Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25135 del 09/05/2013
Penale Sent. Sez. 4 Num. 25135 Anno 2013
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LE BOFFE MAURO DOMENICO N. IL 25/07/1957
PERLINI ENZO N. IL 10/07/1953
GABRIELE IVANO N. IL 10/04/1957
avverso la sentenza n. 1375/2008 CORTE APPELLO di ANCONA, del
15/12/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UMBERTO MASSAFRA
Udito il Procuratore Generale in rsona del Dott.
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che ha concluso per rauatAr
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Udit i difensor 9)vt- Data Udienza: 09/05/2013 Ritenuto in fatto
Con sentenza in data 15.12.2011 la Corte di Appello di Ancona confermava quella in
data 13.11.2007 del Tribunale di Ancona che aveva dichiarato Le Boffe Mauro
Domenico, Perlini Enzo e Gabriele Ivano colpevoli del delitto di omicidio colposo,
aggravato dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, in
danno di Solustri Glanluca, condannandoli, con circostanze attenuanti generiche
equivalenti, alla pena condizionalmente sospesa di anni uno di reclusione ciascuno, CGIIL.
Secondo l'Imputazione, che ben riassume la vicenda, Le Boffe Mauro Domenico, in
qualità di direttore di stabilimento e dirigente, della Fincantieri di Ancona, metteva a
disposizione dei lavoratori per le operazioni di sollevamento di persone e/o cose una
piattaforma, progettata e realizzata dalla stessa Fincantieri quale "sottobase di
sollevamento per cabine prefabbricate", inadeguata allo scopo in quanto priva dei
requisiti tecnici progettuali (istruzioni d'uso, certificazioni, omologazione, requisiti
minimi progettuali specifici) in relazione alle modalità di utilizzo, nonché sprovvista di
marcature, contrassegni e segnalazioni sulle modalità di utilizzo; non forniva ai
lavoratori informazioni e istruzioni sul corretto uso, sulla destinazione e sul migliore
uso della piattaforma in rapporto alla sicurezza; non effettuava la valutazione dei
rischi derivanti dal suo utilizzo; Pedini Enzo, in qualità di preposto del reparto
"Officina Assistenza" consentiva l'utilizzo della piattaforma di cui sopra, in dotazione
al detto reparto, pur essendo a conoscenza della mancanza di istruzioni d'uso e di
Idonea formazione dei lavoratori e senza acquisire informazioni sul suo corretto
utilizzo e senza dare istruzioni ai lavoratori che la utilizzavano, organizzando altresì
per il giorno 5/8/2004 il lavoro consistente, tra l'altro, nel sollevamento di un
"muletto" fino al ponte 3 della costruzione 6116 posto ad una altezza di m. 10 circa,
in modo tale che il preposto Gabriele Ivano fosse contemporaneamente impegnato in
altro e diverso lavoro di sollevamento, sicché l'operazione sarebbe avvenuta in
concreto in assenza di un preposto pur essendo particolarmente rischiosa in quanto,
come a sua conoscenza, sul ponte 3 erano già installate le strutture sovrastanti che
impedivano di appoggiane la piattaforma per intero o per buona parte sulla superficie
del ponte; Gabriele Ivano, "capo prodotto" e preposto dell'Officina assistenza,
consentiva l'uso della piattaforma di cui sopra pur essendo a conoscenza della
mancanza di istruzioni d'uso e di idonea formazione dei lavoratori, dando altresì
disposizioni del tutto generiche ai lavoratori sul suo uso sapendo, peraltro, che i
medesimi non avevano mal effettuato lavorazioni uguali o simili e che egli non poteva
presenziare all'attività lavorativa nel corso della quale veniva utilizzata la piattaforma
In quanto impegnato in altro e diverso lavoro, nonché essendo a conoscenza che sul
ponte 3 erano già installate le strutture sovrastanti che impedivano di appoggiarla
2 oltre al risarcimento dei danni e rifusione delle spese in favore della parte civile Fiom- per intero o per buona parte sulla superficie del ponte, rendendo il suo utilizzo
particolarmente rischioso; a seguito di tali condotte, gli addetti alla lavorazione, che
in precedenza non avevano mal effettuato lavori analoghi, agganciavano detta
piattaforma ad una gru per sollevare, come da disposizioni ricevute, al ponte 3 della
costruzione 6116 un muletto e, fattala giungere all'altezza del ponte ad una altezza
di m. 10 circa dal suolo e non potendola ad esso sovrapporre per la presenza delle
strutture sovrastanti, la accostavano semplicemente al suo livello senza agganciarla o
del muletto e iniziò la manovra di sbarco sul ponte, la piattaforma, sospesa alla gru,
ondeggiò scostandosi dal ponte e s'inclinò, facendo spostare in avanti il muletto, con
a bordo il Solustri, che cadde sullo scivolo di poppa e poi sul fondo del bacino e
rimase schiacciato all'interno della cabina decedendo all'istante.
Avverso tale sentenza ricorrono per cassazione tramite i rispettivi difensori di fiducia
Le Boffe Mauro Domenico, Pedini Enzo e Gabriele Ivano.
Nell'interesse del primo si deduce:
1. il vizio motivazionale assumendo che le violazioni e deficienze antinfortunistiche
addebitate al ricorrente non potevano ritenersi causalmente legate all'evento
lesivo, atteso il comportamento dell'operaio che aveva adoperato la baia in
maniera non consentita, in quella sola occasione, per effetto di un ordine
singolare ed estemporaneo non risalente all'Ing. Le Boffe;
2. la violazione di legge in relazione all'art. 4 D.Igs. n. 626 del 1994, in relazione alla
mancata valutazione dei rischi, dovendosi escludere che il datore di lavoro
potesse valutare i rischi o impartire le necessarie istruzioni relative all'impiego di
attrezzature che sarebbero state adoperate a sua insaputa (era assente per ferie)
e per manovre estranee al suo ambito di conoscenza e di previsione.
Nell'interesse degli altri due ricorrenti (Perlini e Gabriele) si deduce la violazione di
legge avendo la Corte territoriale omesso di dare conto delle dichiarazioni dei testi
Mosca Vladimiro e Quartucci Fabio (che aveva comunque disatteso) dalle quali si
evinceva che il Solustri, una volta arrivato a contatto con la fiancata, era in grado di
impartire al gruista le istruzioni necessarie per sollevare la baia sì da appoggiarla al
ponte onde non era affatto venuta meno per la vittima la possibilità o doverosa
accortezza di portare a termine indenne la manovra di trasferimento benché
irragionevolmente intrapresa.
E' stato prodotto all'odierna udienza il certificato rilasciato dal Comune di Falconara
Marittima in data 281.2013 da cui risulta il decesso avvenuto in data 22.1.2013 del
ricorrente Gabriele Ivano.
Considerato In diritto
Va preliminarmente rilevato che, a norma dell'art. 150 c.p., la morte dell'imputato
Gabriele Ivano, avvenuta in questa fase, ha estinto il reato contestato.
3 ancorarla ad esso in alcun modo, sicché, quando Solustrl Gianluca si pose alla guida L'estinzione del reato impone, al sensi dell'art. 620, comma 1, lettera a), c.p.p.,
l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti dell'imputato
predetto.
I ricorsi di Le Boffe Mauro e Perlini Enzo sono inammissibili.
I motivi dedotti sono manifestamente infondati e ripropongono sostanzialmente le
stesse ragioni già discusse e ritenute infondate, con estrema meticolosità, dal giudice
del gravame, dovendosi gli stessi considerare, per di più, non specifici. La mancanza come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato
senza cadere nel vizio di aspecificità, conducente a mente dell'art. 591 cod. proc.
pen., comma primo, lett. c), all'inammissibilità (Cass. pen. Sez. IV, 29.3.2000, n.
5191 Rv. 216473 e successive conformi, quale: Sez. II, 15.5.2008 n. 19951, Rv.
240109).
Inoltre, il nuovo testo dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., come
modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, con la ivi prevista possibilità per la
Cessazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del
processo", non ha alterato la fisionomia del giudizio di cessazione, che rimane giudizio
di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa
prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di Cessazione di procedere ad una
rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove
acquisite, come nel caso di specie, in cui si ripropone una rinnovata valutazione del
materiale probatorio ed una diversa ricostruzione dei fatti.
L'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve tuttora essere evidente,
cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di
legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza. Il novum
normativo, Invece, rappresenta il riconoscimento normativo della possibilità di
dedurre In sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova", finora ammesso
in via di interpretazione giurisprudenziale: cioè, quel vizio in forza del quale la
Cessazione, !ungi dal procedere ad una inammissibile rivalutazione del fatto e del
contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti
onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no "veicolato", senza travisamenti,
all'interno della decisione (Cass. pen. Sez. V, n. 39048 del 25.9.2007, Rv. 238215).
Ciò peraltro vale nell'ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado,
In quanto nell'ipotesi di doppia pronunzia conforme, come nel caso di specie, il limite
del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi In sede di legittimità,
salva l'ipotesi in cui il giudice d'appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei
motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo
4 di specificità del motivo, invero, dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, giudice (Cass. pen., sez. Il, 15.1.2008, n. 5994; Sez. I, 15.6.2007, n. 24667, Rv.
237207; Sez. IV, 3.2.2009, n. 19710, Rv. 243636), evenienza non verificatasi nel
procedimento in esame.
Così In relazione alla posizione del Le Boffe, per quel che concerne l'imputazione al
medesimo della mancata indicazione nel P.S.C. degli specifici rischi connessi
all'operazione di sollevamento, tra cui quella del muletto che doveva essere
programmata ben prima della sua attuazione concreta, e l'omessa indicazione ed corretto utilizzo della "baia" (art. 35 co. 4 D.Lvo n. 626 del 1994).
Non meno correttamente è stata ravvisata, la violazione da parte del Le Le Boffe
degli obblighi imposti dall'art. 35 comma 2° D.Ivo cit. laddove aveva omesso di
attuare misure tecniche ed organizzative atte ad impedire che le attrezzature (baia,
rnuletto e gru) potessero essere utilizzate per operazioni e secondo condizioni per le
quali non erano adatte ed omologate, come nel caso di specie, in cui le attrezzature
per il sollevamento erano risultate del tutto inadeguate al lavoro di scarico al ponte 3,
non adatte all'uso, Inidonee ai fini della sicurezza e prive di apposite istruzioni (art.
35 comma 1° d.lvo cit.). Tali condotte omissive furono dunque tali da sommarsi e
non già essere escluse, sotto il profilo causale, con conseguente immanenza della
responsabilità del Le Boffe, all'ascrIvlbilità dell'operazione alle disposizioni impartite
dal coimputati (Panini e Gabriele).
La Corte territoriale ha anche verificato che nessuna rituale delega di funzioni
antinfortunistiche era stata rilasciata nel confronti dell'Ing. Saverio Pio Aquilano
allorchè il Le Boffe si era assentato per ferie, circostanza, quest'ultima, del tutto
Irrilevante ai fini dell'esonero da responsabilità (Cass. pen. Sez. IV, n. 18683 del
27.2.2004, Rv. 228362 e successive conformi).
Del pari manifestamente Infondato è il tentativo del ricorrente Pedini (che non
provvide a controllare l'operazione nel corso della sua esecuzione, in violazione
dell'art. 35 comma 4° lett. d) D.Ivo n. 626 del 1994) di riversare ogni responsabilità
dell'accaduto sulla condotta pretesamente imprudente della vittima ventilandone
l'abnormità, poiché sembra non tener conto di principi elementari in ordine alla
natura stessa delle norme antInfortunistiche, all'ambito di tutela dalle stesse
garantito e quindi della rilevanza dei comportamenti imprudenti o anomali della
vittima sul nesso di causalità.
Va richiamato a tal proposito il principio di diritto affermato da questa Corte secondo il
quale: "in tema di omicidio colposo, atteso il principio dell'equivalenza delle cause,
stabilito nell'art. 41 comma 1 c.p., la condotta, pur colposa, della vittima del reato,
quando non sia caratterizzata da eccezionalità, abnormità e straordinarietà tali da
stravolgere il normale corso degli accadimenti e da farla quindi assurgere al ruolo di
causa sopravvenuta, sufficiente da sola a determinare l'evento, non può escludere il
5 adozione delle misure di prevenzione e protezione relative a tali operazioni, nonché al rapporto di causalità fra quest'ultimo e le cause preesistenti, poste in essere da altri
soggetti" (Cass. pen. sez. IV, 10.1.2001, n. 12597, D'Ameno ed altro, non massimata
nel CED).
Ne consegue che comportamento abnorme deve definirsi quello imprudente del
lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e
in un ambito estraneo alle mansioni affidategli -e, pertanto, al di fuori di ogni
prevedibllità per il datore di lavoro- o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma
quindi, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del
lavoratore nella esecuzione del lavoro (cfr. Cass. pen. Sez. IV n. 952 del 27.11.1996,
Rv. 206990 e successive conformi): tali connotazioni non aveva certo la condotta
della vittima, benché non avesse utilizzato i paranchi che pure aveva con sé, ed anzi,
come ha osservato la Corte (pag. 42 sent.), l'art. 4 co. 1 lett. C) dPR 547/1955
Impone al datore di lavoro di disporre ed esigere che i singoli lavoratori osservino le
misure di sicurezza ed usino i mezzi messi loro a disposizione.
Alla declaratoria dl inammissibilità dei ricorsi di Le Boffe Mauro e Perlini Enzo segue la
condanna di tali ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al
versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce dei
principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000,
sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Gabriele Ivano perché il
reato è estinto per morte dell'imputato; dichiara inammissibili i ricorsi di Le Boffe
«.0
Maur3eli's Pedini Enzo, che condanna al pagamento delle spese processuali e
ciascuno a quello della somma di euro 1.000,00 ciascuno In favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 9.5.2013 sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e,