Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25090 del 11/02/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 25090 Anno 2015
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: FOTI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PIZZIGALLO EMANUELE N. IL 03/07/1985
avverso la sentenza n. 1080/2011 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO, del 22/10/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;

Data Udienza: 11/02/2015

Pizzigallo Emanuele ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di
Lecce, sezione distaccata di Taranto, del 22 ottobre 2013, che ha confermato la sentenza del
locale tribunale, sezione distaccata di Martina Franca, che lo ha riconosciuto colpevole del
delitto di tentato furto pluriaggravato (per avere, asportando una cassa di birra dal ristorante
“La Panca” – di cui è titolare Schiavone Vito – presso il quale prestava attività lavorativa, ed
occultandola in una busta dell’immondizia, commesso atti diretti ad impossessarsi della
birra) e, con le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti contestate, lo ha condannato
alla pena, dichiarata sospesa, di due mesi, venti giorni di reclusione e 120,00 euro di multa,
nonché al risarcimento del danno morale in favore della parte civile, liquidato in 2.000,00
euro.
Deduce il ricorrente i vizi di violazione di legge e di motivazione della sentenza
impugnata, avendo la corte territoriale ribadito la responsabilità del Pizzigallo sulla scorta
delle sole dichiarazioni della persona offesa, Schiavone Vito, benché le stesse fossero prive
dei requisiti della spontaneità e del disinteresse, essendo stato costui raggiunto da atto di
impugnazione del licenziamento illegittimamente deciso nei confronti dell’imputato.
Considerato in diritto.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza.
Il giudice del gravame, in realtà, dopo attento esame degli atti, ha chiarito, con motivazione
del tutto coerente sul piano logico, che la responsabilità dell’imputato non poteva esser
messa in dubbio alla luce, non solo delle precise dichiarazioni dello Schiavone, che dopo
avere denunciato i fatti in maniera pacata, analitica e precisa li ha ribaditi in dibattimento nel
corso di un lungo e minuzioso controesame, ma anche delle dichiarazioni rese dai testi
Pennella e Palmisano, che hanno confermato la narrazione dei fatti svolta dallo Schiavone.
Non ha omesso Io stesso giudice di esaminare i dubbi sollevati dall’imputato circa la
spontaneità ed il disinteresse di tale narrazione, in ragione del fatto che la denuncia del
tentato furto era stata proposta dopo che l’imputato aveva avanzato richiesta di versamento
di differenze retributive, seguita dal licenziamento, ed ha motivatamente ritenuto credibili le
affermazioni della persona offesa, che ha attribuito il ritardo alla sua iniziale decisione di
non danneggiare un giovane che a lui era anche sembrato pentito per l’accaduto e che
inizialmente non aveva neanche inteso licenziare.
Giustamente, peraltro, i giudici del merito hanno osservato che l’imputato non aveva mai
negato la propria presenza, nella mezzanotte dello stesso giorno in cui la birra era stata
prelevata dal ristorante e riposta in un sacco, nei pressi dei bidoni della spazzatura siti vicino
al ristorante, né aveva in qualche modo giustificato tale presenza.
Diniego o giustificazione ancora assenti nel proposto ricorso, dove, peraltro, neanche si
contesta il contenuto delle dichiarazioni dei testi Pennella e Palmisano, che hanno
confermato i passaggi essenziali del narrato della persona offesa, se non attraverso una
allusiva indicazione degli stessi quali dipendente, l’uno, ed amico, l’altro, dello Schiavone.
In definitiva, le censure del ricorrente, manifestamente infondate, si riducono, in concreto,
nel tentativo di proporre una rilettura degli elementi posti dalla corte territoriale a sostegno
della propria decisione, non consentita nella sede di legittimità.
Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della cassa delle
ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.

L

Ritenuto in fatto.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di mille euro alla cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, l’ 11 febbraio 2015.

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