Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24933 del 23/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 24933 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: FIANDANESE FRANCO

SENTENZA
sul ricorso

proposto nell’interesse di

Alfredo Welter,

Caprari

nato a Puerto La Cruz (Venezuela)

il 31.3.1959, avverso la sentenza della Corte di
Appello di L’Aquila, in data

3

ottobre 2011, di

parziale riforma della sentenza del Tribunale di
Pescara – Sezione distaccata di Penne, in data 18
giugno 2008;
Visti gli atti, la sentenza denunziata e il
ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione svolta dal
consigliere dott. Franco Fiandanese;
Udito il pubblico ministero in persona del

Data Udienza: 23/04/2013

sostituto procuratore generale dott.

Carmine

Stabile, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

data 3 ottobre 2011, confermava la condanna
pronunciata il 18 giugno 2008 dal Tribunale di
Pescara – Sezione distaccata di Penne, alla pena di
anni quattro di reclusione ed euro 600 di multa nei
confronti di Caprari Alfredo Walter, dichiarato
colpevole del delitto di estorsione continuata ai
danni di Colangelo Antonio, ma revocava, in
accoglimento del ricorso del P.G. il beneficio
della sospensione condizionale della pena concesso
con precedenti sentenze di condanna.
Propone ricorso per cassazione il difensore
dell’imputato, il quale deduce i seguenti motivi:
1) violazione degli artt. 187 e 192 c.p.p.
Il ricorrente lamenta che la condanna sia fondata
esclusivamente sulle dichiarazioni della persona
offesa ed afferma che gli elementi processualmente
emersi consentono altre interpretazioni dei fatti.
In particolare, il ricorrente medesimo fa
riferimento ad una relazione sentimentale tra la
nuora della persona offesa e l’imputato e sostiene

2

La Corte di Appello di L’Aquila, con sentenza in

che l’imputato ebbe dai coniugi Colangelo un
incarico di reperire un’abitazione e di organizzare
una festa di compleanno, da ciò nacquero dispute
economiche che dovrebbero far dubitare

dell’elemento soggettivo del reato.
2)

violazione degli artt. 393

e

629 c.p.,

in

quanto, in via subordinata, proprio in conseguenza
delle suddette dispute economiche, nei fatti
dovrebbe ravvisarsi il diverso reato di esercizio
arbitrario delle proprie ragioni.
MOTIVI D’ELLA DECISIONE
I motivi del ricorso sono manifestamente infondati
ovvero non consentiti nel giudizio di legittimità e
devono essere dichiarati inammissibili.
Occorre ribadire, secondo il costante insegnamento
di questa Suprema Corte, che esula dai poteri della
Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli
elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva,
riservata al giudice di merito, senza che possa
integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per il ricorrente
più adeguata, valutazione delle risultanze
processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n.

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dell’attendibilità dei testi e della sussistenza

6402, Dessimone, riv. 207944).
I motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una
inammissibile ricostruzione dei fatti mediante
criteri di valutazione diversi da quelli adottati

ampia ed esente da vizi logici e giuridici, ha
esplicitato le ragioni del suo convincimento,
valutando “coerenti e verosimili” le dichiarazioni
delle persone offese, confermate dall’intervento
dei Carabinieri, i quali hanno sorpreso l’imputato
nell’atto di prendere il denaro. I giudici di
merito non hanno trascurato di prendere in esame le
deduzioni della difesa e la ricostruzione dei fatti
dalla stessa prospettata e hanno rilevato che “il
Caprari intendesse soltanto recuperare crediti è
circostanza del tutto sfornita di appiglio
probatorio” e che sono “congetture quelle relative
alla relazione esistente tra l’imputato e la moglie
di Colangelo Abdré Luiz (relazione che, insomma,
non si vede come avrebbe potuto avere rilievo in
questo processo) e all’organizzazione di una festa
per la quale l’imputato avrebbe speso molto
denaro”.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese

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dal giudice di merito, il quale, con motivazione

processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p.,
valutati i profili di colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità emergenti dal
ricorso, al versamento della somma, che si ritiene

ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1000,00 alla cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 23 aprile 2013.

equa, di euro 1000,00 a favore della cassa delle

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