Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25149 del 08/03/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 25149 Anno 2013
Presidente: DE ROBERTO GIOVANNI
Relatore: DE AMICIS GAETANO

Data Udienza: 08/03/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
AMBESI GIUSEPPE N. IL 18/08/1953
nei confronti di:
COSMANO ANGELO N. IL 19/03/1948
avverso la sentenza n. 590/2009 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 02/02/2012

visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/03/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. F3 L F
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RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 2 febbraio 2012 la Corte d’appello di Reggio Calabria, in riforma della
sentenza pronunciata in data 3 luglio 2008 dal Tribunale di Palmi, sezione distaccata di
Cinquefrondi, che aveva dichiarato Angelo Cosmano responsabile del reato di calunnia
commesso in data 11 giugno 2002, condannandolo alla pena di anno uno e mesi quattro di
reclusione, oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile Giuseppe Ambesi, ha

2. Secondo la ricostruzione dei fatti operata dal Giudice di primo grado, l’imputato, quale vigile
urbano in servizio nel Comune di Molochio, sentito a sommarie informazioni testimoniali in
data 11 giugno 2002, riferiva che Giuseppe Ambesi, comandante dei vigili urbani di quel paese,
aveva loro indicato specificamente gli esercizi commerciali da controllare, mettendolo per
iscritto nel relativo foglio di servizio, e che a lui era stato ordinato più volte di controllare alcuni
panifici (Pedullà, Iorianni e Gareffa), mentre presso il panificio Franco, appartenente ad un
assessore al commercio, non si era mai recato. Quest’ultimo, infatti, era stato sottoposto solo
a verifiche sull’attività di panificazione, mentre un vero e proprio controllo vi era stato
effettuato solo dopo che i Carabinieri lo avevano imposto all’Ambesi.
In data 6 novembre 2002, inoltre, l’imputato rendeva dichiarazioni parzialmente diverse,
spiegando che la diversa frequenza dei controlli sui panifici era legata alla loro ubicazione (il
panificio Franco, in particolare, era collocato in una zona periferica, con strada di accesso
privata difficile da raggiungere) ed altresì aggiungendo, segnatamente: a) che il comandante
non indicava il nome dell’esercizio commerciale da controllare, ma soltanto il tipo di attività; b)
che, a seguito delle sue dichiarazioni ai Carabinieri, l’Ambesi aveva mutato comportamento,
chiedendo negli ordini di servizio il controllo generalizzato di tutti gli esercizi commerciali
presenti nel paese.
2.1. Sulla base delle emergenze probatorie, ed in particolare delle risultanze offerte dalle

deposizioni rese da vari testimoni, il Giudice di primo grado riteneva infondate le accuse del
Cosmano ed osservava che le modifiche da lui successivamente apportate alle proprie
dichiarazioni non valevano ad escluderne la responsabilità, trattandosi di un reato istantaneo,
che si consuma all’atto della sola dichiarazione accusatoria.
3. La Corte territoriale, a sua volta, ha ritenuto fondato l’atto di appello proposto dal Cosmano,
escludendo che fosse stata raggiunta la prova in ordine alla sussistenza dell’elemento
psicologico necessario per la configurazione del delitto di calunnia.
4. Avverso la predetta sentenza della Corte d’appello calabrese ha proposto ricorso per
cessazione il difensore di fiducia della parte civile, deducendo la violazione dell’art. 606,
1

assolto il predetto imputato dal reato ascrittogli, perché Il fatto non costituisce reato.

comma 1, lett. e), c.p.p., per travisamento della prova, laddove l’impugnata sentenza àncora
la decisione assolutoria, in un passaggio decisivo della sua motivazione, al fatto che nella
sentenza di primo grado non vengono evidenziati elementi rivelatori dell’esistenza di un
pregresso astio tra il Cosmano e l’Ambesi.
Il difetto dì motivazione riscontrabile nella pronuncia di primo grado circa il movente della falsa
accusa non autorizza la Corte d’appello a considerare inesistente agli atti una prova invece
esistente e ritualmente acquisita (ossia, le dichiarazioni rese dal teste Ambesi all’udienza
contestata ed applicata poco tempo prima a carico dell’imputato, nonché la relativa
documentazione acquisita nel corso dell’istruzione dibattimentale del giudizio di primo grado).
La sentenza di assoluzione, pertanto, sarebbe fondata su un deficit informativo di tale portata
da travolgere la logicità delle argomentazioni e la necessaria correlazione dell’esito decisorio
con gli elementi di conoscenza acquisiti, ai quali l’impugnata sentenza avrebbe dovuto
uniformarsi.
5. Con memoria depositata in data 19 febbraio 2013, il difensore di Angelo Cosmano ha
esposto una serie di argomentazioni a sostegno della richiesta di rigetto del ricorso proposto
dalla parte civile.

CONSIDERATO IN DIRITTO
6. Il ricorso è infondato e va conseguentemente rigettato.
7. Occorre, preliminarmente, rilevare che il vizio di travisamento della prova – desumibile dal
testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo purché specificamente indicati
dal ricorrente – è ravvisabile solo quando l’errore sia idoneo a disarticolare l’Intero
ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa
del dato processuale/probatorio, fermi restando Il limite del devolutum in caso di cosiddetto
“doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 1,
n. 24667 del 15/06/2007, dep. 21/06/2007, Rv. 237207).
Tuttavia, anche a seguito della modifica apportata all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. dalla I.
n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante
la preclusione per la Corte di Cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze
processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012,
dep. 26/06/2012, Rv. 253099).
Ne discende che, in relazione al giudizio di legittimità per travisamento di una prova decisiva
acquisita al processo, l’oggetto della cognizione, nei limiti della censura dedotta, è costituito
dall’esistenza di una palese difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall’assunzione

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2

dibattimentale del 22 aprile 2005, in cui si fa riferimento ad una sanzione disciplinare da lui

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della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia tratto (Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009,
dep. 12/10/2009, Rv. 244623).
Nel caso di specie risulta evidente, dal chiaro percorso motivazionale tracciato nell’impugnata
pronuncia, che la Corte d’appello non ha omesso la considerazione di un fatto decisivo ai fini
dell’apprezzamento dei profili storico-fattuali della regiudicanda, ma ha escluso, con
ragionamento lineare ed esente da vizi logico-giuridici, l’ipotizzata esistenza di un pregresso
astio tra le parti, ponendo in risalto il fatto che nella stessa sentenza di primo grado non ne era
Proprio muovendo da tale premessa, la Corte di merito ha successivamente sviluppato una
serie di congrue ed esaustive argomentazioni, ritenendo non raggiunta la prova dell’elemento
psicologico dell’ipotizzata calunnia sulla base di una complessiva disamina delle emergenze
probatorie, ed in particolare delle dichiarazioni inizialmente rese dal Cosmano in data 11
giugno 2002 e del contenuto delle precisazioni da lui successivamente fornite negli atti
istruttori del 4 e del 6 novembre 2002, in modo da esplicitare il reale significato delle prime.
Al riguardo, infatti, la Corte ha motivatamente escluso la certezza che egli intendesse attribuire
al comandante della Polizia municipale la prassi di indicare nominativamente i singoli esercizi
commerciali da sottoporre a controllo, e non riferirsi, invece, alla mera indicazione delle
diverse categorie di attività commerciali o artigianali. Analogamente, ha ritenuto possibile
ipotizzare, sotto altro profilo, che il Cosmano non intendesse affermare di non aver effettuato
alcun tipo di accesso istituzionale presso un determinato panificio – avendo egli chiarito che
veniva effettuata anche presso tale esercizio una regolare verifica sull’attualità dell’attività di
panificazione – ma semplicemente escludere di avervi effettuato dei veri e propri controlli di
tipo amministrativo o igienico.
Non sussiste, dunque, il dedotto vizio di travisamento della prova, poiché nessun connotato di
decisività può attribuirsi ad un elemento di prova che la Corte distrettuale ha mostrato di
apprezzare, assegnandogli tuttavia una valenza recessiva a fronte della complessiva
valorizzazione di un insieme di ulteriori elementi di prova posti a fondamento, con congrua e
lineare esposizione logico-argomentativa, della ritenuta esclusione della penale responsabilità
dell’imputato.
8.

Il ricorso, dunque, appare sostanzialmente orientato non a rilevare mancanze

argomentative ed illogicità ictu ocuti percepibili, bensì ad ottenere un non consentito sindacato
su scelte valutative compiutamente giustificate dall’Impugnata decisione, il cui assetto
motivazionale, di contro, ha ricostruito adeguatamente la base storico-fattuale oggetto della
regiudicanda, traendone le conseguenze logicamente coerenti con il quadro delle risultanze
offerte dai dati processuali a disposizione.
E’ noto, del resto, che in tema di calunnia, perché si realizzi il dolo, è necessario che colui che
falsamente accusa un’altra persona di un reato abbia la certezza dell’innocenza dell’incolpato,
in quanto l’elemento soggettivo può ritenersi integrato solo nel caso in cui sussista una esatta
3

stata indicata la presenza di elementi dimostrativi.

corrispondenza tra momento rappresentativo (sicura conoscenza della non colpevolezza
dell’accusato) e momento volitivo (intenzionalità dell’incolpazione) [Sez. 6, n. 17992 del
02/04/2007, dep. 10/05/2007, Rv. 236448].
Nel ritenere non raggiunta la prova dell’elemento soggettivo attraverso la compiuta disamina
delle concrete circostanze e modalità esecutive dell’azione (Sez. 6, n. 32801 del 02/02/2012,
dep. 21/08/2012, Rv. 253270), la Corte territoriale, in definitiva, ha fatto buon governo del
principii che regolano la materia, illustrando ampiamente le ragioni giustificative dell’epilogo
della contestata ipotesi delittuosa.
Né, peraltro, può ritenersi ammessa alcuna incursione nelle risultanze processuali per giungere
a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti, dovendo la Corte di legittimità limitarsi a ripercorrere
l’iter argomentativo seguito dal Giudice di merito, in modo da controllarne la completezza e
l’insussistenza di vizi logici manifestamente percepibili, senza alcuna possibilità di verifica della
rispondenza del percorso motivazionale alle acquisizioni processuali.

9. Conclusivamente, sulla base delle su esposte considerazioni, il ricorso deve essere rigettato,
con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ex art. 616 c.p.p. .

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, lì, 8 marzo 2013
Il Consigliere estensore

decisorio cui è pervenuta in ordine all’esclusione degli elementi richiesti per la configurazione

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