Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25103 del 27/03/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 25103 Anno 2013
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
D’AGOSTINO VINCENZO N. IL 30/07/1961
avverso la sentenza n. 1404/2012 GIP TRIBUNALE di SALERNO, del
16/02/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 27/03/2013

Motivi della decisione
D’Agostino Vincenzo ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza
del Tribunale di Salerno in data 16.02.2012, con la quale, ai sensi dell’art. 444 cod.
proc. pen., è stata applicata la pena concordata dalle parti, in ordine al reato di
furto aggravato in fattispecie tentata, così riqualificata l’originaria imputazione per
rapina. Il ricorrente denuncia l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di
nullità ed il vizio motivazionale. Sotto il primo profilo, la parte deduce la carenza

denuncia la carenza di motivazione, con specifico riguardo alla qualificazione
giuridica del fatto.
Il ricorso è manifestamente infondato e perciò inammissibile.
Procedendo alla disamina congiunta dei motivi di ricorso, si osserva che
questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il principio che l’obbligo della
motivazione della sentenza non può non essere conformato alla particolare natura
giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle linee argomentative è
necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato
dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione. Ciò implica
che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui al richiamato
art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da una specifica motivazione
solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti
elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo invece
ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nella
enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge
e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di proscioglimento ex art. 129
(Sez. un 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. Un. 27 dicembre 1995, Serafino). Tale
orientamento è stato concordemente accolto dalla giurisprudenza successiva.
Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi della decisione, che riguardano
precipuamente la qualificazione giuridica del fatto, la continuazione, l’esistenza e la
comparazione delle circostanze, la congruità della pena e la sua sospensione, la
costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco delle enunciazioni delle Sezioni
unite, ha affermato che la motivazione può ben essere sintetica ed a struttura
enunciativa, purché risulti che il giudice abbia compiuto le pertinenti valutazioni. Né
l’imputato può avere interesse a lamentare una siffatta motivazione censurandola
come insufficiente e sollecitandone una più analitica, dal momento che la
statuizione del giudice coincide esattamente con la volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal

dei requisiti formali della sentenza previsti dalla legge processuale; quindi,

medesimo accettato. Occorre, peraltro, rilevare che, nel caso di specie, la sentenza
soddisfa tutti i requisiti previsti dall’art. 546 cod. proc. pen.; e che il Tribunale ha
sviluppato un analitico percorso motivazionale, nel rilevare l’insussistenza delle
condizioni per procedere ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., richiamando la
denuncia sporta dalla persona offesa, i verbali di sequestro e di sommarie
informazioni. Oltre a ciò, il Tribunale ha espressamente considerato che le parti
correttamente avevano riqualificato l’originaria ipotesi di rapina, come tentativo di

Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro
1.500,00 a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 27 marzo 2013.

furto aggravato e prospettato l’applicazione di una pena che risultava congrua.

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