pena detentiva era stata già espiata, l’incidente di esecuzione veniva
promosso solo per la rideterminazione della pena pecuniaria alla luce della sentenza della Corte
Costituzionale n. 32/14 del 25/2/2014, con la quale era stata dichiarata l’illegittimità
costituzionale degli articoli 4-bis e 4-vicies ter D.L. n. 272/205, convertito nella legge n.

49/2006.
Il

giudice

dell’esecuzione,

investito,

per l’ormai

consolidato

orientamento della

giurisprudenza costituzionale e di legittimità, del potere di adeguare la pena alla legittimità del
sistema normativa vigente, osservava che all’esercizio di detto potere discrezionale, vincolato
solo ai parametri di cui all’art. 133 c.p.,

non era di ostacolo la base pattizia della pena da

rideterminare, che non precludeva di compiere la valutazione di congruità della pena anche nel
caso di “dissenso” di una delle parti.
Ciò posto, riteneva,

nella specie, adeguata al fatto, alla stregua del rilevante

quantitativo di stupefacente nella disponibilità del TAFURI, la pena pecuniaria indicata in
premessa, secondo la seguente scansione: pena base euro 10.500,00 di multa, ridotta a

7.000,00 euro per le attenuanti generiche, aumentata per la continuazione ad euro 7 .500,00,
ridotta per il rito del patteggiamento ad euro 5.000,00.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica di
Brindisi, deducendo violazione di legge in riferimento agli artt. 136 Cost., 30, commi 3 e 4, L.
n. 87/53, 673 c.p.p. e 2 c.p ..
In sintesi, il Procuratore ricorrente assume che, nella concreta fattispecie, la pena
applicata in sede di cognizione non poteva ritenersi illegale, in quanto era stata indicata come
pena base una sanzione ricompresa nel limite edittale previsto dal ripristinato art. 73 D.P.R. n.

309/90 per le droghe leggere e, inoltre, erano state concesse le attenuanti generiche pur in
presenza di un’elevata consistenza dello stupefacente detenuto.
In tal caso, pertanto, il giudicato non poteva non rappresentare un limite invalicabile
per il giudice dell’esecuzione.
3. Con requisitoria scritta, il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso, in quanto manifestamente infondato.

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4. In data 29.1.2016 è stata depositata memoria difensiva nell’interesse del TAFURI,
con cui si chiede l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.
2

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza.

1. Occorre premettere che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 42858
del 29/5/2014, Gatto, Rv. 260697, hanno tracciato le linee ermeneutiche fondamentali per la
comprensione della tematica devoluta dal ricorso.
In particolare, innestandosi su un percorso interpretativo già intrapreso da precedenti
decisioni (Sez. U., n. 18821 del 24/10/2013, Ercolano, Rv. 258650; Sez. U., n. 4687 del
20/12/2005, Catanzaro, Rv. 232610), si è affermato che, in linea di principio, la formazione del
giudicato non rappresenta un ostacolo insormontabile all’accoglimento di istanze avanzate in
sede esecutiva per adeguare il rapporto esecutivo ai mutamenti intervenuti nel titolo di
condanna e nella sanzione inflitta, in quanto, sebbene la pronuncia irrevocabile mantenga
nell’ordinamento processuale il suo valore a garanzia della certezza e della stabilità delle
situazioni

giuridiche,

oggetto

di

accertamento

giudiziale,

e

della

libertà

individuale

dell’imputato, non perseguibile per lo stesso fatto illecito quando sia pronunciata condanna
irrevocabile, ciò nonostante essa non esplica efficacia assoluta e totalmente preclusiva, in
ragione

della

previsione

legislativa

di

plurimi

strumenti

che

consentono

al

giudice

dell’esecuzione di operare interventi integrativi o modificatlvi delle statuizioni già divenute
definitive, primo fra tutti la possibilità di revoca della sentenza di condanna di cui all’art. 673 c.
p.p ..
E’ stato, quindi, affrontato il tema della distinzione antologica tra declaratoria di
incostituzionalità della norma penale ed ordinario intervento legislativo abrogativo, giustificato
da mutata considerazione delle finalità da perseguire con le disposizioni penali: nel primo caso
la pronuncia di illegittimità costituzionale travolge sin dall’origine la norma scrutinata secondo
un fenomeno diverso da quello dell’abrogazione, che, viceversa, limita l’efficacia della sua
applicazione a fatti verificatisi sino ad un certo limite temporale, potendo dar luogo a
successione di leggi nel tempo in relazione alla diversa regolamentazione della stessa materia
introdotta. Pertanto, nella prima situazione, poiché la norma incostituzionale viene “espunta
dall’ordinamento proprio perché affetta da invalidità originaria”, sorge l’obbligo per i giudici
avanti ai quali si invocano le norme dichiarate incostituzionali di non applicarle, obbligo
vincolante anche quando il contrasto con i valori costituzionali sia riscontrato in disposizione di
legge penale sostanziale, diversa da quella incriminatrice perché incidente soltanto sulla pena,
così divenuta illegale nella sua misura, sebbene irrogata a punizione di un fatto di immodificata
illiceità penale.
Ne discende che “tutti gli effetti pregiudlzievoli derivanti da una sentenza penale di
condanna fondata, sia pure in parte, sulla norma dichiarata incostituzionale devono essere
rimossi dall’universo giuridico, ovviamente nei limiti in cui ciò sia possibile, non potendo essere
eliminati gli effetti irreversibili perché già compiuti e del tutto consumati”.

3

In tal modo, in aderenza al disposto dell’art. 30, comma 4, della L. n. 87 del 1953,
secondo il quale, quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata
pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti
penali, si è precisato, da un lato, che l’omesso inserimento nel testo dell’art. 673 c.p.p. del
caso di declaratoria di incostituzionalità di norma penale relativa al solo trattamento
sanzionatorio non impedisce l’esercizio dei poteri del giudice dell’esecuzione, dall’altro, che la
rilevanza della pronunzia di incostituzionalità della disposizione sulla pena incontra il limite
dell’esaurimento del rapporto esecutivo.
1.1. Tali principi hanno, poi, ricevuto ulteriore precisazione per effetto di un successivo
intervento delle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 37107 del 26/2/2015
(dep. 15/9/2015), ric. Marcon, Rv. 264858, la quale ha stabilito che, fermo restando il giudizio
di responsabilità e di accertamento e comparazione delle circostanze, la pena applicata su
richiesta delle parti per i delitti previsti dall’art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990 in relazione alle
droghe c.d. leggere, con pronuncia divenuta irrevocabile prima della sentenza della Corte
Costituzionale n. 32 del 2014, deve essere necessariamente rideterminata in sede di
esecuzione mediante la “rinegoziazione” dell’accordo tra le parti, ratificato dal giudice
dell’esecuzione, che viene investito di incidente di esecuzione, attivato dal condannato o dal
pubblico ministero, con le modalità di cui al procedimento previsto dall’art. 188 disp. att.
c.p.p.: soltanto in caso di mancato accordo, detto giudice dovrà provvedere di sua iniziativa ad
individuare la pena congrua in riferimento ai ripristinati limiti edittali, facendo ricorso ai criteri
di cui agli artt. 132 e 133 c.p ..
1.2. Tale soluzione, che mutua il il principio già affermato – relativamente alla fase della
cognizione – in altra pronuncia delle Sezioni Unite, resa nella medesima udienza del

26/2/2015, (n. 33040, ric. Jazouli, Rv. 264206), merita piena condivisione, poiché valorizza la
natura irrevocabile della definizione pattizia del procedimento (sulla irreversibilità dell’accordo
ex art. 444, comma 1, c.p.p., da ultimo Sez. 5, n. 44456 del 27/6/2012, Bernardini, Rv.

254058) e preserva la volontà delle parti che hanno proceduto di loro comune iniziativa
all’individuazione del trattamento punitivo, ritenuto congruo dal giudice della cognizione a
norma dell’art. 444, comma 2, c.p.p.: mantiene, dunque, inalterata la natura negoziata
dell’accordo e demanda alle parti di rinnovarlo alla luce del mutato quadro normativa di
riferimento, prevedendo un intervento decisorio del giudice dell’esecuzione di verifica della
congruità e correttezza del calcolo, in analogia con gli stessi poteri conferitigli in sede di
cognizione e di autonoma determinazione soltanto in via suppletiva a fronte dell’insuperabile
dissenso tra le parti.
In altri termini, quella così formulata costituisce soluzione che replica la previsione di cui
all’art. 188 disp. att. c.p.p ..
2. Nel caso in esame è, dunque, giuridicamente corretta la soluzione raggiunta dal
giudice dell’esecuzione, che, messo di fronte al dissenso del P.M. rispetto alla richiesta di
rideterminazione della pena pecuniaria avanzata dall’interessato, ha provveduto d’ufficio alla
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rideterminazione stessa, con la motivazione congrua ed adeguata riportata nella superiore
esposizione in fatto.

3. Il ricorso del Procuratore della Repubblica di Brindisi, in conclusione, va dichiarato
inammissibile.

P.Q.M.

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Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2016

Il Consigliere estensore

Il Presidente

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