Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24944 del 05/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 24944 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: AMORESANO SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Vergati Giuseppe, nato a Nocera Inferiore il 28/11/1991
avverso l’ordinanza del 19/09/2014
del Tribunale di Salerno
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano;
udito il P.M.,in persona del Sost.Proc.Gen.Francesco Salzano,
che ha concluso, chiedendo il rigetto del ricorso.

1

Data Udienza: 05/05/2015

1.11 Tribunale di Salerno, con ordinanza in data 19/09/2014, rigettava la richiesta di riesame,
proposta da Giuseppe Vergati, avverso il provvedimento emesso dal G.i.p. del Tribunale di
Nocera Inferiore, con cui era stata applicata nei confronti del predetto Vergati la misura
cautelare dell’obbligo di presentazione alla P.G.
Premetteva il Tribunale che la vicenda processuale aveva tratto origine dal rinvenimento,
nella intercapedine del muro esterno dell’abitazione dell’indagato, di otto grammi di cocaina
suddivisi in pallini.
Tanto premesso, riteneva il Tribunale sussistenti i gravi indizi di colpevolezza, desumibili dal
rinvenimento della sostanza stupefacente in luogo di esclusiva disponibilità dell’indagato, il
quale, peraltro, nell’immediatezza, al di fuori di un contesto procedimentale, aveva
spontaneamente riconosciuto che gli apparteneva.
Sussistevano, poi, le esigenze cautelari, risultando concreto il pericolo di reiterazione del
reato (stante l’ assenza di qualsiasi forma di reddito).
2.Ricorre per cassazione il Vergati, a mezzo del difensore, denunciando la inosservanza o
erronea applicazione degli artt.350 e 191 cod.proc.pen., nonché la inosservanza di norme
processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o di decadenza.
Non vi è alcun elemento agli atti da cui desumere la riferibilità della sostanza stupefacente
rinvenuta all’indagato.
La cocaina si trovava nell’intercapedine di un muro dell’abitazione del nonno del Vergati e
nel fascicolo processuale non si rinviene alcun atto da cui risulti che egli si sia attribuita la
paternità della sostanza stupefacente.
Solo nel verbale di arresto, peraltro non sottoscritto dall’indagato, si dà atto che il Vergati
“se ne attribuiva la proprietà esclusiva”.
Contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale i non è esatto che tale dichiarazione sia stata
resa al di fuori di un contesto procedimentale.
I Carabinieri si erano recati sul posto a seguito di indicazione di una fonte confidenziale e,
una volta rinvenuta, a seguito di perquisizione la sostanza, avrebbero dovuto assumere
informazioni ex art.350 cod.proc. pen. con le garanzie difensive.
Inoltre non corrisponde al vero che l’indagato abbia l’esclusiva disponibilità dell’abitazione,
che è di proprietà del nonno; egli ha solo in uso una stanza, dove non è stato rinvenuto
niente, e che dista vi§ circa 40 metri dal luogo in cui si trovava la droga.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato nei limiti e nei termini di seguito indicati.
2.Lo stesso Tribunale ha accertato, in punto di fatto, che, a seguito di perquisizione, veniva
rinvenuta, nell’intercapedine del muro esterno dell’abitazione del Vergati, la sostanza
stupefacente poi sottoposta a sequestro e che il predetto, sopraggiunto mentre erano in corso
le operazioni di p.g., se ne attribuiva la paternità.
2.1. Non c’è dubbio, allora, che le dichiarazioni, con cui il ricorrente ammetteva che la
sostanza stupefacente fosse nella sua disponibilità, siano inutilizzabili.
2.2. A norma dell’art.63, comma 2, cod.proc.pen., infatti, se la persona doveva essere
sentita fin dall’inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue
dichiarazioni non possono essere utilizzate.
La norma non distingue tra dichiarazioni sollecitate e dichiarazioni spontanee, né limita
l’inutilizzabilità alle dichiarazioni di imputato o di indagato interessato o a quelle di imputato o
di indagato in reato connesso e, neppure alle dichiarazioni di chi abbia già la veste formale di
imputato o di indagato.
Si tratta solo di stabilire quando un soggetto venga a trovarsi nella sostanziale condizione,
pur non avendone assunta la veste formale, di imputato o di persona sottoposta alle indagini.

RITENUTO IN FATTO

2.3. Il principio fissato nell’art.63 c.p.p., quale risultante dagli approdi giurisprudenziali sopra
richiamati, vale anche nell’interpretazione dell’art.350 cod.proc.pen.: la “persona nei cui
confronti vengono svolte le indagini” è, pertanto, chi “oggettivamente” si trovi nella situazione
di indagato.
2.4. Né può parlarsi di dichiarazioni rese al di fuori del contesto procedimentale.
Tali sono, invero, quelle (aventi anche contenuto confessorio) rese al di fuori della specifica
sede processuale a soggetti non preposti istituzionalmente a raccogliere in forma tipica le
dichiarazioni degli indagati o imputati, e che, come tali, sono suscettibili di libero
apprezzamento da parte del giudice di merito.
Nel caso di specie, invece, le dichiarazioni confessorie del Vergati vennero raccolte da agenti
di p.g. che avevano proceduto a perquisizione domiciliare, rinvenendo il corpo del reato.
3. Stante la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’indagato, è necessario accertare se
dagli altri elementi acquisiti emerga la gravità del quadro indiziario in ordine all’ipotizzato reato
di detenzione a fini di spaccio della sostanza stupefacente rinvenuta.
Il Tribunale ha omesso ogni indagine in proposito, essendosi limitato ad affermare che la
sostanza stupefacente apparteneva al Vergati, senza specificare da quali elementi abbia tratto
il convincimento che il luogo di rinvenimento fosse in “esclusiva disponibilità” del predetto e
che la droga rinvenuta fosse destinata allo spaccio.
4. L’ordinanza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di
Salerno.
P. Q. M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Salerno.
Così deciso in Roma il 05/05/2015
Il Consigli re est.

L’interpretazione “sostanzialista” della norma si è andata consolidando nella giurisprudenza
di questa Corte ed è stata ribadita costantemente a partire da Sez.Un. n.15508 del
25/02/2010, secondo cui “le dichiarazioni rese dalla persona che fin dall’inizio avrebbe dovuto
essere sentita nella qualità di indagata sono inutilizzabili erga omnes e la verifica della
sussistenza di tale qualità va condotta non secondo un criterio formale (esistenza della notitia
criminis, iscrizione nel registro degli indagati), ma secondo il criterio sostanziale della qualità
oggettivamente attribuibile al soggetto in base alla situazione esistente nel momento in cui le
dichiarazioni sono state rese (cfr. anche Sez.6 n.23776 del 22/04/2009; Sez. 2 n.51840 del
16/10/2013).
E’ del tutto evidente peraltro che tale qualità “non può essere automaticamente desunta dal
solo fatto che i dichiaranti risultino in qualche modo coinvolti in vicende potenzialmente
suscettibili di dar luogo alla formulazione di addebiti penali a loro carico, occorrendo, invece,
che tali vicende, per come recepite dall’autorità inquirente, presentino connotazioni tali da non
poter formare oggetto di ulteriori indagini se non postulando necessariamente l’esistenza di
responsabilità penali (da accertare, poi, ovviamente in prosieguo), a carico di tutti o di taluni
dei soggetti coinvolti ai quali, quindi, soltanto, dovrà applicarsi il disposto di cui all’art.63
comma 2 c.p.p.” (cfr.Cass.sez.1 n.8099 del 29/01/2002).
Le Sezioni Unite inoltre hanno affermato che la sanzione di inutilizzabilità erga omnes
postula che a carico dell’interessato siano già acquisiti, prima dell’escussione, indizi non
equivoci di reità come tali conosciuti dall’autorità procedente, non rilevando a tale proposito
eventuali sospetti od intuizioni personali dell’interrogante (Cass.sez.un.n.23868 del
23.4.2009).

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