Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24925 del 11/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 24925 Anno 2013
Presidente: CASUCCI GIULIANO
Relatore: FIANDANESE FRANCO

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di:
CAVALIERE Maurizio,

nato il 5.02.1962 in Squinzano

(LE),

ZANZARELLI Albino, nato 1’1.12.1956 in Oria (BR),
MILANESE Carmela, nata il 24.02.1978 in Lecce,
RENNA Mario Annunziato,

nato il

20.03.1957 in

Trepuzzi,
avverso la sentenza della Corte di Appello di Lecce
– Sezione distaccata di Taranto, in data 30 giugno
2011, di riforma della sentenza del G.U.P. del
Tribunale di Taranto, in data 29 giugno 2007;
Visti gli atti, la sentenza denunziata e
ricorso;

1

il

Data Udienza: 11/04/2013

Udita in pubblica udienza la relazione svolta dal
consigliere dott. Franco Fiandanese;
Udito il pubblico ministero in persona del
sostituto procuratore generale dott. Aurelio

rinvio della sentenza impugnata;
Uditi i difensori, avv. Paolo Francesco Pesare, per
Renna Mario Annunziato, avv. Giovanni Pezzuto, per
Cavaliere Maurizio e Milanese Carmela, avv.
Fabrizio Lamanna, per Zanzarelli Albino, i quali
hanno chiesto l’accoglimento dei motivi dei
rispettivi ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il G.U.P. del Tribunale di Taranto, all’esito di
giudizio abbreviato, con sentenza in data 29 giugno
2007 dichiarava Zanzarelli Albino, Cavaliere
Maurizio, Milanese Carmela, Renna Mario Annunziato
colpevoli del delitto di cui all’art. 416 c.p., per
essersi associati tra loro allo scopo di commettere
più delitti, tra cui, una serie di rapine, furti di
auto per commettere le stesse, riciclaggio di
denaro, occultamento dello stesso, assistenza ai
soggetti detenuti ecc.; Zanzarelli e Cavaliere
anche dei reati di rapina aggravata, danneggiamento
aggravato, sequestro di persona, tentato omicidio,

2

Galasso, che ha concluso per l’annullamento con

furto aggravato, resistenza a pubblico ufficiale;
Milanese e Renna anche per il delitto di
riciclaggio; Cavaliere e Milanese, in concorso tra
loro, anche dei reati di cui agli artt. 640, comma
2, n. 3 c.p., e 7 legge n. 895 del 1967; Zanzarelli

1967.
A seguito di gravame degli imputati, la Corte di
Appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto,
con sentenza in data 30 giugno 2011, confermava la
condanna di Renna Mario Annunziato alla pena di
anni sei di reclusione ed euro 8.000 di multa;
dichiarava non doversi procedere nei confronti di
Zanzarelli, Cavaliere e Milanese in ordine ai reati
loro rispettivamente ascritti di danneggiamento
aggravato, resistenza a pubblico ufficiale, truffa
aggravata e detenzione di arma comune da sparo,
perché estinti per prescrizione, rideterminando la
pena in anni undici, mesi dieci, giorni venti di
reclusione ed euro 2.866 di multa nei confronti di
Zanzarelli, in anni undici, mesi otto, giorni venti
di reclusione ed euro 2.800 di multa nei confronti
di Cavaliere, in anni cinque, mesi otto di
reclusione ed euro 7.666 di multa nei confronti di
Milanese.

3

anche del reato di cui all’art. 2 legge n. 895 del

Propongono ricorso per cassazione i difensori degli
imputati.
Il difensore di

Cavaliere Maurizio e Milanese

Carmela deduce i seguenti motivi:
Violazione

ed e)

dell’art. 606 lett. b),

c.p.p. in relazione agli artt. 546 lett. e) e 125
coma 3 stesso codice per inosservanza di norme
penali e processuali, mancanza, contraddittorietà o
manifesta

illogicità della motivazione in

ordine

alla conferma della responsabilità.
Il difensore ricorrente denuncia che la sentenza di
appello si è limitata a richiamare integralmente la
motivazione della sentenza di primo grado, senza
alcun esame di detta pronuncia alla stregua degli
argomenti svolti dalla difesa degli imputati che
avevano presentato undici motivi di appello, con la
conseguente nullità del provvedimento impugnato.
2) Violazione dell’art. 606 lett. b), c)

ed

e)

c.p.p. in relazione agli artt. 268 comma 3, 271
comma l, 191, 192, 125 comma 3 e 546

lett. e)

c.p.p. per inosservanza ed erronea applicazione di
norme penali e

processuali nonché mancanza e

manifesta illogicità della motivazione.
Il difensore ricorrente afferma che la motivazione
per relationem

della sentenza impugnata,

4

in

l)

denegata ipotesi di infondatezza della dedotta
nullità, impone la reiterazione della denuncia
dell’illegittima declaratoria di utilizzabilità dei
risultati della intercettazioni telefoniche ed

hanno autorizzate, disposte e prorogate, perché
immotivati sia sotto il profilo della inidoneità o
insufficienza degli impianti presso la Procura
della Repubblica di Taranto sia in ordine alle
eccezionali ragioni di urgenza.
Il ricorrente, dopo avere affermato che il
Tribunale di Taranto, nel corso del dibattimento
con rito ordinario a carico degli altri coimputati
aveva dichiarato l’inutilizzabilità dei decreti n.
161/2000, 138/2000, 188/2000 e 293/2000

(rectius:

193/2000), osserva che il G.U.P. non ha condiviso
le conclusioni alle quali era giunto il giudice del
dibattimento, indicando la causa della inidoneità
degli impianti della Procura nella “distanza
intercorrente con il luogo dove le operazioni
dovevano essere eseguite (Brindisi)”, tale da far
diventare detti impianti “per ciò stesso inidonei”;
spiegazione tecnica, ad avviso del ricorrente, del
tutto inconsistente ed infondata, rientrando nel
fatto notorio l’equidistanza in linea d’aria tra

5

ambientali in relazione a tutti i decreti che le

Martina Franca (luogo d’ascolto ove è situata la
stazione dei CC. delegati alle operazioni di
intercettazione) e Brindisi (luogo di captazione
presso la Casa circondariale) da una parte, e tra

Il ricorrente sostiene, poi, l’inutilizzabilità
anche dei decreti n. 186/2000 e 26/2001, per le
medesime ragioni già indicate con riferimento agli
altri decreti ed anche per la mancanza di qualsiasi
motivazione in merito alle eccezionali ragioni di
urgenza giustificative del ricorso ad impianti
diversi da quelli in dotazione della Procura,
affermando che non va confusa la procedura
d’urgenza prevista dall’art. 267 comma 2 c.p.p. con
quella relativa alle eccezionali ragioni d’urgenza
di cui all’art. 268 comma 3 stesso codice.
Viziati da motivazione apparente sarebbero anche i
decreti n. 169/2000 e 154/2000.
3)

Violazione dell’art. 606 lett. b), c) ed e)

c.p.p. in relazione agli artt. 378-384 comma 1 e
367 c.p., 63 comma 2, 191 e 192 comma 3 c.p.p. per
inosservanza ed erronea applicazione di norme
penali e processuali nonché mancanza e manifesta
illogicità della motivazione.

Il difensore ricorrente denuncia che la motivazione

6

Taranto e Brindisi dall’altra.

per relationem

della sentenza impugnata,

in

denegata ipotesi di infondatezza della dedotta
nullità, impone la reiterazione della denuncia
della illegittimità della declaratoria di

Zanzarelli Lucia alla Squadra Mobile di Brindisi in
fase d’indagine.
Secondo

la

tesi

difensiva

le dichiarazioni

“informali”, non verbalizzate, rese, in un primo
tempo, da Zanzarelli Lucia, in violazione degli
artt. 351 comma 1 e 357 comma 2 lett, c) c.p.p.,
avrebbero fatto ipotizzare a suo carico non solo il
reato di favoreggiamento personale in favore del
padre e degli estranei con posizione personale allo
stesso inscindibilmente connessa, ma anche quello
di simulazione di reato, sino al punto da provocare
indagini e accertamenti sul posto (in campagna) da
parte della p.g. Le successive dichiarazioni di
Zanzarelli Lucia, rese alle ore 22,50 del 2 giugno
2000 negli uffici della Squadra Mobile presso la
Questura di Brindisi, quando ormai erano
chiaramente emersi indizi a suo carico dei reati di
favoreggiamento personale e di simulazione di
reato, rientrerebbero, pertanto, nell’ipotesi
prevista dall’art. 63 comma 2 c.p.p. e 220 att.

7

utilizzabilità anche delle dichiarazioni rese da

c.p.p. e sarebbero inutilizzabili erga omnes.
4) Violazione dell’art. 606 lett. b), c) ed e)
c.p.p. in relazione all’art.416 c.p. ed all’art.

192 commi 1 e 2 c.p.p. per inosservanza

ed erronea

mancanza e manifesta illogicità della motivazione.
Il ricorrente lamenta che siano stati contestati
reati scopo fantasma ed inesistenti, non essendo
stati indicati luoghi e tempi in cui la presunta
struttura criminosa si sarebbe costituita, avrebbe
acquisito l’indispensabile supporto della stabilità
e

l’affectio soci etatis

e

sarebbe divenuta

concretamente operativa.
Il reato, inoltre, contestato fino al 2 giugno
2000, sarebbe prescritto.
5) Violazione dell’art. 606 lett. b), c) ed e)
c.p.p.

in relazione al delitto di concorso

continuato in

riciclaggio

(artt. 110-81-648 bis

c.p. e 192 commi l e 2 c,p.p., con riferimento alla
ricorrente Milanese Carmela,

per

inosservanza ed

erronea applicazione di norme penali e processuali
nonché mancanza

e

manifesta illogicità della

motivazione.
Il ricorrente denuncia la contestazione temporale
del reato, “da giugno 2000 ad oggi”, senza alcuna

8

applicazione di norme penali e processuali nonché

contestazione dei tempi dei presunti episodi di
continuazione del reato; afferma che mancherebbe
non solo il presupposto del reato di riciclaggio,
cioè il denaro proveniente da reato, ma non

intercettazioni telefoniche ed ambientali un chiaro
rapporto di mutuo.
6) Violazione dell’art. 606 lett. b), c)

ed

e)

c.p.p. in relazione agli artt. 110, 56, 575, 61 n.
2-8-10, 110, 337 e 339 c.p. per inosservanza cd
erronea applicazione di norme penali e processuali
nonché mancanza e manifesta illogicità della
motivazione.
Il reato di tentato omicidio nei confronti dei
Carabinieri sopravvenuti dopo la rapina sarebbe
del tutto inesistente, mancando la prova
dell’animus necandi ed avendo i rapinatori sparato,
con fuoco di sbarramento, semplicemente per
coprirsi la fuga. Inoltre, il reato de quo sarebbe
in antitesi con quello, pur contestato e ritenuto
in sentenza, previsto dal capo G (concorso in
resistenza a p.u. aggravata dalle armi).
7) Violazione dell’art. 606 lett. b), c) ed

e)

c.p.p. in relazione agli artt. 133, 133 bis e 62
bis c.p. per inosservanza ed erronea applicazione

9

esisterebbe la prova di tale reato, emergendo dalle

di norme penali e processuali

nonché mancanza e

manifesta illogicità della motivazione.
Immotivate e sproporzionate sarebbero le pene base
applicate ai ricorrenti; inoltre, nei confronti del

sicurezza della libertà vigilata non sussistendo il
presupposto dell’attualità della sua pericolosità
sociale.
Il difensore di

Renna Mario

deduce i seguenti

motivi:
l)

violazione

dell’art.606

lett. c) c.p.p. in

relazione ad errata applicazione dell’art.266 comma
3 c.p.p., con conseguente inutilizzabilità

ex

art.271 c.p.p. in ordine ad intercettazioni

di

conversazioni autorizzate con decreti nn. 161/00,
138/00, 188/00, 193/00, 186/00, 26/01 emessi dal pn
e

dal

gip del Tribunale

di Taranto,

oltreché a

errata applicazione dell’art. 125 c.p.p.

dei

decreti oggetto di impugnazione per mancanza di
motivazione.

Violazione dell’art.606 lett. e c.p.p.

per mancanza di motivazione emergente dal testo
della sentenza impugnata.
Il difensore ricorrente esamina i singoli decreti
denunciati evidenziando la mancanza di motivazione
sulle ragioni dell’utilizzo di impianti esterni

10

Cavaliere dovrebbe essere revocata la misura di

,

N

alla Procura della Repubblica e/o sulla sussistenza
di eccezionali ragioni di urgenza.
2)

mancanza di motivazione emergente dal testo del

provvedimento impugnato.

appello e lamenta l’assenza di motivazione sui
motivi di doglianza con riferimento ai contestati
reati ex artt. 416 e 648 bis c.p.
3) erronea applicazione della norma di cui all’art.
62 bis c.p. nonché mancanza di motivazione
emergente dal testo del provvedimento impugnato sia
con riferimento

alla

mancata

concessione delle

attenuanti generiche che con riguardo alla
eccessività della pena.

Il ricorrente denuncia ancora la mancanza di
motivazione sugli specifici motivi di appello che
riporta nell’atto di ricorso, in particolare
rilevando la incensuratezza dell’imputato a fronte
del riferimento contenuto nella sentenza impugnata
all’esistenza di precedenti penali.
Il difensore di Zanzarelli Albino deduce i seguenti
motivi:
1)

Mancanza

o

manifesta

motivazione; nullità

dei

illogicità

della

decreti autorizzativi

delle operazioni di intercettazione per violazione

11

Il ricorrente riporta il contenuto dell’atto di

degli artt. 267, 268 comma 3 e 271 coma l c.p.p.
in relazione agli artt. 178 e 606 lett. c) ed e)

c.p.p.
Il ricorrente insiste nella già formulata istanza

i decreti autorizzativi
captazioni,

delle

delle

operazioni di

intercettazioni telefoniche ed

ambientali, atteso che il provvedimento con il
quale si è proceduto a disporre l’utilizzo degli
impianti diversi da quelli in dotazione ed
installati presso la locale procura, sarebbe da un
punto di vista motivazionale assolutamente
incongruo carente e/o comunque insufficiente a
giustificarne l’uso, limitandosi ad una mera
ripetizione delle espressioni legislative.
2)

Inosservanza o erronea applicazione della legge

penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve
tener conto nell’applicazione della legge penale.

Il ricorrente afferma che non vi sarebbe alcun
elemento che porti a riconoscere lo Zanzarelli
quale possibile autore della rapina per la quale
risulta imputato sia in relazione al lasso di tempo
intercorso tra il conflitto e il momento in cui lo
Zanzarelli si è recato al pronto soccorso sia in
relazione all’esito negativo della perizia sulla

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volta ad ottenere la pronunzia di nullità di tutti

compatibilità

tra i lembi di carne e di pelle

rinvenuti sul luogo del conflitto a fuoco e la
ferita al volto e alla spalla destra dell’imputato.
3)

denuncia la infondatezza delle aggravanti

MOTIVI DELLA DECISIONE
I motivi dei ricorsi devono essere accolti nei
limiti di cui alla presente motivazione.
Motivo comune a tutti i ricorrenti è quello
concernente la inosservanza delle norme processuali
in materia di intercettazioni ambientali e
telefoniche e la conseguente inutilizzabilità del
contenuto delle intercettazioni denunciate.
Sul

punto

la

sentenza

impugnata

rinvia,

condividendolo, all’esame analitico condotto dal
giudice di primo grado. Tale rinvio è sufficiente
per

investire questa Corte delle eccezioni

difensive, trattandosi di questioni relative ad
error in procedendo che possono essere direttamente

esaminate anche

in

sede di legittimità. Occorre,

peraltro, precisare che le suddette eccezioni
possono e debbono essere verificate in questa sede
nei limiti

della

degli atti

sentenza

disponibili, cioè il testo

impugnata

integrato

con

la

motivazione del primo giudice, posto che qualora

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contestate in sentenza.

venga

eccepita

in

sede

di

legittimità

l’inutilizzabilità dei risultati delle
intercettazioni, è onere della parte non solo
indicare specificamente l’atto asseritamente

tale atto sia comunque effettivamente acquisito al
fascicolo trasmesso al giudice di legittimità,
anche provvedendo a produrlo in copia nel giudizio
di cassazione (Sez. 4, n. 33700 del 09/06/2004,
Campisi, Rv. 229098; Sez.

4, n. 32747 del

07/06/2006, Pizzinga, Rv. 234809; Sez. 5, n. 37694
del 15/07/2008, Rizzo, Rv. 241300; Sez. 2, n. 25315
del 20/03/2012, Ndreko, Rv. 253073). Poiché tali
adempimenti non sono stati curati dai ricorrenti,
non potendosi ritenere sufficienti a tal fine la
selezione e riproduzione di parti di atti nel
ricorso, la valutazione in questa sede deve
limitarsi a verificare se i giudici di merito
abbiano correttamente applicato i principi di
diritto in materia.
Il giudice di primo grado, dopo avere condiviso le
eccezioni difensive con riferimento al decreto n.
166/2000, dichiarando inutilizzabili gli esiti
delle relative intercettazioni, respinge, invece,
le censure formulate con riferimento agli altri

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affetto dal vizio denunciato, ma anche curare che

decreti. Il Tribunale di Taranto rileva che, con
riguardo alle intercettazioni ambientali effettuate
presso la casa circondariale di Brindisi, l’impiego
di apparecchi in dotazione alla p.g. delegata è
già

nella

richiesta

del

p.m.

di

autorizzazione all’intercettazione con riferimento
al “tipo e al luogo della intercettazione”, sicché
il decreto autorizzativo del G.I.P. e quello
successivo del P.m. che dispone l’esecuzione delle
operazioni “non possono che rifarsi all’originaria
richiesta del titolare della pubblica accusa.
Con riferimento al requisito delle eccezionali
ragioni di urgenza, lo stesso Tribunale pone in
evidenza “la concitata sequenza temporale dei vari
atti della procedura (riscontrabile in tutti i casi
in relazione alle date rispettive della richiesta
del P.M., dell’autorizzazione del G.I.P. e del
decreto esecutivo del P.M.)”, nonché “la estrema
gravità dei delitti per cui si procedeva”. In tal
modo, il primo giudice si discosta consapevolmente
e motivatamente dalla decisione, segnalata dalla
difesa,

assunta dal

Tribunale nel

separato

procedimento, svoltosi con il rito ordinario, a
carico di altri coimputati.
Il Tribunale, infine, riteneva utilizzabili gli

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motivata

esiti

delle

intercettazioni

telefoniche,

sottolineando, peraltro, che la difesa, con
riguarda ad esse, non aveva sollevato alcuna
eccezione.

26751 del 2003 della Sezione Sesta si era già
pronunciata in sede cautelare sulla eccezione di
inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali
presso la Casa circondariale di Brindisi,
ritenendole infondate, deve rilevarsi che la
motivazione offerta dal Tribunale di Taranto è del
tutto conforme ai principi giurisprudenziali
elaborati da questa Suprema Corte.
Infatti, proprio con riferimento ad intercettazioni
ambientali di colloqui in carcere, questa Corte ha
affermato che il decreto del P.M. che autorizza
l’uso di apparecchiature esterne, rispetto a quelle
in dotazione negli uffici giudiziari, è
sufficientemente motivato con il richiamo alla
circostanza che si tratta di intercettazioni da
effettuarsi non già su linee telefoniche ma in
ambienti o luoghi da tenersi sotto controllo anche
diretto o visivo della polizia e da eseguirsi
mediante apparecchiature da collocare in prossimità
della fonte sonora (Sez. 1, n. 29178 del

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Orbene, premesso che questa Corte, con sentenza n.

10/02/2011, Bruzzise, Rv. 250749; Sez. l, n. 29188
del 29/03/2011, D’Iorio, Rv. 250754).
Infondata è anche la affermazione difensiva che “il
caso di urgenza che giustifica la procedura ex art.

eccezionali ragioni di urgenza di cui all’art. 268
co. 3 c.p.p.” (così il ricorso Renna). Infatti, la
giurisprudenza di questa Suprema Corte ha chiarito
che «i “casi di urgenza” che abilitano il P.M., a
norma dell’articolo 267, comma secondo, cod. proc.
pen. ad emettere il decreto di intercettazione di
conversazioni o comunicazioni, comprendono di norma
le “eccezionali ragioni di urgenza” che
legittimano, a norma dell’articolo 268, comma
terzo, l’esecuzione delle operazioni mediante
impianti in dotazione della polizia giudiziaria
qualora quelli installati nella Procura della
Repubblica risultino insufficienti o inidonei. Ne
consegue che la motivazione circa la sussistenza
dell'”urgenza” ex articolo 267, comma secondo, cod.
proc. pen., assorbe quella circa la sussistenza
delle “eccezionali ragioni di urgenza” ex articolo
268, comma terzo, ove le ragioni addotte ai fini
dell’esigenza di attivare immediatamente le
operazioni

di

intercettazione

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appaiano

267 co. 2 c.p.p. non andava confuso con le

incompatibili sia con la normale procedura di
“richiesta/autorizzazione” stabilita in via
ordinaria dall’articolo 267, comma primo, sia con
l’attesa del realizzarsi di una condizione di

presso la Procura della Repubblica. Ne consegue
che, se il decreto d’urgenza del P.M. è convalidato
dal giudice, non può più farsi questione della
sussistenza dei requisiti d’urgenza ai fini sia
dell’articolo 267, coma secondo, sia dell’articolo
268, comma terzo, cod. proc. pen.» (Sez. 6, n.
32469 del 19/05/2005, Roveto, Rv. 232220; Sez. 5,
n. 37699 del 17/07/2008, Vottari,

Rv.

241949; Sez.

5, n. 16285 del 16/03/2010, Baldissin, Rv. 247268).
Comunque i giudici di merito hanno ravvisato la
sussistenza del requisito delle eccezionali ragioni
di urgenza sulla base della “concitata sequenza
temporale dei vari atti della procedura” e della
particolare natura dei reati oggetto delle
investigazioni, che rendevano assolutamente
indispensabile l’urgente predisposizione di idonei
mezzi di ricerca della prova, laddove non è
consentito attendere il ripristino della normale
funzionalità e disponibilità degli impianti di
procura, attesa la gravità del pregiudizio per le

18

sufficienza o idoneità degli impianti installati

indagini che soltanto la deroga potrebbe evitare.
Deve osservarsi che si tratta di un principio
conforme a quanto affermato sul tema dalle Sezioni
Unite di questa Suprema Corte (Sez. U, n. 42792 del

successiva giurisprudenza conforme (Sez. 4, n.
19368 del 14 marzo 2007, Aguneche; Sez. 1, n. 3328
del 26 gennaio 2006, Armento; Sez. l, n. 15343 del
7 aprile 2005, Mascolo) e, quindi, non censurabile.
Anche l’altra eccezione di inutilizzabilità
formulata dal difensore di Cavaliere e Milanese
riguardante le dichiarazioni rese da Zanzarelli
Lucia deve considerarsi infondata.
Occorre premettere che, in tema di dichiarazioni
indizianti rese da persona non imputata né
sottoposta ad indagini, il giudizio circa la
sussistenza ab initio di indizi di reità a carico
del dichiarante costituisce accertamento di fatto
la cui valutazione, se correttamente motivata dal
giudice di merito, si sottrae al sindacato di
legittimità (Sez. 5, n. 24953 del 15/05/2009,
Costa, Rv. 243892; Sez. 3, n. 43135 del 30/09/2003,
Marciante, Rv. 228421; Sez. 6, n. 10230 del
30/04/1999, Cianetti A, Rv. 214377). Ebbene, nel
caso di specie, la sentenza impugnata, che sul

19

31/10/2001 – dep. 28/11/2001, Policastro) e dalla

punto rinvia a quella di primo grado condividendone
le argomentazioni, osserva che “gli elementi
indiziari

a

suo

[della

Zanzarelli]

carico

(associazione per delinquere finalizzata al

rapine) sono intervenuti in un secondo momento,
ovvero a distanza di mesi”. Per quanto riguarda le
dichiarazioni informali non verbalizzate rese in un
primo tempo dalla Zanzarelli, i giudici di merito
contestano, con motivazione corretta dal punto di
vista logico e giuridico, le deduzioni difensive,
osservando da un lato che esse davano solo “spunto”
alla P.G. per le ulteriori indagini; dall’altro
lato, che le prime dichiarazioni informali doveva
considerarsi nulle non essendovi prova che siano
state acquisite previo avvertimento ex art. 199
c.p.p., con la conseguenza che nessun indizio di
favoreggiamento personale a carico della Zanzarelli
poteva trarsi dalle stesse. Successivamente la
Zanzarelli riferiva quanto contenuto nel verbale di
s.i.t. del 2.6.2000 e, a conferma delle suddette
argomentazioni, non era mai stata sottoposta a
procedimento penale per il reato di favoreggiamento
personale.
Venendo ad esaminare i motivi di ricorso

20

riciclaggio delle somme di denaro derivanti dalle

concernenti la responsabilità, è giurisprudenza
pacifica della Suprema Corte che la sentenza
appellata e quella di appello, quando non vi è
difformità sui punti denunciati, si integrano

inscindibile, una sola entità logico-giuridica,
alla quale occorre fare riferimento per giudicare
della congruità della motivazione, integrando e
completando con quella adottata dal primo giudice
le eventuali carenze di quella di appello (Sez. 2,
n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145;
Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011 – 12/04/2012,
Valerio, Rv. 252615). Tuttavia, sono stati
giustamente precisati i limiti della motivazione
per

relationem

sottolineando che il mero

riferimento alla sentenza di primo grado è
consentito soltanto quando le censure formulate
contro la decisione impugnata non contengano
elementi ed argomenti diversi da quelli già
esaminati e disattesi dal giudice di primo grado:
per contro, il rinvio meramente adesivo alla
sentenza appellata è stato giudicato violazione
dell’obbligo della motivazione quando con l’appello
sia stata sollecitata una valutazione critica della
decisione con specifiche censure o siano

21

vicendevolmente, formando un tutto organico ed

intervenute nel giudizio di secondo grado nuove
acquisizioni probatorie. il giudice di appello deve
raffrontare il proprio

con le censure

decisum

formulate dall’appellante e il controllo del

della congruità e logicità delle risposte fornite
alle predette censure

(Sez.

3,

n.

4704 del

14/02/1994, Jankovits, Rv. 197603; Sez. 5, n. 7572
del 22/04/1999, Maffeis, Rv. 213643; Sez. 6, n.
49754 del 21/11/2012, Casulli, Rv. 254102).
Ebbene, mentre, in applicazione di tali principi,
non può accogliersi la generica denuncia di carenza
di motivazione contenuta nel primo motivo di
ricorso del difensore di Cavaliere e Milanese, in
quanto la carenza deve essere valutata non
censurando

in

astratto

la motivazione

per

relationem, ma solo con il puntuale confronto tra i
motivi di appello e le argomentazioni dei giudici
di merito dei due gradi di giudizio considerate
nelle singole parti e nel loro complesso, in quanto
conformi; in applicazione degli

stessi

principi,

invece, deve rilevarsi che tutti gli imputati hanno
denunciato la configurabilità dell’associazione
criminosa contestata (ad eccezione di Zanzarelli,
al quale, peraltro, non possono non estendersi, in

22

giudice di legittimità si estenderà alla verifica

quanto comuni, i motivi di ricorso dei coimputati
concernenti il medesimo capo) e che a fronte di
specifiche censure formulate con gli atti di
appello e reiterate in sede di ricorso per

sentenza impugnata, neppure integrata con quella di
primo grado, essendo stati prospettati anche
elementi ed argomenti diversi da quelli già
esaminati e disattesi dal giudice di primo grado;
sicché la sentenza impugnata è affetta da mancanza
totale di motivazione in relazione al suddetto capo
di imputazione comune a tutti i ricorrenti.
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere
annullata con riferimento al suddetto capo e nei
confronti di tutti gli imputati ricorrenti.
Ugualmente deve ritenersi mancante di motivazione
la sentenza impugnata con riferimento agli
specifici motivi di appello, reiterati con

il

ricorso per cassazione, riguardanti il reato di cui
all’art. 648 bis c.p. contestato a Milanese Carmela
e a Renna Mario, con conseguente totale
annullamento con rinvio della sentenza pronunciata
nei confronti di costoro, i cui motivi concernenti
la pena devono, pertanto, considerarsi assorbiti.
Per quanto riguarda Zanzarelli Albino, i motivi di

23

cassazione nessuna risposta si può ravvisare nella

ricorso riguardano soltanto il delitto di rapina e
le aggravanti contestate, ma si tratta di motivi
affetti da grave mancanza di specificità (art. 581,
coma 1, lett. c), e 591 c.p.p.) o perché (quello

generici o perché (quello sul delitto di rapina)
ripropongono le stesse ragioni già discusse e
ritenute infondate dal giudice di primo grado,
richiamate da quello di appello, per di più
trascurando di censurare altre e più ampie ragioni
ivi esplicitate, quali quelle concernenti le tracce
da sparo sulla persona dello Zanzarelli e il
contenuto delle intercettazioni ambientali.
Pertanto, per tutti i reati contestati diversi da
quello di cui all’art. 416 c.p. per il quale deve
pronunciarsi annullamento con rinvio, la condanna
dei giudici di merito nei confronti dello
Zanzarelli può dichiararsi definitiva, non essendo
stati formulati motivi di ricorso riguardanti la
pena, potendo determinarsi in questa sede, sulla
base dei calcoli effettuati dai giudici di merito,
la relativa pena nella misura di anni dieci, mesi
dieci giorni venti di reclusione ed euro 2.667 di
multa.
Per quanto concerne la posizione del Cavaliere in

24

sulle aggravanti, neppure indicate) del tutto

ordine ai reati contestati diversi da quello di cui
all’art. 416 c.p. per il quale deve pronunciarsi
annullamento con rinvio, costui ha proposto uno
specifico motivo di ricorso solo con riferimento al

deve ritenersi generico nel punto in cui ripropone
le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate
dal giudice di primo grado, richiamate da quello di
appello; in particolare, per quanto concerne la
pretesa mancanza di prova dell’animus necandi,

il

ricorrente non considera affatto la precisa
ricostruzione dei fatti operata dal giudice di
merito, dalla quale risulta che i rapinatori aveva
ingaggiato “un violento conflitto a fuoco con i
Carabinieri”, che “numerosi colpi di fucile
attingevano il parabrezza” dell’autovettura dei
militari e che i colpi erano esplosi “all’indirizzo
della p.g.”.
Per quanto concerne la tesi difensiva che il reato
di tentato omicidio sarebbe in antitesi con quello
di resistenza a pubblico ufficiale aggravato dalle
armi (dichiarato estinto per prescrizione), il
collegio, pur in presenza di decisioni difformi,
condivide e fa proprio il seguente principio di
diritto applicabile anche nella presente

25

contestato tentativo di omicidio, ma tale motivo

fattispecie: «Il delitto di resistenza a pubblico
ufficiale assorbe soltanto quel minimo di violenza
che si concretizza nella resistenza opposta al
pubblico ufficiale che sta compiendo un atto del

violenti che, esorbitando da tali limiti, cagionino
al p.u. lesioni personali: in quest’ultima ipotesi,
il reato di lesioni personali è aggravato
dall’essere stato commesso in danno di un p.u., e
può concorrere con quello di resistenza a p.u.»
(Sez. 2, n. 12930 del 13/01/2012, Giunta, Rv.
252810).
In definitiva, la responsabilità del Cavaliere con
riferimento a tutti i reati contestati diversi da
quello di cui all’art. 416 c.p. deve considerarsi
definitivamente accertata, ma la posizione del
medesimo imputato con riguardo alla determinazione
della pena, limitatamente ai suddetti reati, a
differenza di quella dello Zanzarelli, non può
essere definita in questa sede, in quanto con il
ricorso sono stati formulati specifici motivi, che
ripropongono i motivi di appello, sui quali la
sentenza impugnata ha omesso totalmente di
pronunciarsi, con la conseguenza che deve
pronunciarsi annullamento con rinvio anche per

26

proprio ufficio, non anche gli ulteriori atti

guanto riguarda la determinazione della pena
relativa ai reati definitivamente accertati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di

all’art. 416 cod. pen., nonché nei confronti di
-Milanese Carmela e Renna Mario/ anche per il reato
dell’art. 648 bis cod. pen e di Cavaliere Maurizio
in ordine al trattamento sanzionatorio, con rinvio
alla Corte di Appello di Lecce per nuovo giudizio
sui suddetti capi. Rigetta nel resto i ricorsi e
dichiara esecutiva la sentenza nei confronti di
Zanzarelli Albino in ordine ai residui reati
giudicati, con la determinazione della pena nella
misura di anni dieci mesi dieci e giorni venti di
reclusione ed euro 2.667,00 di multa.
Così deciso in Roma 1’11 aprile 2013.

tutti i ricorrenti limitatamente al delitto di cui

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