Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2510 del 24/11/2016

Penale Sent. Sez. 5 Num. 2510 Anno 2017
Presidente: SETTEMBRE ANTONIO
Relatore: SCOTTI UMBERTO LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A.

avverso la sentenza del 08/05/2015 della CORTE APPELLO di SALERNO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/11/2016, la relazione svolta dal Consigliere
UMBERTO LUIGI SCOTTI
I Mito il Procuratore Generale in persona del PERLA LORI
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Data Udienza: 24/11/2016

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Perla
Lori, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore di fiducia, avv. prof.Andrea R.Castaldo, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso; in subordine chiedendo l’annullamento
senza rinvio per intervenuta prescrizione.

1. La Corte di Appello di Salerno con sentenza del 8.5.2015 ha respinto
l’appello dell’imputato e ha confermato la sentenza del Tribunale di Salerno del
11/5/2011 che aveva ritenuto A.A. responsabile del
reato di cui all’art.216, primo comma, punto 1), 223 r.d. 267 del 1942 e 99,
primo comma cod.pen. in qualità di amministratore della s.r.l. Biochimica
Concordia dal 15/04/1993 al 7/10/1998 per aver distratto in data 20/03/1998 la
somma di lire 88.000.000 (Euro 45.448), accreditandola sul suo conto personale
riconoscendogli le circostanze attenuanti generiche, ritenute prevalenti sulla
contestata recidiva, e condannandolo alla pena di

anni due di reclusione,

dichiarata interamente estinta per effetto del beneficio dell’indulto, oltre alle
pene accessorie dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e
dell’incapacità di esercitare uffici direttivi per la durata di dieci anni.

2.

Ricorre il difensore di fiducia

avv.prof. Andrea Castaldo chiedendo

l’annullamento della sentenza, sulla base di tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, qualificato

ex

art.606, comma 1, lett.b) ed e),

cod.proc.pen. in relazione agli artt. 216 e 223 r.d. 267 del 1942 per
inosservanza ed erronea applicazione di norme giuridiche e per mancanza di
motivazione sull’elemento psicologico, il ricorrente lamenta che la Corte di
appello, quanto all’elemento soggettivo, abbia ritenuto sufficiente il dolo
generico, consistente nella consapevole volontà di dare al patrimonio della
società una destinazione diversa rispetto agli scopi dell’impresa, senza ritener
necessaria la volontà di pregiudicare i creditori, reputando sufficiente
l’accettazione di tale risultato; sarebbe stato così estromesso dal perimetro della
volontà l’elemento costitutivo del reato rappresentato dal fallimento, come pure
dall’insolvenza e dallo stato di crisi, e sarebbe stato insinuato negli elementi
strutturali della colpevolezza un coefficiente di responsabilità oggettiva; inoltre,
secondo il ricorrente, la sentenza impugnata non contiene elementi che fondino
la rappresentazione del pericolo arrecato alle ragioni dei creditori, tanto più che
la condotta distrattiva contestata risaliva a cinque anni prima della sentenza

Q.317

RITENUTO IN FATTO

dichiarativa del fallimento rispetto alla quale si era frapposta una diversa
amministrazione (Vanacher).
2.2. Con il secondo motivo, qualificato

ex art.606, comma 1, lett. b) ed e),

cod.proc.pen. in relazione agli artt. 216 e 223 r.d. 267 del 1942 per
inosservanza ed erronea applicazione di norme giuridiche e per mancanza di
motivazione sull’elemento oggettivo, il ricorrente si duole della ricostruzione
falsata della fattispecie di reato, poiché non era stato tenuto conto di una
pluralità di elementi fattuali (desistenze presentate da numerosi creditori,

società nelle amministrazioni successive a quella dell’imputato, repentino
svuotamento della compagine sociale, mancata ricostruzione degli ultimi anni di
vita della società) nonché del peso specifico dell’importo distratto rispetto al
passivo fallimentare.
Secondo il ricorrente, l’orientamento interpretativo della Corte di Cassazione
è affetto da insanabile contraddizione in ordine al ruolo della sentenza
dichiarativa di fallimento, perché, dopo aver riconosciuto ad esso carattere di
elemento tipico della fattispecie, lo esclude dalla proiezione del dolo dell’agente e
contrasta con il principio di offensività e necessaria lesività della condotta,
legando la punibilità a variabili fortuite sganciate dal principio di colpevolezza. Il
ricorrente sostiene che nella fattispecie l’atto dispositivo contestato era privo del
«portato dannoso» necessario per connotare di antigiuridicità la condotta e che
l’impraticabilità di ricostruzioni alternative derivava dalla sottrazione della
documentazione imputata alla successiva amministrazione Vanacher.
La condotta contestata, infine, oltre a non determinare il fallimento, non
aveva aumentato il pericolo per il bene giuridico tutelato, tenuto conto della
scarsa incidenza quantitativa (EURO 45.000 circa a fonte di uno stato passivo di
Euro 1.032.465,74=, senza considerare crediti non ammessi per Euro
196.399,54=).
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente propone eccezione di illegittimità
costituzionale del diritto vivente, così come interpretato dalla Suprema Corte,
per violazione degli artt.24, 27, comma 1, 111 della Costituzione, anche in
relazione al parametro interposto di legittimità costituzionale dell’art.7 CEDU
che nell’interpretazione consolidata offerta dalla Corte di Strasburgo esige per la
punizione un legame di natura intellettuale che permetta di affermare un
elemento di responsabilità nella condotta dell’autore materiale. Il ricorrente non
ritiene accettabile in questa prospettiva un orientamento giurisprudenziale che
ometta di operare una valutazione di prevedibilità da parte dell’agente circa
l’illiceità del proprio comportamento al momento della sua realizzazione e così di

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sensibile trasformazione dei criteri gestionali, profonde trasformazioni della

accertare la consapevolezza di superare il limite delle esigenze di
soddisfacimentlle obbligazioni verso i creditori.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L’art.129, comma 1, cod.proc.pen. impone al giudice, in ogni stato e
grado del procedimento di dichiarare l’estinzione del reato, d’ufficio e quindi
anche in mancanza di specifico motivo di impugnazione.

motivo in ordine all’estinzione del reato per prescrizione, ha formulato espressa
richiesta in tal senso, sia pure in subordine, nelle sue conclusioni.
L’art.129, comma 2, pur in presenza di una causa di estinzione del reato,
prevede la pronuncia di sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere,
quando dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste, o che l’imputato non
lo ha commesso o che il fatto non è previsto dalla legge come reato.
La prescrizione dei reati maturata nel corso del giudizio di legittimità è
rilevabile a condizione che il ricorso, almeno in parte, sia ammissibile e sempre
che non risulti dagli atti la prova evidente prevista dal citato comma 2
dell’art.129; tale prova deve emergere in modo assolutamente non contestabile,
così richiedendo solo una mera constatazione e non già un apprezzamento
(Sez. 6, n. 32872 del 04/07/2011, Agulli e altri, Rv. 25090701; Sez. 6, n. 48524
del 03/11/2003, Gencarelli, Rv. 22850301; Sez. 6, n. 48527 del 18/11/2003,
Tesserin e altro, Rv. 22850501; Sez. 6, Sentenza n. 12320 del 09/07/1998, P.g.
in proc. Maccan U e altro, Rv. 212320); quindi la formula di proscioglimento nel
merito può essere adottata solo quando dagli atti risulti evidente la prova
dell’innocenza dell’imputato e non nel caso di insufficienza o contraddittorietà
della prova di responsabilità (Sez. 5, n. 39220 del 16/07/2008, Pasculli e altri,
Rv. 24219101). Di conseguenza, qualora la motivazione del giudizio di merito dia
contezza delle ragioni poste a fondamento dell’effettuato giudizio di
responsabilità dell’imputato, non può nel contempo emergere dagli atti, con la
necessaria evidenza, una causa assolutoria nel merito (Sez. 6, n. 48524 del
03/11/2003, Gencarelli, citata).

2. I tre motivi svolti dal ricorrente criticano la sentenza impugnata,
soprattutto nei profili di diritto (il primo specificamente in relazione all’elemento
soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta impropria, il secondo in relazione
all’elemento oggettivo, il terzo nella prospettiva dell’ipotizzata illegittimità
costituzionale del c.d. «diritto vivente»),

rimproverandole di

aver aderito

all’orientamento di gran lunga prevalente – e oggettivamente consolidato – della

3

Nella fattispecie il ricorrente, pur non avendo presentato uno specifico

giurisprudenza di legittimità, secondo il quale in tema di elemento soggettivo del
delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale è sufficiente la consapevole
volontà di imprimere al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di
garanzia delle obbligazioni contratte

(ex plurimis:

Sez. 5, n. 33268 del

08/04/2015, Bellocchi, Rv. 26435401; Sez. 5, n. 51715 del 05/11/2014,
Rebuffo, Rv. 26173901; Sez. 5, n. 35093 del 04/06/2014, P.G. in proc. Sistro,
Rv. 26144601; Sez. 5, n. 40981 del 15/05/2014, Giumelli, Rv. 26136701).
Secondo tale orientamento giurisprudenziale (in cui si iscrive l’isolato

25349301, contraddetta pure da una decisione emessa in pari data) con il reato
di bancarotta fraudolenta, propria e impropria, la legge punisce «l’imprenditore
che ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato» e non già
l’imprenditore che ha cagionato il fallimento;si intende infatti reprimere la
condotta distrattiva per la sua pericolosità per la tutela del bene giuridico
protetto, anche prima dell’intervento del giudice che emette la sentenza di
fallimento, a tutela degli interessi della massa dei creditori
dall’ingiustificato depauperamento della funzione di garanzia del

pregiudicati
patrimonio

dell’imprenditore o della società. Secondo tale giurisprudenza, la condotta
peculiare e connotativa del reato, di mera condotta e di pericolo, di bancarotta
fraudolenta patrimoniale è costituita

da quei comportamenti descritti nella

norma, idonei a porre in pericolo gli interessi dei creditori, mentre

la

dichiarazione di fallimento entra a far parte della struttura del reato come
elemento costitutivo, ma non come evento naturalistico dell’attività
depauperativa. In definitiva, quindi, l’elemento soggettivo del reato va colto nella
consapevole volontà di imprimere al patrimonio sociale una destinazione diversa
rispetto alle finalità dell’impresa e di compiere atti suscettibili di arrecare danno
ai creditori. Di qui la definizione del dolo generico del reato in termini di
consapevolezza e volontà di determinare, col proprio comportamento distrattivo
o dissipativo, un «pericolo di danno per i creditori» non essendo sufficiente la
sola consapevolezza e volontà del fatto distrattivo.
Nella fattispecie il fatto ricostruito attiene alla distrazione della somma di
88.000.000 vecchie lire (pari ad Euro 45.448,21=), accreditata su conto
personale del A.A., senza che sia stata accertata alcuna funzione
compensativa rispetto a precedenti anticipi da lui effettuati in favore della
società, in situazione di difficoltà finanziaria a causa dei ritardati pagamenti da
parte della Regione e in prossimità di un azzeramento del capitale a causa delle
perdite maturate (elementi tutti accertati nel merito e non attinti
dall’impugnazione proposta).

4

dissenso della sentenza Sez. 5, n. 47502 del 24/09/2012, Corvetta e altri, Rv.

La Corte di appello di Salerno, dopo aver accertato il fatto distrattivo e
l’assenza di elementi utili per una ricostruzione alternativa, ha dato ampiamente
conto delle ragioni per le quali l’operazione era stata posta in essere con la
consapevolezza dell’esposizione a rischio delle ragioni dei creditori sociali e del
pregiudizio alla funzione di garanzia del patrimonio sociale, motivando in
relazione al contesto storico dell’atto distrattivo, realizzato «in un periodo in cui
la società già versava in situazione di grave difficoltà finanziaria a causa dei
ritardati pagamenti da parte della Regione» e pochi mesi prima dell’azzeramento

che il comportamento ascritto al A.A. si collocasse in un periodo di crisi
economica della società.
Anche la proposta eccezione di illegittimità costituzionale del diritto vivente
così come interpretato dalla Suprema Corte per violazione degli artt.24,27,
comma 1, 111 della Costituzione, anche in relazione al parametro interposto di
legittimità costituzionale dell’art.7 CEDU è stata ritenuta manifestamente
infondata in precedenti arresti di legittimità (Sez. 5, n. 35093 del 04/06/2014,
Sistro, Rv. 26144601; Sez. 5, n. 24328 del 18/05/2005, Di Giovanni, Rv.
23221001); in tali occasioni si è osservato sia che il principio di colpevolezza
desumibile dall’art.27 della Costituzione e dall’art.7 CEDU attiene agli elementi
più significativi della fattispecie tipica, sia che la rimproverabilità non è
richiesta per tutti gli elementi che entrano a comporre la fattispecie ma solo per
il fatto lesivo del bene giuridico protetto, sia che oggetto dell’addebito è l’atto
lesivo del patrimonio posto a garanzia dei creditori, che non è affatto un atto
lecito o legittimo di per sé ed anzi rappresenta una condotta a rischio, contraria
ai principi dell’ordinamento, per il suo carattere ingiustificato rispetto alla finalità
assegnata al patrimonio societario e punto di riferimento e riscontro della
consapevolezza e volontà dell’agente.
Non sussiste quindi l’immediata evidenza

ex actis

di una ragione per

l’assoluzione dell’imputato considerata nel comma 2 dell’art.129 per escludere
l’immediata declaratoria della causa di estinzione.

2. Il reato è prescritto.
La sentenza dichiarativa del fallimento è del 22/1/2003.

Ex art. 157, comma 1, e 161, commi 1 e 2, cod.pen., tenuto conto della
contestata recidiva, il tempo necessario a prescrivere il reato di bancarotta
fraudolenta impropria era di 12 anni e 6 mesi, che venivano a scadere il
22/7/2015.
In conseguenza dei due differimenti di udienza disposti dalla Corte di appello
nel corso del giudizio di secondo grado per impedimento professionale del

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del capitale sociale a causa delle perdite economiche, concludendo per l’evidenza

difensore, occorre poi aggiungere ai sensi dell’art.159, comma 1, n.3, cod.pen.,
due periodi di sospensione per ulteriori giorni 106 (61, quanto al primo
differimento disposto ben oltre i 60 giorni, e 45, quanto al secondo, disposto
appunto in tale più circoscritta misura), con la conseguenza della maturazione
della prescrizione in data 5/11/2015.
L’interesse dell’imputato ricorrente

sussiste, sia per l’eliminazione della

pena principale, sia pur oggetto del beneficio dell’indulto, sia per le pene

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per
prescrizione.
Così deciso il 24/11/2016

Il Presidnte

accessorie applicate.

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