Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25145 del 09/01/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 25145 Anno 2015
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: DE BERARDINIS SILVANA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FILIPPONI ANDREA (ANCHE QUALE P.C. R.) N. IL 23/06/1933
nei confronti di:
CUCCHIELLA LELIO (ANCHE PCN) N. IL 20/05/1953
CUCCHIELLA ANDREA (ANCHE PCN) N. IL 21/01/1980
avverso la sentenza n. 2133/2008 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 04/07/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/01/2015 la relazione fatta dal E.
Consigliere Dott. SILVANA DE BERARDINIS
Udito il Procuratore Generale in persona e el ott
che ha concluso per (

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. p Q9k9.

rvin Gut°

IV°P3-3CI,Voik O

Data Udienza: 09/01/2015

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va dichiarato inammissibile in quanto:
a) con riguardo al primo motivo, non risulta in alcun modo specificato (come
sarebbe stato necessario, in ossequio al noto principio della c.d. “autosufficienza del
ricorso”), quale sarebbe stato, in dettaglio il contenuto delle dichiarazioni di
Ciccarella Lina, essendosi la difesa limitata a sostenere che esse avrebbero
genericamente “confermato in toto” la versione dei fatti offerta dal Filipponi, senza
che, peraltro, neppure quest’ultima risulti, nel ricorso, compiutamente illustrata e
senza che si faccia, inoltre, menzione alcuna dell’elemento, correttamente indicato
nell’impugnata sentenza come decisivamente dimostrativo della fondatezza
dell’addebito mosso al ricorrente, costituito dall’acquisita documentazione
fotografica che — si afferma — “ritrae(va) in modo chiarissimo il prevenuto che si sta
dirigendo verso la controparte con una roncola in mano”;
b) con riguardo al secondo motivo, lo stesso, al pari del primo, passa del tutto sotto
silenzio il già ricordato, decisivo elemento probatorio costituito dall’acquisita
documentazione fotografica che comprovava la condotta gravemente minacciosa
posta in essere dall’imputato, in presenza della quale, quindi, anche a dare per

RILEVATO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, per quanto ancora d’interesse in questa sede, fu
confermata la condanna di FILIPPONI Andrea alla pena di euro 90 di multa che gli
era stata inflitta all’esito del giudizio di primo grado per il reato di minaccia in danno
di CUCCHIELLA Lelio e CUCCHIELLA Andrea, a loro volta originariamente
accusati e condannati in primo grado per il reato di lesioni in danno del Filipponi;
reato dal quale, con la medesima sentenza d’appello, erano stati assolti per la ritenuta
configurabilità, in loro favore, della causa di giustificazione costituita dalla legittima
difesa.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso poer cassazione la difesa del Filipponi,
denunciando vizi di motivazione:
1) in ordine alla mancata valutazione delle dichiarazioni, acquisite ex art. 512 c.p.p.,
a suo tempo rese da Ciccarella Lina e confermative — si sostiene — della versione dei
fatti resa dal Filipponi;
2) in ordine alla ritenuta configurabilità della legittima difesa in favore dei
Cucchiella, in difformità tanto delle dichiarazioni rese dai testi a carico del Filipponi
(secondo le quali costui sarebbe caduto da un terrapieno, così riportando delle lesioni,
per aver perso l’equilibrio e non perché spintovi, come da lui sostenuto, dai
Cucchiella), quanto delle dichiarazioni dei testi a favore dello stesso Filipponi
(secondo le quali costui sarebbe stato sollevato di peso e gettato nella scarpata dai
Cucchiella);
3) in ordine alla ritenuta sussistenza del reato di minaccia, mediante uso di una
roncola, addebitato al Filipponi come commesso in danno, oltre che di Cucchiella
Andrea, anche di Cucchiella Lelio, sull’assunto che di quest’ultimo non si sarebbe
fatta menzione nelle dichiarazioni dei testi d’accusa, riferite al solo Cucchiella
Andrea, né il fatto sarebbe stato desumibile da altre fonti probatorie.

P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento nonché al versamento della somma di euro mille alla
cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2015.

ammessa (come implicitamente ha fatto la corte d’appello) la versione dei fatti offerta
dai testi a lui favorevoli (del che la difesa non può certo dolersi), ben a ragione poteva
ritenersi configurabile, in favore dei Cucchiella, la causa di giustificazione costituita
dalla legittima difesa;
c) con riguardo al terzo motivo, il fatto che i testi d’accusa Botta e Coderoni, stando
ai riportati brani delle loro dichiarazioni, avessero indicato il solo Cucchiella Andrea
come destinatario della minaccia posta in essere dal Filipponi, non ha, di per sé, il
preteso, decisivo rilievo che la difesa ha inteso attribuirgli per escludere che detta
minaccia fosse diretta anche a Cucchiella Lelio, non ponendosi in dubbio che anche
costui fosse presente nel medesimo contesto spazio- temporale (tanto da essere stato
accusato, unitamente ad Andrea, del reato di lesioni in danno del Filipponi, dal quale,
significativamente, è stato poi assolto, al pari del coimputato, proprio per aver agito
in stato di legittima difesa), né specificandosi (come invece sarebbe stato necessario)
se la postulata esclusione fosse desumibile anche dalle dichiarazioni dei due
Cucchiella, oltre che dalla documentazione fotografica, della quale solo a questo
punto ci si ricorda solo per affermare, in modo del tutto apodittico, che essa,
“evidentemente”, nulla poteva dire “circa la persona offesa del reato”; e tutto ciò a
prescindere dalla ulteriore considerazione che, comunque, secondo un condivisibile
principio già affermato da Cass. V, 16 aprile —24 giugno 1985 n. 6289, Pifferi, RV
169902, “Sussiste il reato di cui all’art. 612 cod. pen. anche se le minacce non sono
rivolte direttamente al soggetto passivo, ma a persona a lui legata da relazioni di
parentela, di amicizia e di lavoro, con la certezza che di esse egli venga a
conoscenza”; ragion per cui, non dubitandosi, come si è detto, della presenza “in
loco” anche di Cucchiella Lelio e, conseguentemente, della piena, immediata
conoscenza che egli aveva quindi avuto della minaccia portata, nel medesimo
contesto, contro il suo congiunto, ben giustificata era in ogni caso la conclusione che
anch’egli dovesse essere considerato come soggetto passivo del reato in questione.
La riscontrata inammissibilità del ricorso, oltre a rendere inoperante (alla stregua
dell’ormai da tempo noto e consolidato orientamento di questa Corte), la
sopravvenuta maturazione del termine massimo di prescrizione del reato ascritto al
ricorrente, comporta anche le conseguenze di cui all’art. 616 c.p.p., ivi compresa, in
assenza di elementi che valgano ad escludere ogni profilo di colpa, anche
l’applicazione della prescritta sanzione pecuniaria, il cui importo stimasi equo fissare
in euro mille.

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