Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 25011 del 04/06/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 25011 Anno 2015
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

ANTERO Maria, nata a Mazara del Vallo il giorno 18/1/1989
ANTERO Francesco, nato a Mazara del Vallo il giorno 9/7/1990

avverso la ordinanza n. 797/2013 in data 19/7/2013 della Corte di Appello di
Ancona
visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso
vista la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore Generale dott. Federico SORRENTINO, che ha concluso chiedendo
dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
udita la relazione svolta in camera di consiglio dal consigliere dr. Marco Maria
ALMA;

RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 19/7/2013 la Corte di Appello di Ancona ha dichiarato
inammissibile per aspecificità dei motivi di gravame l’appello proposto da
ANTERO Maria ed ANTERO Francesco avverso la sentenza del Tribunale della
stessa città in data 15/6/2012 che li aveva dichiarati colpevoli del reato di cui
all’art. 640 cod. pen.
Ricorre per Cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore degli imputati,
deducendo con motivo unico la violazione di legge con riferimento agli artt. 591
e 581 cod. proc. pen.

Data Udienza: 04/06/2015

Evidenzia, al riguardo, la difesa dei ricorrenti che nell’atto di appello avverso la
sopra menzionata sentenza del Tribunale di Ancona aveva in primo luogo
eccepito che non era stata raggiunta la prova della responsabilità degli imputati
contestando l’iter logico seguito dal Giudice di prime cure e l’incompletezza
istruttoria del processo.
Con un secondo motivo aveva, poi, eccepito l’eccessività e la sproporzione della
pena irrogata agli imputati.
Le ragioni poste a fondamento delle censure erano quindi identificabili e non

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
Ritiene l’odierno Collegio che correttamente ha operato la Corte di Appello di
Ancona nel dichiarare inammissibile l’appello formulato dagli imputati avverso la
sentenza del Giudice di prime cure per genericità del contenuto dell’atto di
gravame.
Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, “per l’appello,
come per ogni altro gravame, il combinato disposto degli art. 581 comma primo
lett. c) e 591 comma primo lett. c) del codice di rito comporta la inammissibilità
dell’impugnazione in caso di genericità dei relativi motivi. Per escludere tale
patologia è necessario che l’atto individui il “punto” che intende devolvere alla
cognizione del giudice di appello, enucleandolo con puntuale riferimento alla
motivazione della sentenza impugnata, e specificando tanto i motivi di dissenso
dalla decisione appellata che l’oggetto della diversa deliberazione sollecitata
presso il giudice del gravame” (Cass. Sez. 6, sent. 13261 del 6.2.2003, dep.
25.3.2003, rv 227195).
E’ appena il caso di ricordare che ai sensi dell’art. 581 cod. proc. pen. l’atto di
appello deve indicare (tra l’altro) “i punti della decisione ai quali si riferisce
l’impugnazione” nonché “l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli
elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”.
Orbene, nel caso in esame, come si evince chiaramente dai “motivi di appello”
trascritti nel ricorso che in questa sede ci occupa, nel primo caso si eccepiva una
sostanziale ingiustizia della sentenza ed una carenza dell’attività istruttoria
compiuta”. Si trattava di una doglianza generica nella quale nessuno specifico
“punto” della sentenza impugnata era al riguardo evidenziato ed inoltre si
menzionavano semplicemente asserite incompletezze istruttorie.
Correttamente la Corte di Appello ha quindi ritenuto che si trattasse di
circostanze avulse dall’ordito logico della sentenza appellata.

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v’era spazio per una declaratoria di inammissibilità per le stesse.

Nel secondo caso gli appellanti si limitavano a dolersi dell’eccessività e
sproporzione della pena richiedendo la riduzione della al minimo edittale con
concessione delle attenuanti generiche.
Anche in questo caso la Corte di Appello si è trovata in presenza di una doglianza
di carattere assolutamente generico e di una richiesta destinata a rimanere fine
a sé stessa in quanto nessuna critica specifica era rivolta al punto della sentenza
impugnata che aveva negato la concessione delle menzionate circostanze
attenuanti, così come nessuna specifica indicazione era contenuta circa gli

attenuanti potevano eventualmente essere concesse.
Corretta è stata, pertanto, anche in questo caso la decisione assunta dalla Corte
di Appello di Ancona.
Per dovere di completezza deve solo rilevarsi che neppure nel ricorso che in
questa sede ci occupa vengono indicati in modo specifico i punti della gravata
ordinanza essendosi la difesa degli imputati limitata a riportare gli originari
motivi di appello e, sostanzialmente, ad affermare che la decisione della Corte di
Appello dovrebbe essere censurata.
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti, in solido tra
loro, al pagamento delle spese del procedimento e, quanto a ciascuno di essi, al
pagamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di
esonero, della somma ritenuta equa di C 1.000,00 (mille) a titolo di sanzione
pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il giorno 4 giugno 2015.

elementi (legati al fatto od alle persone degli imputati) per i quali dette

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