Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24937 del 23/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 24937 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: FIANDANESE FRANCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da

Cella Rosine,

nata a

Pietrelcina il 7.1.1961, e da Cotugno Osvaldo, nato
a Benevento il 27.3.1987, avverso la sentenza della
Corte di Appello di Napoli, in data 14 ottobre
2011, di riforma della sentenza del G.U.P. del
Tribunale di Benevento, in data 26 maggio 2008;
Visti gli atti, la sentenza denunziata e il
ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione svolta dal
consigliere dott. Franco Fiandanese;
Udito il pubblico ministero in persona del
sostituto procuratore generale dott.

Carmine

Data Udienza: 23/04/2013

Stabile, che ha concluso per l’inammissibilità dei
ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Napoli, con sentenza in data

il 26 maggio 2008 dal G.U.P. del Tribunale di
Benevento nei confronti di Cella Rosina e Cotugno
Osvaldo, dichiarati colpevoli dei delitti di
tentata estorsione aggravata e lesioni personali,
concedeva alla Cella le attenuanti generiche,
rideterminando la pena in anni due e mesi dieci di
reclusione ed euro 380 di multa e riduceva la pena
per Cotugno in anni uno giorni venti di reclusione
ed euro 140 di multa.
Secondo l’accusa la Cella intimava a Pacifico
Antonio, che aveva parcheggiato la propria
autovettura nel centro abitato di Benevento, il
pagamento della sosta e, al rifiuto dello stesso,
richiedeva l’intervento di tre individui, tra i
quali il Cotugno, che lo percuotevano procurandogli
lesioni personali.
Propongono ricorso per cassazione la Cella
personalmente e il Cotugno tramite il suo
difensore.
Cella Rosina

deduce contraddittorietà della

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14 ottobre 2011, riformando la condanna pronunciata

motivazione, avendo la sentenza dato maggiore
rilievo alle dichiarazioni del Pacifico a discapito
di quelle degli imputati, ritenuti credibili per la
parte in cui ammettono i fatti, non credibili per
la parte in cui escludono che le percosse avessero

Il difensore di Cotugno Osvaldo deduce violazione
di legge e vizio di motivazione, poiché dagli atti
emergerebbe chiaramente che il Cotugno intervenne
soltanto in una fase successiva alla presunta
richiesta estorsiva avanzata dalla coimputata
Cella. Il Cotugno, al quale è stata riconosciuta la
diminuente di cui all’art. 89 c.p., era intervenuto
nell’intento di difendere la madre senza rendersi
conto della dinamica e dell’origine della
discussione con il Pacifico. Pertanto, l’imputato
dovrebbe essere assolto dall’imputazione di
estorsione per non avere commesso il fatto, mentre,
anche in considerazione delle ridotte facoltà
mentali, dovrebbe ritenersi sussistente, in
relazione al delitto di lesioni, la scriminante
della legittima difesa putativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE

I motivi dei ricorsi sono manifestamente infondati
ovvero non consentiti nel giudizio di legittimità e

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finalità estorsive.

devono essere dichiarati

inammissibili.

Sono

manifestamente infondati per la parte in cui
contestano l’esistenza o la logicità dell’apparato
giustificativo della decisione, che invece esiste e

la parte in cui pretendono di valutare, o
rivalutare, gli elementi processualmente emersi al
fine di trarre proprie conclusioni in contrasto con
quelle del giudice del merito chiedendo alla Corte
di legittimità un giudizio di fatto che non le
compete.
Occorre ribadire, secondo il costante insegnamento
di questa Suprema Corte, che esula dai poteri della
Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli
elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva,
riservata al giudice di merito, senza che possa
integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per il ricorrente
più adeguata, valutazione delle risultanze
processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n.
6402, Dessimone, riv. 207944).
I motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una
inammissibile ricostruzione dei fatti mediante
criteri di valutazione diversi da quelli adottati

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non è manifestamente illogico; non consentiti per

dal giudice di merito, il quale, con motivazione
ampia ed esente da vizi logici e giuridici, ha
esplicitato le ragioni del suo convincimento,
affermando che “le parziali ammissioni degli

tentativo di escludere la sussistenza del reato di
estorsione tentata, oltre che le dichiarazioni
degli agenti intervenuti nell’immediatezza,
confermano la ricostruzione dei fatti come riferiti
dalla parte lesa ed il concorso degli imputati nei
reati contestati”. Con riferimento, poi, alla
posizione del Cotugno, secondo la ricostruzione dei
fatti operata dai giudici di merito, non
sindacabile in questa sede di legittimità in quanto
corretta dal punto di vista logico e giuridico, “è
accertato che il Pacifico non ha mai avuto alcun
atteggiamento aggressivo nei confronti della Cella,
con la quale era in atto solo una discussione
verbale, come confermato dagli stessi imputati.
Nessun pericolo, quindi, nemmeno supposto, vi era
per la Cella. Inverosimile quindi che il Cotugno si
sia determinato ad agire perché temeva per
l’incolumità della madre, che, invero, non era
assolutamente minacciata”.
Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la

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imputati, che cercano di frammentare l’azione nel

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