Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25077 del 04/12/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 25077 Anno 2015
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: DE BERARDINIS SILVANA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
FANELLI PATRIZIA N. IL 19/08/1958
avverso la sentenza n. 1098/2011 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
17/10/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVANA DE
BERARDINIS;

Data Udienza: 04/12/2014

CONSIDERATO IN DIRITTO:
– che il ricorso va dichiarato inammissibile, in quanto:
a) con riguardo alla principale ragione di doglianza, concernente il mancato
riconoscimento della scriminante di cui all’art. 50 c.p., si riconosce lealmente nello
stesso atto di gravame che “la giurisprudenza dominante ritiene inapplicabile detta
scriminante sia per quanto attiene gli atti pubblici che per le scritture private,
affermando che la tutela penale ha per oggetto la fede pubblica, bene giuridico od
interesse indisponibile da parte del soggetto privato”; principio, questo, al quale, in
effetti, risulta essersi attenuta, nella specie, la corte territoriale, la quale ha infatti
richiamato, a sostegno della propria decisione, Cass. V, 10 marzo — 17 aprile 2009 n.
16328, Livi, RV 243342, secondo cui: “Ai fini della sussistenza del reato di falso in
scrittura privata (art. 485 cod. pen.), il consenso o l’acquiescenza della persona di cui
sia falsificata la firma, non svolge alcun rilievo, in quanto la tutela penale ha per
oggetto non solo l’interesse della persona offesa, apparente firmataria del documento,
ma anche la fede pubblica, la quale è compromessa nel momento in cui l’agente
faccia uso della scrittura contraffatta per procurare a sé un vantaggio o per arrecare ad
altri un danno; pertanto anche l’erroneo convincimento sull’effetto scriminante del
consenso costituisce una inescusabile ignoranza della legge penale”; il che a maggior
ragione vale quando, come nella specie, si tratti non del reato di falso in scrittura
privata, divenuto perseguibile a querela ai sensi dell’art. 493 bis c.p., introdotto
dall’art. 89 della legge n. 689/1981, ma del reato di cui all’art. 481, rimasto
perseguibile d’ufficio; né, d’altra parte, risulta prospettata, nel ricorso, alcuna valida
ragione per la quale il suddetto orientamento giiurisprudsenziale possa o debba essere
rimesso in discussione;
b) con riguardo alla pretesa eccessività della pena, la proposta doglianza si
caratterizza per assoluta ed evidente genericità, a fronte, peraltro, di una
quantificazione della pena che (come giustamente osservato nell’impugnata
sentenza), pur non coincidendo con il minimo edittale, è, comunque, ad esso molto
vicina;
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art.
616 c.p.p., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad escludere ogni profilo
di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione pecuniaria, il cui importo
stimasi equo fissare in euro mille;

RILEVATO IN FATTO:
– che con l’impugnata sentenza fu confermata la condanna di FANELLI Patrizia alla
pena di gg. 40 di reclusione, sostituiti con euro 1250 di multa, per il reato di cui
all’art. 481 c.p., consistito nell’avere l’imputata, esercente la professione forense,
autenticato la firma, che sapeva falsa in quanto da lei stessa apposta, di Bano Laura,
figurante su di un atto di procura alle liti;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, con atto a pèropria
firma, l’imputata, lamentando, in principalità, il mancato riconoscimento della
scriminante del consenso dell’avente diritto, quale previsto dall’art. 50 c.p., e, in
subordine, l’eccessività della pena;

P. Q. M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento nonché al versamento della somma di euro mille alla cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2014.

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