Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25019 del 23/05/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 25019 Anno 2013
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: CITTERIO CARLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BIVIANO GIOVANNI N. IL 23/04/1954 parte offesa nel procedimento
c/
RUSSO DOMENICO N. IL 17/07/1970
avverso il decreto n. 975/2007 GIP TRIBUNALE di BARCELLONA
POZZO DI GOTTO, del 07/05/2008
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CARLO CITTERIO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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vt..1

Data Udienza: 23/05/2013

1

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1

CONSIDERATO IN FATTO
l. Il 7.5.2008 il GIP di Barcellona Pozzo di Gotto disponeva l’archiviazione del
procedimento originato da denuncia di Giovanni Biviano nei confronti di Domenico
Russo.
Con ricorso depositato il 20.12.12 nell’interesse del Biviano, il difensore avv.

comunicazione alla persona offesa, che ne aveva fatto domanda, della richiesta di
archiviazione proposta dalla parte pubblica. Argomentava in particolare che da
certificazione della segreteria datata 16.10.12, rilasciata su istanza del medesimo
difensore della persona offesa, Biviano aveva appreso dell’intervenuta archiviazione
del procedimento, senza aver prima mai avuto la prescritta comunicazione.
2. Il procuratore generale in sede ha presentato conclusioni scritte per
l’inammissibilità del ricorso in quanto tardivo.
2.1 II 17 maggio è pervenuta memoria di replica ex art. 611 c.p.p.. La difesa
del ricorrente deduce mancare alcun termine ‘codicisticamente’ previsto per
l’impugnazione e argomenta che in concreto la certificazione della procura, con data
16.10.12, sarebbe stata effettivamente ritirata solo il 20.11.12 come da
attestazione in calce all’atto che allega, essendo poi il contenuto del fascicolo stato
concretamente conosciuto dalla difesa solo il successivo 5 dicembre. Il termine dei
quindici giorni dovrebbe pertanto decorrere dall’effettiva consultazione del fascicolo,
indispensabile per le valutazioni di interesse alla proposizione eventuale del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE
3. Il ricorso è inammissibile perché effettivamente tardivo. Conseguente è
pertanto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma, equa al caso, di euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

3.1. Nell’atto di ricorso lo stesso ricorrente affermava di aver appreso notizia
dell’archiviazione con la certificazione del 16 ottobre 2012, mentre il ricorso è stato
depositato il 20 dicembre successivo.
Come esposto sub 2.1, nella memoria del 17.5.2013 è stato invece dedotto
che solo in data 20.11.12 tale certificazione sarebbe stata materialmente ritirata e
quindi conosciuta (con la memoria è prodotta copia di conforme attestazione di
segreteria, che per il vero non trova riscontro negli atti, dove è presente solo la

Isabella Barone enunciava unico motivo di violazione di legge per l’omessa

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certificazione originaria, priva di tale successiva attestazione; sempre agli atti è
invece la delega in data 5.12.12 a una collega per la visione del fascicolo, poi
concretizzata con richiesta presentata il giorno 6.12.12).

3.2 Risulta tuttavia assorbente il rilievo che anche dando per acquisito che
quella certificazione sia stata ritirata il giorno 20.11.12, da tale data decorrevano i
termini per impugnare.

il termine del ricorso per cessazione avverso il decreto di archiviazione deliberato de
plano, senza la necessaria preventiva comunicazione della relativa richiesta alla
persona offesa che lo abbia tempestivamente richiesto, decorre dalla data di
effettiva conoscenza dell’esistenza del decreto di archiviazione (per tutte,
sent. 44391/2010,

tra l’altro in fattispecie del tutto analoga;

Sez.2,

Sez.6, sent.

8408/2013).
La conoscenza si àncora al fatto/notizia dell’intervenuta archiviazione, perché
già esso è per sé idoneo a consentire ogni diligente e tempestiva attivazione della
persona offesa per l’acquisizione degli ulteriori elementi conoscitivi utili a indirizzare
le proprie scelte nel procedimento. La pretesa del ricorrente, volta a collocare la
decorrenza del termine al momento di successiva effettiva conoscenza anche del
contenuto del provvedimento e alla conseguente rivalutazione degli atti, è
manifestamente infondata. Assorbente è la considerazione che, in tal caso, la
decorrenza del termine sarebbe lasciata al più assoluto arbitrio dell’interessato
(che, con rilievo paradossale ma utile a confermare l’insostenibilità dell’assunto,
potrebbe addirittura mai farlo decorrere astenendosi da ogni ‘consultazione’), il che
risulta strutturalmente e sistematicamente incompatibile con l’intrinseca ratio della
previsione di termini che debbono essere osservati a pena di inammissibilità della
doglianza.

3.3 Quanto alla durata del termine, va confermata nei quindici giorni indicati
dalla lettera A) dell’art. 585 c.p.p. (per tutte: Sez.6, sent. 47982/12).
Per almeno tre ragioni.
La norma prevede il termine di quindici giorni “per i provvedimenti emessi in
seguito a procedimento in camera di consiglio”. Ora, anche i provvedimenti adottati
de plano sono esito di camera di consiglio: sul punto occorre infatti distinguere tra
la camera di consiglio partecipata e quella in cui il giudice provvede su una richiesta
senza alcuna partecipazione (in forma orale o scritta) delle parti. In altri termini,
anche per i provvedimenti de plano parrebbe più adeguato valorizzare l’aspetto

Va infatti condiviso e confermato l’insegnamento di questa Corte suprema che

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camerale senza contraddittorio piuttosto che ritenerli provvedimenti adottati ‘senza
procedimento alcuno’ (Sez. 2, sent. 28613/2007). Né la natura di decreto, piuttosto
che di ordinanza, che caratterizza il singolo provvedimento potrebbe avere alcun
rilievo specifico, afferendo tale distinzione vuoi all’intensità dell’obbligo di
motivazione vuoi a scelta formale discrezionale del legislatore, piuttosto che a
discriminare il rito, partecipato o meno. Del resto lo stesso art. 127 c.p.p., che
disciplina il “procedimento in camera di consiglio”, prevede al nono comma l’ipotesi
di adozione del provvedimento de plano.

dedotta, è quella dell’art. 127.1 e .5 c.p.p. (ex art. 409.6 e 410 c.p.p.: ex SU sent.
2/1996), sicché è ragionevole che il termine rilevante sia quello previsto per tale
rito.
Da ultimo, proprio l’articolata disciplina dei termini indica nei quindici giorni il
termine usuale quando non disposto diversamente in ragione di peculiarità del
provvedimento da impugnare (Sez.6, sent. 1663/2000; Sez.2, sent. 28613/2007).

3.4 Non ignora la Sezione che, come segnalato con la relazione dell’Ufficio del
massimario presso questa Corte con data 26.3.2013, sul punto vi è anche un
indirizzo difforme.
Secondo Sez.5, sent, 1508/2011 la nullità di cui all’art. 127 c.p.p., in quanto
insanabile, potrebbe esser fatta valere con ricorso per cassazione senza
l’osservanza dei termini di cui all’art. 585 c.p.p..
Deve tuttavia rilevarsi che la motivazione della sentenza si risolve nella mera
affermazione del principio, senza confronto con la maggioritaria diversa
giurisprudenza e, specialmente, nulla dice sul punto, da ritenersi invece essenziale
sul piano sistematico, se esista comunque un termine dalla conoscenza dell’atto
entro il quale la patologia debba essere eccepita ovvero se non esista alcun
termine, sicché solo la maturazione della prescrizione del reato ipotizzato potrebbe
far venir meno l’interesse (e la legittimazione) a proporre l’eccezione. Appare
evidente che tale ultima soluzione apparirebbe del tutto asistematica (Sez.2, sent.
28613/2007), a fronte del principio consolidato in materia processuale che anche la
nullità assoluta ex art. 178 e 179 c.p.p. non può più essere fatta valere dopo il
decorso dei termini per l’impugnazione (per tutte, Sez.5, sent. 7557/1999). E se ciò
vale per la fase processuale, manifestamente irrazionale apparirebbe una soluzione
diversa per la fase delle indagini.

1

In secondo luogo, espressamente in questo caso la violazione configurabile, e

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Delle altre sentenze che sembrano sostenere questo diverso indirizzo, anche
Sez.1, sent. 18666/2008 e Sez.2, sent. 46274/2003 non hanno affrontato tali
questioni.
Neppure risulta convincente l’ulteriore argomentazione

(Sez. 3, sent.

3618/1997), secondo cui l’inapplicabilità del termine ex art. 585 c.p.p. troverebbe
giustificazione nella mancata previsione di un obbligo di notificazione del decreto di
archiviazione alla persona offesa, attesa la natura giurisprudenziale

provvedimento, in questo caso. Infatti, proprio l’origine giurisprudenziale, e non
normativa, della previsione dell’impugnabilità del provvedimento, determina
l’assoluta coerenza dell’applicazione analogica, sempre nella medesima via
giurisprudenziale, della pertinente disciplina che, oltretutto, nessun effetto negativo
discriminante comporterebbe per l’interessato: da un lato, la notifica del
provvedimento come forma legale di conoscenza da cui far decorrere il termine è
certamente meno ‘garantista’ della previsione di un’effettiva conoscenza
dell’esistenza del provvedimento da impugnare; dall’altro, come già prima
accennato, l’applicazione dei ‘normali’ termini per l’impugnazione di provvedimento
camerale costituirebbe ‘chiusura’ assolutamente coerente al sistema.
Da ultimo, il termine di dieci giorni, indicato invece da

Sez.3, sent.

24063/2010, risulta affermato come ‘termine ordinario’, senza che tuttavia sia
contestualmente indicata la fonte normativa dell’assunto.

3.5 Deve pertanto essere ribadito il principio di diritto che il ricorso per
cassazione avverso il decreto di archiviazione, la cui adozione non sia stata
preceduta dalla notificazione della richiesta del pubblico ministero alla persona
offesa che abbia tempestivamente dichiarato di voler essere informata, deve essere
proposto entro quindici giorni dalla data di effettiva conoscenza dell’esistenza di tale
decreto.
Risultando il ricorso de quo proposto fuori termine, ai sensi dell’art. 591 c.p.p.
si impone la dichiarazione di inammissibilità anticipata sub 3.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23.5.2013

dell’interpretazione analogica che sorregge il principio di impugnabilità del

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