Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25110 del 11/03/2015
Penale Ord. Sez. 7 Num. 25110 Anno 2015
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: BIANCHI LUISA
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
AQUARO PIETRO N. IL 29/07/1986
avverso la sentenza n. 548/2013 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO, del 28/10/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUISA BIANCHI;
Data Udienza: 11/03/2015
13683/2014
Motivi della decisione
Il difensore dell’imputato ha interposto ricorso per cassazione, chiedendo
l’annullamento della sentenza. Deduce mancanza e manifesta illogicità della
motivazione per quanto riguarda la ritenuta destinazione della droga allo spaccio,
senza tenere conto dello stato di tossicodipendenza dell’imputato e la insussistenza
dell’attenuante della lieve entità del fatto.
Il ricorso è inammissibile perché i motivi sono manifestamente infondati. La corte di
appello ha osservato che la quantità di droga detenuta dal ricorrente, 27 gr di
metilenediossimetanfetamina MD e 438 gr di marijuana con principio attivo tale da
consentire la preparazione di circa 1500 dosi medie singole era incompatibile , sia per
la qualità diversificata e per la quantità delle sostanze, che per la suddivisione in dosi
e per la detenzione degli stumenti idonei al confezionamento in dosi, incompatibile
con una destinazione all’uso personale e con il riconoscimento dell’attenuante in
parola. La motivazione è del tutto congrua. Il diniego della diminuente di cui al d.P.R.
n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, in considerazione del numero delle dosi ricavabili
dalla sostanza stupefacente , costituisce corretta applicazione dei principi di diritto
affermati da questa Suprema Corte in materia, secondo i quali l’attenuante compete
solo in ipotesi di minima offensività della condotta, deducibile sia dal dato quantitativo
e qualitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla norma, con la conseguenza che
ove venga meno anche uno soltanto degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante
l’eventuale presenza degli altri (sez. un. 21.9.2000 n. 17, Primavera ed altri, RV
216668; da ultimo sez. 4, 27.5.2010 n. 31663, Ahmetaj, RV 248112, sez. un.
24.6.2010 n.35737 Rv. 247911).
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della cassa delle ammende,
non emergendo ragioni di esonero, della somma di euro 1000,00 (mille/00) a titolo di
sanzione pecuniaria.
p.q.m.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento ed al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di
euro 1000,00 (mille/00).
Così deciso il 11.3.2015
La Corte di Appello di Lecce, con la sentenza in epigrafe indicata, ha confermato
quella di primo grado resa all’esito di giudizio abbreviato, con la quale Aquaro Pietro
è stato condannato a due anni e otto mesi di reclusione e 18000 euro di multa per il
reato di cui all’ art.73 dPR 309/90.