Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25080 del 04/12/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 25080 Anno 2015
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: DE BERARDINIS SILVANA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
NUZHA OLENA N. IL 23/02/1978
avverso la sentenza n. 2529/2010 CORTE APPELLO di GENOVA, del
12/11/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVANA DE
BERARDINIS;

Data Udienza: 04/12/2014

CONSIDERATO IN DIRITTO:
– che il ricorso va dichiarato inammissibile, in quanto:
a) con riguardo alla mancata riunione dei procedimenti, appare sufficiente ricordare
che, secondo il noto e consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, i
provvedimenti che dispongono la riunione o la separazione dei procedimenti non
sono soggetti ad alcuna forma di impugnazione; il che comporta anche la
inoppugnabilità del provvedimento con il quale venga respinta la richiesta di
riunione, in quanto, come specificato da Cass. V, 18 gennaio — 8 marzo 1999 n. 225,
Franzin, RV 231345, ” la mancata riunione non può incidere sulla decisione del
merito essendo possibile sia l’acquisizione di prove di altro procedimento (art. 238
cod. proc. pen.), sia l’escussione di persone imputate in procedimento connesso o
collegato (art. 210 cod. proc. pen.)”;
b) con riguardo al confermato giudizio di colpevolezza, le proposte doglianze, nel
far leva, essenzialmente, sulle presunte e non meglio precisate “discrepanze” e
“discordanze” nelle dichiarazioni della persona offesa e dei testi, nonché sul fatto che
l’imputata sarebbe stata a sua volta colpita dall’antagonista, si rivelano, per un
verso, del tutto generiche, passando esse sotto silenzio anche il dato oggettivo che, a
riscontro della tesi accusatoria, era costituito (come ben messo in luce nell’impugnata
sentenza), dall’acquisita certificazione sanitaria delle lesioni patite dalla persona
offesa; per altro verso, prive di rilievo, giacchè, non risultando che sia stata in alcun
modo invocata la scriminante della legittima difesa, reale o putativa, non si vede
come il solo fatto costituito dall’avere, in ipotesi, anche l’imputata subito percosse o
lesioni ad opera della Lemaire potesse o dovesse dar luogo, di per sé, a dubbi circa la
sua penale responsabilità in ordine alle accertate lesioni che a quest’ultima erano stata
da lei prodotte, essendo del tutto pacifico, in linea di principio, che, in caso di lesioni
reciproche, ove non sia ravvisabile a favore di alcuno degli agenti la scriminante della
legittima difesa, ciascuno di essi sia da ritenere penalmente responsabile del reato
commesso in danno dell’altro;
c) con riguardo alla mancata riduzione della pena ai minimi edittali, a parte il
carattere di novità della relativa doglianza, rispetto al contenuto dell’atto di appello,
quale risulta dalla non contestata sintesi che si legge nell’impugnata sentenza (il che
già costituirebbe motivo di inammissibilità), vale osservare che, comunque,
trattandosi di pena che ben poco si discosta dai suddetti limiti, non vi è spazio, in

RILEVATO IN FATTO:
– che con l’impugnata sentenza fu confermata la condanna di NUZHA Olena alla
pena di mesi otto di reclusione per i reati di violazione di domicilio e lesioni in danno
di Lemaire Carol;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa
dell’imputata denunciando violazione di legge in ordine alla mancata riunione del
procedimento a suo carico con quello a carico della Lemaire, scaturito da querela da
lei sporta a carico di quest’ultima, nonché vizio di motivazione in ordine al
confermato giudizio di colpevolezza ed alla mancata riduzione della pena ai minimi
edittali;

questa sede, per alcun sindacato in ordine alla valutazione che, sul punto, è stata
compiuta daiu giudici di merito;
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art.
616 c.p.p., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad escludere ogni profilo
di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione pecuniaria, il cui importo
stimasi equo fissare in euro mille;

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento nonché al versamento della somma di euro mille alla
cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2014.

P. Q. M.

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