Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25158 del 14/01/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 25158 Anno 2015
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: DE BERARDINIS SILVANA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LANDRO GIUSEPPE N. IL 31/07/1974
avverso la sentenza n. 239/2013 CORTE APPELLO di CATANIA, del
06/10/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/01/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SILVANA DE BERARDINIS
Udito il Procuratore qenerale in persona del Dott. v 2AM
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che ha concluso per (

Udito, per la parte civile, l’Avv
did *fensofeAvv.

e

Data Udienza: 14/01/2015

RILEVATO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza la Corte d’appello di Catania, giudicando su gravame
proposto nell’interesse di LANDRO Giuseppe avverso la sentenza di primo grado che
lo aveva riconosciuto responsabile del reato di lesioni aggravate da futili motivi in
danno di Torrisi Salvatore, per aver cagionato a costui, colpendolo ripetutamente con
schiaffi, calci e pugni, lesioni personali costituite da escoriazioni al naso nonché da
trauma contusivo toracico-addominale con frattura di varie costole, confermò il
giudizio di penale responsabilità dell’imputato per le sole lesioni costituite dalle
escoriazioni al naso, derivanti dalla prima delle due aggressioni subite dalla persona
offesa, con rideterminazione della relativa pena in mesi quattro di reclusione,
assolvendolo dalle altre lesioni , riconducibili alla seconda aggressione, per non aver
commesso il fatto, poiché questo appariva ascrivibile a soggetti diversi dall’imputato.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa dell’imputato,
denunciando:
1) violazione degli artt. 522 e 604 c.p.p. per essere stata affermata la responsabilità
dell’imputato in ordine al fatto costituito dalle sole escoriazioni al naso, relativamente
al quale, siccome non riconducibile alla condotta descritta nel capo d’imputazione,
consistita nell’aver colpito la persona offesa con schiaffi, calci e pugni, egli non
sarebbe stato messo in condizioni di potersi difendere;
2) vizio di motivazione in ordine alla ritenuta credibilità della persona offesa,
nonostante, in primo luogo, la pur riconosciuta discrasia tra le sue dichiarazioni,
secondo le quali essa aveva riferito alla dott.ssa Marzo, del pronto soccorso, di essere
stata colpita con pugni e calci, tanto da ricevere il consiglio di farsi fare delle
radiografie, e le dichiarazioni della Marzo, secondo le quali, in occasione della prima
visita, ella aveva constatato solo le escoriazioni al naso, per le quali aveva effettuato
una semplice medicazione, mentre aveva consigliato le radiografie solo all’esito della
seconda visita cui il Torrisi si era sottoposto, a seguito della seconda aggressione; in
secondo luogo, la divergenza tra quanto sostenuto dal Torrisi circa il fatto che egli si
sarebbe trovato solo con l’imputato, all’atto delle pretesa aggressione da parte del
medesimo, e quanto sostenuto invece dal teste Siligato, il quale aveva riferito di aver
raccolto da terra gli occhiali del Torrisi e di averglieli restituiti, così dimostrando di
essere stato, nell’occasione, anch’egli presente;
3) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta qualificabilità
come “lesione” della semplice escoriazione al naso riportata dalla persona offesa,
siccome non riconducibile — si sostiene — alla nozione di “malattia”;
4) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza
dell’aggravante dei motivi futili, essendosi la corte territoriale limitata ad escludere la
denunciata violazione del diritto difesa, costituita dall’essere stati i detti motivi
ricondotti a questioni di lavoro, laddove nella contestazione si era parlato invece di
questioni di vicinato, senza però specificare per quali ragioni detta aggravante
sarebbe stata, comunque, da riconoscere;
5) vizio di motivazione in ordine alla quantificazione della pena ed al diniego delle
invocate attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO:
Il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso non appaiono meritevoli di
accoglimento, in quanto:
a) con riguardo al primo, vale osservare che il capo d’imputazione conteneva
l’espressa menzione anche delle escoriazioni al naso, come riconducibili a
responsabilità dell’imputato, di tal che anche relativamente ad esse egli è stato, fin
dall’inizio, in grado di potersi adeguatamente difendere, nulla rilevando che dette
escoriazioni potessero essere derivate da una condotta che, comunque riconducibile
all’imputato, fosse ipoteticamente diversa (il che, peraltro, non risulta neppure
dimostrato) da quella descritta nel medesimo capo d’imputazione come costituita da
schiaffi, calci e pugni i quali non necessariamente dovevano essere stati dati
cumulativamente ed in unico contesto;
b) con riguardo al secondo, vale osservare che, quanto alla discrasia tra le
dichiarazioni del Torrisi e quelle della dott.ssa Marzo, la stessa non presenta alcun
riconoscibile carattere di decisività nel senso della postulata, complessiva
inattendibilità della dichiarazioni della persona offesa, ben potendosi la medesima
attribuire, senza forzatura alcuna, a semplice difetto o confusione di memoria
afferenti una circostanza di marginale rilevanza, in assenza, per converso, di
qualsivoglia argomentazione, da parte della difesa, che possa accreditare l’ipotesi di
un consapevole mendacio con intenti calunniosi nei confronti dell’attuale ricorrente;
quanto alla presenza del Siligato sul luogo dell’aggressione, in asserito contrasto con
l’assunto del Torrisi secondo il quale, oltre a lui, sarebbe stato presente il solo
imputato, non si vede, anche in questo caso, quale decisivo rilievo sarebbe stato da
attribuire a tale contrasto, di per sé spiegabile per le stesse ragioni dianzi accennate
con riguardo al precedente; né può condividersi, d’altra parte, quanto sostenuto nel
ricorso, secondo cui la corte territoriale si sarebbe limitata a liquidare la deposizione
del Siligato con la sola osservazione che da essa sarebbe soltanto “emersa
chiaramente una volontà di ridimensionare l’entità dei fatti”, avendo invece la stessa
corte posto in luce anche la circostanza che il Siligato aveva attribuito quella che, a
suo avviso, sarebbe stata una caduta accidentale del Torrisi ad una “spintarella” che a
quest’ultimo avrebbe subito ad opera del Landro; il che, come giustamente osservato
nell’impugnata sentenza (senza che, sul punto, nulla risulti obiettato nel ricorso),
lasciava comunque intatta la riconducibilità della caduta e della conseguente
escoriazione all’azione cosciente e volontaria dell’imputato, a carico del quale
rimaneva dunque pienamente configurabile l’addebito penale;
c) con riguardo al terzo motivo, appare sufficiente il richiamo a Cass. V, 29
settembre — 10 dicembre 2010 n. 43763, Adamo, RV 248778, la quale, in linea con
un consolidato orientamento giurisprudenziale relativo ad ecchimosi, abrasioni e
simili, ha affermato, con specifico riferimento alle escoriazioni (quali appunto
risultano riscontate nel caso in esame), che anch’esse rientrano nell’ampia nozione di
“malattia” recepita dall’art. 582 c.p.
Appare invece meritevole di accoglimento il quarto motivo di ricorso (con
assorbimento, quindi, allo stato, del quinto), giacchè, in effetti, a fronte di specifica
doglianza difensiva nella quale si lamentava, oltre alla violazione del diritto di difesa

P. Q. M.
La Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente alla ritenuta sussistenza
dell’aggravante dei futili motivi, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra
sezione della corte d’appello di Catania. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 141 gennaio 2015.

per essere stata riferita la pretesa futilità dei motivi a questioni di lavoro anzichè a
questioni di vicinato (come da originaria contestazione), anche la mancata
indicazione delle specifiche ragioni per le quali comunque essa sarebbe stata
riconoscibile, la corte territoriale ha fornito risposta solo al primo profilo della
predetta doglianza, senza in alcun modo pronunciarsi, come invece avrebbe dovuto,
anche sul secondo, per cui non risulta in alcun modo chiarito, nell’impugnata
sentenza, come e perché, a prescindere dalla riferibilità del motivo dell’aggressione a
questioni di vicinato o a questioni di lavoro, esso fosse comunque da considerare
“futile”, alla stregua della nozione di “futilità” quale più volte enunciata nella
giurisprudenza di questa Corte (ved., per tutte, fra le più recenti, Cass. V, 19 giugno —
2 ottobre 2014 n. 41052, Barnaba, RV 260360, con relativi richiami).
L’impugnata sentenza dev’essere quindi annullata, limitatamente alla ritenuta
sussistenza dell’aggravante in questione, con rinvio, per nuovo esame sul punto, ad
altra sezione della corte d’appello di Catania, la quale, in assoluta libertà di
valutazione degli elementi di fatto acquisiti o che ritenesse di dover acquisire, dovrà
comunque colmare, ove ritenga di confermare la precedente decisione, la riscontrata
lacuna motivazionale, traendo inoltre le dovute conseguenze in punto di trattamento
sanzionatorio ove invece ritenga che l’aggravante debba essere esclusa.

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