Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24939 del 23/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 24939 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: FIANDANESE FRANCO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di

Alaimo

Calogero, nato a Palermo il 9.4.1985, e di D’Angelo

Carolina,

nata a Palermo 1’8.11.1972, avverso la

sentenza della Corte di Appello di Palermo, in data
26 giugno 2012, di parziale riforma della sentenza
del Tribunale di Palermo, in data 10 giugno 2011:
Visti gli atti, la sentenza denunziata e

il

ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione svolta dal
consigliere dott. Franco Fiandanese;
Udito il pubblico ministero in persona del
sostituto procuratore generale dott.

Carmine

Data Udienza: 23/04/2013

Stabile, che ha concluso per il rigetto dei
ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Palermo, con sentenza in

pronunciata il 10 giugno 2011 dal Tribunale di
Palermo nei confronti di D’Angelo Carolina
dichiarata colpevole dei delitti di truffa e falso,
mentre riformava la stessa sentenza nei confronti
di Alaimo Calogero, dichiarando non doversi
procedere in relazione a reati di falso estinti per
intervenuta prescrizione e confermava la
dichiarazione di colpevolezza con riferimento al
reato di truffa.
La sentenza è stata pronunciata nell’ambito di un
più ampio processo a carico di molteplici imputati
in relazione a ipotesi di truffa all’assicurazione
RAS-Allianz poste in essere da vari soggetti e
attuate attraverso la produzione di documentazione
falsa per sinistri mai in effetti avvenuti ovvero
simulati.
Propongono ricorso per cassazione i difensori degli
imputati.
Il difensore di D’Angelo Carolina deduce violazione
degli artt. 24 e 111 Cost. e dell’art. 498 c.p.p.,

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data 26 giugno 2012, confermava la condanna

in quanto sarebbe stato ampliato il thema pT.obandum
da parte della difesa di parte civile, che aveva
già condotto l’esame dibattimentale, in sede di
riesame, così operando una sorta di illegittimo

altre parti di intervenire.
Il difensore di Alaimo Calogero deduce i seguenti
motivi:
1)

prescrizione del reato,

trattandosi di fatto

commesso in data 17 gennaio 2005 e prescritto in
data 17 luglio 2012.
2)

violazione di legge e vizio di motivazione

in

relazione agli artt. 110, 640 c.p. e 192 c.p.p.

La sentenza impugnata non avrebbe condotto una
corretta analisi e valutazione delle fonti di
prova. Non vi sarebbe alcun legame dell’imputato
con gli altri soggetti coinvolti nelle pratiche di
risarcimento falsificate di cui al presente
procedimento; mentre per quanto riguarda il fatto
contestato all’Alaimo, a carico dello stesso non
sarebbero ravvisabili ulteriori elementi rispetto
all’irregolarità commessa alterando il riferimento
contenuto nel certificato medico rilasciato dal
pronto soccorso a seguito dell’investimento da
parte di un’auto non identificata. Il certificato

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nuovo esame testimoniale, senza consentire alle

dimostrerebbe che l’Alaimo è stato realmente
vittima di un incidente stradale e ciò
differenzierebbe la sua situazione da quella di
coloro che hanno concorso nella consumazione di

avvenuti ovvero in relazione a patologie mai
patite.
3)

violazione di legge e vizio di motivazione in

relazione all’art. 133 c.p., in quanto la sentenza
impugnata non avrebbe risposto a specifiche
doglianze in ordine alla dosimetria della pena.
MOTIVI DELLA DECISIONE

I motivi dei ricorsi sono manifestamente infondati
ovvero non consentiti nel giudizio di legittimità e
devono essere dichiarati inammissibili.
Il motivo di ricorso del difensore della D’Angelo è
manifestamente infondato, non solo perché, come
rilevato dal giudice di appello il supposto vizio
denunciato “non appare in alcun modo rilevante e
decisivo”, ma anche perché nessuna nullità è
prevista dalla legge in relazione alle modalità di
conduzione del dibattimento che rientrano nei
poteri del presidente (artt. 498 ss. c.p.p.).
Il

motivo

responsabilità

di

ricorso
è

dell’Alaimo

anch’esso

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sulla

manifestamente

truffe per ottenere risarcimenti per fatti mai

infondato,

nella parte in cui denuncia un

insussistente vizio di motivazione, non consentito
nella parte in cui pretende di valutare, o
rivalutare, gli elementi processualmente emersi al

quelle del giudice del merito, chiedendo alla Corte
di legittimità un giudizio di fatto che non le
compete.
Occorre ribadire, secondo il costante insegnamento
di questa Suprema Corte, che esula dai poteri della
Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli
elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva,
riservata al giudice di merito, senza che possa
integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per il ricorrente
più adeguata, valutazione delle risultanze
processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n.
6402, Dessimone, riv. 207944). Nel caso di specie,
la sentenza impugnata ha ricostruito i fatti nel
senso che l’imputato ha non solo reso dichiarazioni
false alla compagnia assicurativa, ma ha anche
prodotto un certificato falso e, precisamente, un
referto TAC apparentemente rilasciato dalla clinica
Triolo e che veniva invece disconosciuto da detto

fine di trarre proprie conclusioni in contrasto con

centro medico.
La censura sulla pena formulata dall’Alaimo è del
tutto generica, in quanto non indica quali siano le
“specifiche doglianze” alle quali il giudice di

principio costantemente affermato da questa Suprema
Corte che l’obbligo di motivazione in ordine alla
determinazione della pena tanto più si attenua
quanto maggiormente la pena, in concreto irrogata,
si avvicina al minimo edittale, come nel caso di
specie.
L’inammissibilità, quale che ne sia la causa,
determina l’inidoneità ad introdurre il rapporto
processuale di impugnazione, con la conseguenza
della inapplicabilità della prescrizione
intervenuta successivamente alla pronuncia del
giudice di appello (Sez. Un. 22/11/2000-21/12/2000,
n. 32, De Luca, riv. 217266; Sez. U, 22 marzo 2005,
n. 23428, Bracale, riv. 231164).
Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616,
valutati i profili di colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità emergenti dai
ricorsi, al versamento ciascuno della somma, che si

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appello non avrebbe MPisposto e, comunque, è

ritiene equa, di euro 1000,00 a favore della cassa
delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i

ciascuno della somma di euro 1000,00 alla cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma il 23 aprile 2013.

ricorrenti al pagamento delle spese processuali e

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