Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 24919 del 23/04/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 24919 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da ATTANASIO Alessio, nato a Siracusa il 16/7/1970,
avverso la sentenza emessa in data 19/12/2012 dalla Corte d’appello di
Catania.
Visti gli atti, la sentenza impugnata, il ricorso, la memoria;
Udita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tomassi;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
PierLuigi Pratola, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

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Data Udienza: 23/04/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con la decisione in epigrafe la Corte d’appello di Catania, decidendo quale
giudice del rinvio a seguito della sentenza di annullamento della quinta Sezione
della Corte di Cassazione, n. 2955 del 2010 (ud. 11.11.2009, dep. 22.1.2010),
confermava la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di
Catania che in data 9.10.2008, a seguito di giudizio abbreviato, aveva
condannato Alessio ATTANASIO alla pena di diciotto anni di reclusione, per i
reati:

del numero superiore a dieci dei partecipanti, di aver commesso il fatto
avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis cod. pen. nonché al fine di
agevolare l’attività del sodalizio mafioso “Bottaro -Attanasio”; fatti commessi
sino a marzo 2004;
capo B) – di cui agli artt. 110 e 81 cpv. cod. pen.; 73, commi 1, 4, 6, e 80,
comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990; 7 d.l. n. 152 del 1991; per avere concorso
all’acquisto, trasporto, detenzione e cessione di cocaina e hashish, in quantitativi
imprecisati e comunque ingenti; con le aggravanti del numero superiore a dieci
dei concorrenti e del fine di agevolare l’attività del sodalizio mafioso “Bottaro Attanasio”; fatti commessi sino a marzo 2004.
2. La decisione di primo grado, che riguardava 19 imputati, dei quali 10
coimputati per i fatti ai capi A) e B), si basava essenzialmente – per quanto
concerneva la posizione dell’Attanasio – su intercettazioni e dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia, relazioni dei servizio, controlli e sequestri. Con specifico
riferimento alla posizione, con un ruolo direttivo, dell’Attanasio (già
definitivamente condannato per la partecipazione all’associazione di stampo
mafioso “Bottaro – Attanasio”) all’associazione dedita al traffico di stupefacenti
che gravitava nell’ambito del sodalizio mafioso, il primo giudice aveva osservato
che elementi di prova da ritenere tranquillanti emergevano dalle dichiarazioni del
collaboratori Rosario PICCIONE (rese il 13 gennaio, il 26 luglio e il 5 settembre, il
9 ottobre 2002) e Daniele AGLIANÒ (rese il 2 settembre 2003); dal contenuto di
una missiva scritta dall’Attanasio, indirizzata al cugino Vincenzo Cassia e
sequestrata al primo in occasione del suo arresto il 13 aprile 2001; dalle
intercettazioni effettuate (in particolare quelle del 16.8.2002 tra Fabio Mencarella
e Sebastiano Musso; del 27.8.2002, tra Mencarella e la fidanzata “Mery” Pocchi;
nonché del 13.4.2001, effettuata all’interno della Casa circondariale di Viterbo,
relativa ad un colloquio tra Salvatore Bottaro, la moglie Vincenza Mangano e la
figlia Patrizia) da cui emergeva il ruolo fondamentale rivestito nell’ambito
dell’associazione dall’Attanasio, che seminava timore per l’incolumità di chi “non
filava dritto” e che esercitava il suo ruolo nonostante lo stato di detenzione
attraverso Francesco Toscano, nominato dall’Attanasio responsabile del traffico
per contro del gruppo al momento della scarcerazione nel gennaio 2002.
Dell’Attanasio aveva parlato anche il collaboratore Massimo STUPORE,
indicandolo come persona a capo dell’associazione di stampo mafioso, anche non

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capo A) – di cui agli artt. 74, commi 1, 2 e 3, d.P.R. n. 309 del 1990 e 7 d.l.
n. 152 del 1991, per avere preso parte, con il ruolo direttivo di organizzatore, ad
un’associazione dedita al traffico di eroina, cocaina ed hashish; con le aggravanti

aveva specificamente riferito di una sua partecipazione al traffico di stupefacenti,
le sue dichiarazioni non confermavano dunque direttamente l’accusa, ma
neppure la smentivano (p. 23 sent. trib.).
3.

La prima sentenza della Corte d’appello aveva confermato quanto
evidenziato dal primo giudice, ma la Quinta Sezione della Corte di cassazione
annullava con rinvio la decisione.
A ragione dell’annullamento, la Corte osservava che apparivano fondate, e
assorbenti, le censure del ricorrente Attanasio afferenti alla valutazione delle
propalazioni accusatorie del collaboranti PICCIONE, AGLIANÒ e STUPORE, che
carico dell’Attanasio; il giudice di secondo grado si era limitato infatti ad un
acritico riferimento alla pronuncia di primo grado; aveva vistosamente eluso
l’obbligo di motivare sulle specifiche contestazioni difensive che contestavano
l’attendibilità dei dichiaranti; non aveva, in altri termini, adempiuto all’onere di
«rivisitare il dictum degli stessi collaboratori, secondo i consueti canoni di lettura
indicati da consolidato insegnamento di questa Corte regolatrice, al fine di
saggiare la credibilità soggettiva di ciascuno di essi e, poi, l’attendibilità
intrinseca e estrinseca delle relative propalazioni, da apprezzarsi – quanto al
secondo profilo di attendibilità – in funzione di necessari riscontri
individualizzanti».
4. In sede di rinvio, la Corte di appello acquisiva le dichiarazioni di due nuovi
collaboratori di giustizia, “pentitisi” solo di recente, Dario Troni e Salvatore
Lombardo; valutava il narrato dei collaboratori Piccione, Aglianò, Lombardo e
Troni intrinsecamente attendibile e sostanzialmente, per le parti di sicuro rilievo,
coincidente, nonché riscontrato dalle intercettazioni telefoniche, dalla missiva
sequestrata all’Attanasio, dal sequestro di stupefacente; confermava
integralmente, all’esito, la condanna del ricorrente.
4.1. A sostegno della decisione, in premessa la Corte di appello osservava
che non poteva trovare accoglimento la richiesta difensiva di procedere
all’escussione dei “testimoni” (Gianfranco Urso, coimputato e Vincenzo Cassia,
imputato di reato connesso) costituenti fonti di riferimento in relazione alle
dichiarazioni de relato, trattandosi di soggetti che legittimamente avrebbero
potuto avvalersi della facoltà di non rispondere (si cita Cass. sez. 5 sent n.
32834 del 25.5.2011); la richiesta di riascoltare i dichiaranti già escussi nella
fase delle indagini, non ricorrendo gli estremi della necessità ai fini della
decisione è sensi del comma 1 dell’articolo 603 cod. proc. Ten.; la richiesta di
acquisire testimonianza di un ufficiale di polizia giudiziaria a chiarimento di
un’intercettazione ambientale, neppure in questo caso ricorrendo le condizioni
dell’articolo 603 cod. proc. pen..
4.2. Nel merito, premessi i principi giurisprudenziali da applicare per la
valutazione delle dichiarazioni dei collaboranti, osservava quindi che l’Attanasio
era stato già riconosciuto colpevole di partecipazione all’associazione di stampo
mafioso Bottaro – Attanasio (già Urso – Bottaro), con un ruolo dirigenziale, per il
quale non era intervenuta condanna solo perché non specificamente contestato.
In relazione ai reati ora in contestazione, controllati da detta associazione e

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stando alla sentenza d’appello rappresentano la principale fonte di accusa a

realizzati al fine di favorirla, elementi di accusa tranquillanti nei confronti
dell’Attanasio provenivano dalle dichiarazioni dei collaboratori Rosario Piccione,
Daniele Aglianò, Massimo Stupore, Salvatore Lombardo, Dario Troni, considerati
attendibili, sostanzialmente concordanti e credibili, nonché dalla missiva in
sequestro e dalle conversazioni che costituivano i riscontri oggettivi che le
corroboravano.
5. Ricorre l’imputato personalmente e chiede l’annullamento della sentenza
impugnata denunziando plurime violazioni di legge nonché plurimi vizi della
illogicità, con riguardo, essenzialmente, alla valutazione delle dichiarazioni dei
collaboratori e alle risposte date alle censure difensive.
Nell’ambito delle oltre 60 pagine del ricorso manoscritto e degli oltre 40
argomenti di censura in esso intrecciantisi, le doglianze riferibili, in tesi, a
violazioni di legge, in breve posso così essere individuate:
5.1. “nullità della sentenza di primo grado scritta dal GUP di Catania prima
della fine del procedimento” (con conseguente, altresì, mancanza di
motivazione);
5.2. violazione delle legge processuale per la mancata astensione sollecitata e in tesi obbligatoria – del Presidente Mignemi;
5.3. violazione dell’art. 627 cod. proc. pen. per la sostanziale elusione dei
principi in materia di valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia,
inutilmente enunziati e sistematicamente non applicati (con conseguente, altresì,
mancanza, ovvero apparenza, della motivazione);
5.4. inutilizzabilità ovvero errata valutazione, in violazione dell’art. 195 cod.
proc. pen., delle dichiarazioni de relato laddove non indicano la fonte di
riferimento o la fonte di riferimento non era stata assunta, ovvero addirittura
risultavano smentiti dalla fonte di riferimento (come nel caso del Troni, de relato
dall’Attanasio che lo aveva smentito);
5.5. inutilizzabilità, trattandosi di corrispondenza, della missiva 12.4.2001,
trovata all’Attanasio, mai formalmente “sequestrata”;
5.6. violazione di legge per il mancato accoglimento della richiesta, avanzata
in data 23.10.2012, relativa audizione dell’ispettore Biagio Ciccullo sulla
interpretazione della intercettazione 13.4.2001 nella casa circondariale di Viterbo
(il teste avrebbe escluso in altro procedimento che si riferisse a droga);
5.7. violazione di legge per il mancato accoglimento della richiesta,
formulata a seguito delle dichiarazioni spontanee dell’Attanasio in data 2.7.2012,
relativa audizione di Antonio Tarascio, divenuto collaboratore di giustizia, sulla
circostanza che il Lombardo era stato picchiato da alcuni membri del sodalizio
(circostanza negata dal Lombardo ma confermata dal Troni) alla presenza di
Attanasio, che non era intervenuto;
5.8. violazione della legge sostanziale con riferimento alla circostanza che
(dovendosi escludere in ogni caso il traffico di droghe “pesanti”) a tutto voler
concedere restava un traffico di hashish risalente a prima della modifica
normative che aveva innalzato per le stesse il regime sanzionatorio;
5.9. violazione della legge sostanziale con riferimento alla omessa esclusione
della circostanza aggravante dell’art. 7 d.l. n. 152 del 1991, atteso che

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motivazione, alla stregua di motivazione omessa, prove travisate, manifeste

«l’aggravante della finalità mafiosa non può essere ravvisata rispetto ad atti che
rappresentano il perseguimento del programma criminoso deliberato e
condiviso», posti in essere dagli stessi associati (si sostiene, in altri termini che
l’aggravante può essere contestata solo o a non associati oppure ad associati per
reati estranei al programma dell’associazione, citandosi Cass. sez. 5, n. 8346 del
26.6.1997); analogamente dovendosi escludere la configurabilità altresì, oltre
che in fatto anche in diritto, dell’aggravante del metodo mafioso;
5.10. violazione di legge con riferimento alla dichiarazione di delinquente
abituale, i precedenti dell’Attanasio riferendosi a mere violazioni della
5.11. Si denunziano inoltre mancanza o apparenza della motivazione,
molteplici profili di illogicità e travisamento delle prove con riferimento alle
valutazioni concernenti:
(a)

le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, lo stesso ricorrente così

riassumendo le sue doglianze:
Aglianò non aveva mai nominato l’Attanasio;
Stupore allo stesso modo non aveva mai nominato l’Attanasio;
Piccione – la cui credibilità soggettiva e la cui attendibilità intrinseca erano
pari a zero, essendo stato più volte colto a dire palesemente falso, come a
proposito di Nuccio Ieni, della BMW 320 e della Toyota Carnia 2000 – aveva
rilasciato una dichiarazione

de relato,

priva di fonte, smentita da prove

documentali e poi da lui stesso che, messo alle strette, era stato costretto ad
ammettere che l’Attanasio non si occupava di droga ma di estorsioni e che il
traffico di stupefacenti era stato organizzato da altre persone, che Toscano
spacciava cocaina di sua iniziativa, utilizzando un canale tutto suo quando
l’Attanasio era già in carcere;
Lombardo – le cui dichiarazioni non erano state riscontrate per ammissione
della stessa Corte (pag. 28) e la cui credibilità ed attendibilità intrinseca erano
minori di quelle di Piccione – era smentito dalle prove documentali prodotte, oltre
che dal Piccione stesso in ordine alla data di inizio del traffico; scagionava
l’Attanasio dal traffico di droga pesante; non era sostenibile che non sapesse
dell’affiliazione del Toscano, poiché si trovava in cella con l’Attanasio nel carcere
di Brucoli nel 1999, e dunque doveva escludersi che la notizia era nel patrimonio
conoscitivo degli associati;
Troni aveva reso dichiarazioni de relato smentite dalla presunta fonte,
ovverosia dall’Attanasio stesso, e divergenti da quelle di Piccione e di Lombardo
(per ammissione della stessa Corte, pagine 30 – 32), aveva smentito
clamorosamente Lombardo, aveva scagionato l’Attanasio dal traffico di droga
pesante in maniera espressa e categorica, si trovava in cella con l’Attanasio nel
1999 e dal modo in cui riferisce di aver saputo dell’affiliazione Toscano faceva
intendere che la notizia non costituiva certamente patrimonio conoscitivo
comune;
(b) il significato e il valore probatorio della missiva del 12 aprile 2001 e delle
intercettazioni, segnatamente del 13.4.2001 e del 2727.8.2002;
(c) la partecipazione e il ruolo svolto dall’Attanasio nell’associazione per
delinquere dedita al traffico di stupefacenti e, comunque, il coinvolgimento del
ricorrente, sia a livello associativo sia quale concorrente nei reati fine, nei traffici-,

r’
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sorveglianza speciale, non già dell’obbligo di soggiorno.

concernenti droghe pesanti;
(d) il riconoscimento dell’aggravante dell’art. 7 d.l. n. 152 del 1991;
(e) il trattamento sanzionatorio e al diniego delle circostanze attenuanti
generiche;
(f) la declaratoria di delinquenza abituale.
6. Con memoria in data 25 marzo, l’Attanasio, a sostegno della prospettata
sua totale estraneità quantomeno al traffico di cocaina iniziato nel 2004, quando
era in regime di art. 41-bis ord. pen, allega quindi pagina 11 della sentenza in

collaboratore Lombardo aveva dichiarato: “fino al 2004 noi del clan Bottaro Attanasio fornivamo solo hashish al gruppo di via Italia; dal settembre 2004
iniziammo a trattare pure cocaina”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che il ricorso appare fondato limitatamente alla parte
in cui censura la condanna per la partecipazione con ruolo direttivo ad
un’associazione dedita al traffico di droghe pesanti e per i reati fine.
Va premesso che, nel tentativo di porre ordine al ricorso, redatto
personalmente dall’Attanasio, occorre partire, seguendo una logica di
pregiudizialità, dalle censure che pongono questioni di violazioni di legge,
ovverosia questioni prospettate come esclusivamente di diritto, che risultano
essere tutte quantomeno infondate.
Verranno quindi esaminate le censure, per così dire, ibride, che denunziano
assieme violazione di legge ed errate valutazioni, anch’esse non fondate e che
sono per lo più riconducibili a motivo di vizio di motivazione.
Si esamineranno quindi le censure sulla motivazione, che sono da accogliere
esclusivamente per gli aspetti all’inizio evidenziato
2.

Nel primo gruppo può iscriversi, per la assertività con la quale è

formulata, la denunzia di “nullità della sentenza di primo grado scritta dal
Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catania prima della fine del
procedimento” e di mancanza di motivazione della stessa. Si tratta peròdi
censura meramente provocatoria e manifestamente infondata.
La sentenza di primo grado è stata ritualmente depositata dopo la lettura
del dispositivo in udienza e consta di quasi 300 pagine di motivazione, delle quali
molte dedicate, anche esclusivamente, all’Attanasio e alle sue tesi difensive. E’
chiaro che il ricorrente intende dire che si trattava di decisione precostituita, e
che la decisione sarebbe dunque apparente. Ma entrambi le asserzioni sono
apodittiche e contrastano con la piana lettura del documento sentenza, da cui
emerge l’obiettivo sforzo compiuto dal giudicante di dare ragione della sua
decisione, che nulla indica preconfezionata (fermo restando la possibilità di per
l’imputato di criticarla).
2.1. La denunzia di violazione delle legge processuale per la mancata
astensione del Presidente del Collegio della Corte di appello che ha redatto la
sentenza impugnata, dott. Mignemi, è quindi inammissibile.

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data 14 novembre 2013, depositata 1’11 febbraio 2014, del Giudice dell’udienza
preliminare del Tribunale di Catania, in cui si riferisce che il 6 ottobre 2010, il

La causa d’incompatibilità (o l’addebito di pregiudizio) non costituisce mai,
nel sistema del codice, di per sé causa di nullità, non costituendo condizione di
capacità del giudice a mente dell’art. 33 cod. proc. pen., ed essendo per essa
previsti i diversi rimedi della astensione e della ricusazione, da far
tempestivamente valere con la procedura degli art. 37 e ss. cod. proc. pen. (tra
moltissime: Sez. U., n. 23 del 24/11/1999, Scrudato; Sez. 2, n. 30448 del
26/06/2003, Bova; Sez. 5, Sez. 5, n. 39474 del 06/11/2006, Nardo). E siffatta
disciplina è stato più volte ritenuta indenne da vizi di legittimità costituzionale
(v. C. cost. sentenza n. 473 del 1993; ordinanze n. 36 del 1999, n. 346 del
2000). Sicché nell’ipotesi in cui l’interessato non abbia fatto valere nella sede di
strumento a lui riconosciuto della ricusazione, non può dolersene con gli ordinari
mezzi d’impugnazione.
2.2. Infondata, ai limiti dell’inammissibilità, è la deduzione relativa
all’linutilizzabilità, della missiva 12.4.2001, trovata all’Attanasio, che si sostiene
mai formalmente “sequestrata”, fondata sull’assunto che si sarebbe trattato di
corrispondenza.
Anzitutto la tesi che la missiva non risulta mai formalmente sequestrata è
stata smentita dai giudici del merito ed è genericamente ripetuta nel ricorso. E
correttamente la Corte di appello ha rilevato che, trattandosi di documento
formato dall’imputato al di fuori del processo e trovato in suo possesso al
momento dell’arresto, era in ogni caso acquisibile e valutabile.
E’ da escludere quindi che la sua acquisizione dovesse seguire le regole
previste per la corrispondenza.
Al riguardo, come puntualizzato da Sez. U, n. 28997 del 19/04/2012, va
osservato che la materia delle intrusioni investigative sulla “corrispondenza”,
regolata dall’art. 254 cod. proc. pen. (che costituisce disciplina speciale) ha ad
oggetto «il sequestro della corrispondenza presso gestori (anche privati) di
servizi postali jo, deve ritenersi, di quella che si trovi in luoghi accessori quali le
cassette postali o che sia in via di recapito tramite il portalettere)»; mentre
«nessuna speciale ragione di tutela – salve le peculiari esigenze attinenti ai
rapporti tra imputato e difensore (artt. 103 cod. proc. pen. e 35 disp. att. cod.
proc. pen.) e le limitazioni imposte alla polizia giudiziaria nell’acquisizione di
“plichi sigillati o altrimenti chiusi”, distinti dalla “corrispondenza” (art. 353,
comma 1, cod. proc. pen.) – interferisce con l’adozione di un ordinario
provvedimento di sequestro da eseguire in qualsiasi luogo ove si trovino lettere o
pieghi non ancora avviati dal mittente al destinatario o già da quest’ultimo
ricevuti, in quanto simili cose non sono appunto “corrispondenza”, implicando
tale nozione un’attività di spedizione in corso o alla quale il mittente abbia dato
comunque impulso consegnandola ad altri per il recapito».
2.2. Del tutto generica e manifestamente infondata è infine la denunzia di
violazione di legge con riferimento alla dichiarazione di delinquenza abituale, sul
presupposto che i precedenti dell’Attanasio riferendosi a mere violazioni della
sorveglianza speciale, non già dell’obbligo di soggiorno, costituirebbero ipotesi
contravvenzionali. A fronte delle condanne definitiva per delitti, non è
ammissibile la pretesa di una rivalutazione, del tutto aspecificamente formulata,
della natura dei titoli ai fini della recidiva o della dichiarazione di abitualità.

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merito l’incompatibilità o la situazione pregiudicante asserita mediante lo

Per mera completezza, può solo aggiungersi che è principio consolidato che
il delitto previsto dall’art. 9, comma 2, I. n. 1423 del 1965, era riferibile
all’inosservanza degli obblighi e delle prescrizioni inerenti alla misura di
prevenzione della sorveglianza speciale applicata con obbligo o divieto di
soggiorno, quali che fossero: a prescindere, cioè che si riferissero segnatamente
al soggiorno o, in sé, alla sorveglianza speciale (Sez. 1, Sentenza n. 2217 del
13/12/2006; Sez. 1, Sentenza n. 1485 del 21/12/2005).

principi in materia di valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia,
che è, in diritto, infondata.
Con la sentenza di annullamento, la Corte di cassazione non ha rilevato
violazioni di legge in senso stretto, fissando un principio cui era necessario
attenersi, ma un (grave) difetto di motivazione, rinviando al giudice del merito
perché procedesse a un nuovo esame in ordine alla valutazione delle
dichiarazioni dei collaboratori, lasciandolo libero nelle soluzioni. Il giudice del
rinvio ha rimotivato sulla attendibilità e credibilità dei dichiaranti e siffatta
motivazione potrà essere più o meno esaustiva e censurabile, ma la censura che
in relazione a ciò è prospettabile, resta una censura che attiene alla motivazione
e che non è riferibile, perciò, all’art. 627 cod. proc. pen.
3.1. Il ricorrente denunzia inoltre in più passi la inutilizzabilità ovvero
l’errata valutazione, in violazione dell’art. 195 cod. proc. pen., delle dichiarazioni
de relato dei collaboratori, laddove non indicano la fonte di riferimento o la fonte
di riferimento non era stata assunta, ovvero addirittura risultavano smentiti dalla
fonte di riferimento.
Le deduzioni relative all’inutilizzabilità sono in parte infondate e in parte
irrilevanti.
Correttamente la Corte di appello ha rilevato che la regola dell’art. 195 non
poteva estendersi al caso che le dichiarazioni di riferimento provenissero da
coimputato. Come osserva Sez. U, sent. n. 20804 del 29/11/2012, «Tale opzione
ermeneutica è legittimata, innanzi tutto, dal tenore letterale della norma, la
quale, prevedendo che “il giudice, a richiesta di parte, dispone che queste [cioè
le fonti dirette] siano chiamate a deporre” (comma 1) e “può disporre anche
d’ufficio l’esame” (comma 2), presuppone in capo all’organo giudicante il potere
di ottenere la presenza in dibattimento della fonte diretta ai fini dell’esame e
quindi i connessi poteri, quale quello di disporre l’accompagnamento coattivo
(artt. 132, 133, 490 cod. proc. peri.), che non può avere come destinatario
l’imputato, il quale può essere sottoposto ad esame solo se ne fa richiesta o vi
consente (art. 208 cod. proc. pen.). Milita, inoltre, a favore di tale
interpretazione l’argomento logico-sistematico che fa ritenere incongruo – a
seconda dei casi – l’obbligo o la facoltà del giudice di escutere la fonte diretta,
che, identificandosi con l’imputato, non può essere chiamata a rendere
dichiarazioni che possono pregiudicare la sua posizione (…)». La questione
relativa all’assunzione come “teste di riferimento” del coimputato Urso, è dunque
manifestamente infondata.
A diversa conclusione dovrebbe pervenirsi, sul piano formale, con

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3. Al secondo gruppo (di censure “ibride”) può ascriversi anzitutto la
denunzia di violazione dell’art. 627 cod. proc. pen., per l’asserita elusione dei

riferimento al Cassia, la cui richiesta di audizione è stata rigettata perché
imputato di reato connesso (sul punto, e sulla estensione della regola, invece, al
dichiarante di riferimento imputato di reato connesso, cfr. ancora Sez. U. n.
20804 del 29/11/2012). La questione è tuttavia irrilevante, giacché le
circostanze riferibili al Cassia, e ai suoi dissapori con l’Attanasio, emergono
anche aliunde (lettera dell’Attanasio; intercettazioni: entrambe più che
plausibilmente interpretate) e le dichiarazioni sul punto dei collaboratori non
sono comunque decisive.
E’ da escludere, quindi, che la regola possa essere utilmente evocata
dall’Attanasio per sostenere la necessità di riascoltare, a confronto, o ascoltare
o avrebbe potuto rendere dichiarazioni particolari difformi rispetto a quelle
acquisite.
Né in relazione al rigetto di richieste di tal fatta è comunque prospettabile
una violazione di legge, se non altro perché si procedeva con rito abbreviato, e
neppure ricorrevano, come correttamente osservava dalla Corte d’appello, le
condizioni dell’art. 603 cod. proc. pen.
Infondata appare anche la deduzione relativa alla impossibilità di
considerare l’attività direttiva dell’Attanasio in seno al sodalizio in esame
afferente il patrimonio di conoscenza comune, e, dunque, inutilizzabili le
dichiarazioni sul punto ai sensi dell’art. 195, comma 7, cod. proc. pen., perché
provenienti da soggetti non in grado di indicare con precisi la fonte. Oggetto del
mezzo di prova disciplinato dall’art. 195, sono circostanze e fatti non percepiti
personalmente dal dichiarante, ma a costui riferiti da altri e, quindi, frutto di
conoscenza, per così dire, di “seconda mano”. Se il dichiarante riferisce cose
come da lui percepite, non rientra nel novero dei dichiaranti de relato e a lui non
si applica la disciplina in esame. Dunque, o è credibile o non lo è. E in caso in cui
un appartenente ad un sodalizio criminale riferisce di sapere che in
quell’associazione – o a sodalizio con cui il suo ha avuto a che fare – milita o,
addirittura, ha ruolo direttivo una certa persona, riferisce cose di cui ben può
presumersi, in base a massima d’esperienza, che ha avuto conoscenza diretta,
stratificata nell’esperienza attraverso contatti, rapporti, comuni discorsi e persino
allusioni: come, d’altronde è normale avvenga in ogni organizzazione sociale
ristretta, nella quale sarebbe strano che il partecipe non sappia con chi deve
quotidianamente rapportarsi e confrontarsi, specie al vertice.
Quanto alla affermata errata valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori,
laddove non confermate o non confermabili o, asseritamente, smentite, si tratta,
all’evidenza, di censure relative alla motivazione, che vanno valutate in più
ampio contesto e di cui si dirà.
3.2. Manifestamente infondata é, inoltre, le denunzia di violazione di legge
per il mancato accoglimento della richiesta, avanzata in data 23.10.2012,
relativa audizione dell’ispettore Biagio Ciccullo sulla interpretazione della
intercettazione 13.4.2001 nella casa circondariale di Viterbo (il teste avrebbe
escluso in altro procedimento che si riferisse a droga). In disparte il fatto che si
era proceduto con giudizio abbreviato, correttamente la Corte di appello ha
osservato che l’interpretazione di un dato processuale non poteva essere affidata
a un teste (verosimilmente, per altro, non a conoscenza dell’intero contesto e di

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un dichiarante o un terzo, da lui stesso menzionato sull’assunto che avrebbe reso

tutti gli sviluppi delle prove). Soprattutto, però, la deduzione non è riferibile a
violazione di legge, giacché il modulo procedimentale seguito implica
l’accettazione del compendio probatorio acquisito e la impossibilità di predicare
un diritto dell’imputato alla prova, salvo che non abbia condizionato l’accesso al
rito a una richiesta di tal fatta.
La congruità dell’interpretazione data dai giudici di merito all’intercettazione
cui si riferiva la richiesta sarà quindi semmai suscettibile di valutazione sotto
l’aspetto della congruità della motivazione.
3.3. Infondata è anche la censura relativa alla violazione della legge
sostanziale con riferimento alla omessa esclusione della circostanza aggravante
mafiosa non potrebbe essere ravvisata rispetto ad atti che rappresentano il
perseguimento del programma criminoso dell’associazione, posti in essere dagli
stessi associati, e che l’aggravante potrebbe essere contestata solo o a non
associati oppure ad associati per reati estranei al programma dell’associazione.
In tema basterà ricordare che, come rilevato da Sez. U, n. 10 del
28/03/2001, la circostanza aggravante in esame, nelle due differenti forme
dell’impiego del metodo mafioso nella commissione dei singoli reati e della
finalità di agevolare, con il delitto posto in essere, l’attività dell’associazione per
delinquere di stampo mafioso, è certamente configurabile anche con riferimento
ai reati-fine commessi dagli appartenenti al sodalizio criminoso, giacché «a
mente dell’art. 416-bis c.p. l’associato risponde di un contributo permanente allo
scopo sociale, contributo che prescinde dalla commissione dei delitti singoli:
qualora egli a questi concorra e la sua condotta sia sorretta dal dolo specifico di
agevolare l’attività dell’associazione, tale fattore psicologico si prospetta siccome
ulteriore e pertanto potrà essergli ascritto ex art. 7 d.l. 152/91»; e, inoltre, «il
reato associativo postula un effettivo apporto alla causa comune mentre la
previsione della norma speciale è relativa a semplice volontà di favorire,
indipendentemente dal risultato, l’attività del gruppo e cioè qualsiasi
manifestazione esteriore del medesimo», che «non coincide con il perseguimento
dei fini sociali in cui si sostanzia invece il dolo specifico della figura di cui all’art.
416-bis».
I profili relativi all’errata valutazione della sussistenza in concreto di tale
aggravante, nella duplice forma, attengono quindi alla motivazione, e se ne
tratterà dunque nel prosieguo.
3.4. Non sono, infine, riferibili a violazione di legge, ma a valutazioni di
merito, sull’attendibilità dei dichiaranti, le deduzioni riferite alle errate valutazioni
delle contraddizioni tra i dichiaranti, alla estensione della contestazione alle
droghe “pesanti”, alla prova della realizzazione dei reati.
4. Passando quindi ad esaminare le censure relative alla motivazione, deve
brevemente anzitutto ricordarsi che secondo la sentenza impugnata, la prova
della colpevolezza del ricorrente riposava sulle dichiarazioni dei collaboratori,
confortate dal contenuto della missiva a firma dell’Attanasio e dalle conversazioni
intercettate.
Il PICCIONE costituiva la fonte principale; aveva iniziato a collaborare nel
2002 a seguito di decisione che appariva spontanea ed autonoma; non

10

dell’art. 7 d.l. n. 152 del 1991, sull’assunto che l’aggravante della finalità

risultavano elementi per escluderne la credibilità soggettiva (non emergevano in
particolare astio o rancore o comunque intenti vendicativi o calunniatori); le sue
dichiarazioni erano state già ritenute attendibili in numerosi procedimenti definiti
con sentenze irrevocabili; si era autoaccusato altresì di gravi reati; la circostanza
che non ricevesse uno stipendio non ne escludeva la credibilità, non costituendo
requisiti imprescindibili della partecipazione mafiosa la remunerazione stabile ad
opera del clan, con i cui membri risultavano persistenti e comprovate
frequentazioni e rapporti che costituivano la base di un patrimonio conoscitivo di
sicura rilevanza; l’affermazione contenuta nella sentenza di primo grado, relativa
la frequentazione tra Piccione e Attanasio per gran parte del ’99, spiccava
aver avuto i primi contatti con i membri del gruppo mafioso nel 1998 e di aver
conosciuto l’Attanasio solo dopo la scarcerazione avvenuta nel dicembre 2000; il
collaboratore aveva quindi dettagliatamente riferito dei traffici di droga del clan
del canale di rifornimento di cui si serviva, di coloro che svolgevano l’attività di
corriere e quella di spaccio, così delineando l’esistenza di un’associazione per
delinquere finalizzata alla detenzione e alla cessione di stupefacente, cui
fornivano riscontro le intercettazioni telefoniche e ambientali (specie quelle nella
Opel Astra descritta dal Piccione e in uso al “corriere” Mancarella) nonché
l’attività di osservazione controllo eseguita dalla polizia giudiziaria e sfociata nel
sequestro di stupefacente.
Quanto alla specifica posizione del Attanasio, il Piccione aveva dichiarato che
il clan si occupava specificamente di droga (dapprima hashish e poi, a partire dai
primi mesi del 2002, anche di droga “pesante”) su iniziativa dell’Attanasio che
aveva voluto a tale scopo (durante un periodo di detenzione comune)
l’inserimento nel gruppo di Francesco Toscano, il quale, per tale attività,
percepiva uno stipendio (il primo stipendio al Toscano era stato consegnato alla
presenza dello stesso Piccione da tale Libero Romano, nell’occasione il Toscano
aveva detto che l’Attanasio gli aveva promesso uno stipendio iniziale di 2 milioni,
il Romano aveva risposto che non c’erano problemi e aveva ordinato a colui che
l’accompagnava di consegnare un altro milione; che Patrizia Bottaro, moglie del
Attanasio, era fittiziamente impiegata in una delle tre “yogurterie” acquistate con
i proventi del traffico di droga e gestite dalla famiglia Cassa, la quale non aveva
versato la quota promessa a Salvatore Bottaro, ragion per cui l’Attanasio non era
in buoni rapporti con loro; che Mancarella impiegava per i viaggi di rifornimento
anche una Toyota berlina bianca acquistata dall’Attanasio e che da ultimo era
stato utilizzata dall’avvocato Biagio Poidomani.
Avuto riguardo alle contestazioni difensive, in relazione a quella secondo cui
il Piccione avrebbe in realtà escluso che l’Attanasio si occupava di droga, la Corte
ha osservato che il Piccione aveva in realtà chiarito che l’Attanasio non se ne
interessava, per lo più, “operativamente”, intendendo, cioè, materialmente: e
tanto, lungi dall’essere in contraddizione era affatto coerente con il ruolo per lui
delineato, di organizzatore, ovvero di soggetto che forniva direttive e distribuiva
incarichi.
Proseguiva osservando che neppure coglieva nel segno la censura relativa
alla Toyota bianca e all’assenza di prova del suo acquisto ad opera dell’avv.
Poidomani, giacché il Piccione non aveva parlato di un acquisto, ma solo di

11

senz’altro di eccesso di sintesi, ma Piccione aveva effettivamente affermato di

disponibilità.
Infine, secondo la Corte di merito, non bastava ad escludere ogni possibilità
di contatto dell’Attanasio con altri detenuti e, perciò, il conferimento dell’incarico
al Toscano durante il periodo della, accertata, detenzione nella stessa casa di
reclusione, la circostanza che l’Attanasio fosse all’epoca ristretto nella sezione di
massima sicurezza. Mentre era pacificamente dimostrato che immediatamente
dopo la sua scarcerazione il Toscano aveva effettivamente assunto il ruolo di
referente del sodalizio per la droga.
Costituivano quindi elementi di riscontro alle dichiarazioni del Piccione la
missiva rinvenuta in possesso dell’imputato in occasione del suo arresto il 13
spese legali ad opera non dei familiari ma di “tutti quelli che facevano questo
movimento di sigarette”) e le conversazioni intercettate.
In ordine alla missiva, avuto alle contestazioni articolate negli atti d’appello
(e premesso che si trattava di documento sicuramente utilizzabile), si rilevava
che essa concerneva il periodo in contestazione, essendo datata 2001; non
poteva sicuramente intendersi riferita al mero contrabbando di sigarette, la cui
commissione ad opera di Concetto Cassia risaliva all’anno 1992 e non era mai
stato tra i reati fini del clan mafioso; nominava infine chiaramente soggetti che
materialmente si occupavano del traffico di stupefacenti, che Attanasio si
limitava, di regola, a organizzare e dirigere. Il riferimento della missiva al traffico
di droga risultava poi confermato dal Troni.
I colloqui intercettati, effettuati in carcere tra Salvatore Bottaro, sua moglie
e sua figlia Patrizia (moglie di Attanasio), confermavano l’esistenza di contrasti
tra il Cassia e l’Attanasio a causa del fatto che questo non versava parte del
ricavato della sua attività al Bottaro, e la circostanza che si trattasse di ricavi
provenienti dalle yougurterie finanziate con il traffico di droga, secondo quanto
riferito dal Piccione, spiegava il coinvolgimento e l’atteggiamento dell’Attanasio.
D’altra parte in una intercettazione del 16.8.2002, pur non facendo riferimento
ad Attanasio, Mancarella e tale Musso evocavano la circostanza che il Cassia
spacciava droga per suo conto pur proponendosi come espressione del gruppo,
dunque in contrasto con gli interessi il clan; e il collaboratore Lombardo aveva
confermato che tra l’Attanasio e il Cassia esistevano contrasti perché il secondo
spacciava “facendosi i fatti suoi”.
Da alcune conversazioni intercettate nella vettura del Mencarella, emergeva
inoltre chiaramente, a prescindere dalla veridicità dello specifico episodio della
punizione a soggetti “indisciplinati” riferito, che il Mencarella svolgeva la sua
attività di corriere, per il “fumo” e non per droghe pesanti, avendo reale timore
delle reazioni dell’Attanasio in caso di una sua eventuale disubbidienza. E la
verosimiglianza di siffatto timore non poteva essere esclusa solo per lo stato di
detenzione dell’Attanasio, in regime di art. 41-bis ord. pen. solo da epoca
successiva, che non era sufficiente ad escludere ogni possibilità di comunicazione
con l’esterno.
Alta fonte importante era costituita dalle dichiarazioni dell’AGLIANÒ,
appartenente a sodalizio contrapposto, che fungevano da riscontro a quelle del
Piccione nella parte in ribadivano che il gruppo Attanasio – Bottaro aveva e
pretendeva di avere il monopolio del traffico di hashish a Siracusa e che Toscano

12

aprile 2001 (indirizzata a Concetto Cassia, in cui si parlava del pagamento delle

per conto di quel clan aveva preteso che il sodalizio del’Aglianò non smerciasse
nel territorio. D’altronde, la circostanza che l’Attanasio rivestisse ruolo
dirigenziale nell’associazione mafiosa, provata dalla sentenza nel processo
“Libra”, e dalle convergenti dichiarazioni di Piccione, Stupore, Lombardo e, con le
debite precisazioni, del Troni, rappresentava di per sé un sicuro elemento
indiziario di corredo. E analogo rilievo indiziario, pur limitato [di “corredo”],
poteva riconnettersi alle dichiarazioni dello STUPORE, che non aveva parlato dei
fatti di droga, ma aveva ribadito il ruolo egemone dell’Attanasio nell’ambito del
suo clan.

LOMBARDO aveva iniziato a collaborare nel 2010, aveva confessato
numerosi delitti attinenti alla consorteria mafiosa cui apparteneva, ammettendo
di avervi partecipato e di essere stato responsabile del settore stupefacenti,
tenendo i contatti con i grossisti. Nessun elemento consentiva di dubitare della
spontaneità della sua collaborazione e della sua credibilità intrinseca.
Contrariamente a quanto affermato dalla difesa, non aveva mai ammesso di
avere appreso dal quotidiano di Siracusa i fatti processuali, essendosi invece
limitato ad affermare che quel giornale “lo leggevano tutti”. Con riguardo ai fatti
in esame aveva ribadito che il clan Bottaro – Attanasio gestiva lo spaccio
dell’hashish a Siracusa; che siffatto stato di cose era stato imposto
personalmente da Attanasio già prima che uscisse dal carcere nel 1999; che la
principale fonte di rifornimento per il gruppo proveniva dalla piazza di Palermo,
ove venivano acquistati periodicamente grossi quantitativi; che i proventi dello
spaccio servivano per acquistare altro hashish, per finanziare il clan e per
l’erogazione degli “stipendi”. Aveva poi riferito di specifici episodi, relativi a
ritorsioni ordinate dall’Attanasio, alle direttive sulle modalità di consegna e sui
prezzi da praticare da questo impartite, alla organizzazione e alla partecipazione
dell’Attanasio ad una spedizione a Palermo per l’acquisto di una grossa partita di
hashish; alla frequenza degli approvvigionamenti (ogni 20 giorni circa) e ai
quantitativi acquistati (60 – 80 chili per volta). E degli episodi specifici
raccontati, nessuno poteva considerarsi realmente smentito (secondo la Corte, il
fatto che gli stessi non risultassero altrimenti riscontrati non dimostrava la falsità
o l’inattendibilità del collaboratore, né privava di valore probatorio le
dichiarazioni rese dallo stesso per la parte in cui coincidevano con quelle degli
altri collaboratori e con gli altri elementi acquisiti).
TRONI, già condannato per associazione di stampo mafioso e tre omicidi,
aveva iniziato a collaborare nel dicembre 2011, ed aveva linearmente dichiarato
che ciò aveva fatto per poter fruire di benefici penitenziari. Anche per lui non
v’erano ragioni per dubitare della sua credibilità e attendibilità (giacché
l’interesse al trattamento premiale non poteva ritenersi di per sé indice di
falsità). Più in particolare, Troni aveva ammesso di aver fatto parte del clan
Bottaro – Attanasio, di cui il Bottaro era capo indiscusso e Attanasio era invece
un dei “responsabili” (assieme ad altri soggetti che avevano il compito di
organizzare le attività illecite del gruppo e potere decisionale nei confronti degli
affiliati), con ruolo di particolare rilievo grazie al matrimonio della figlia del capo.

13

A tali elementi, già valutati nelle precedenti fasi processuali, s’aggiungevano
quindi ora le dichiarazioni dei nuovi collaboratori, sentiti nel giudizio di rinvio:
Lombardo e Troni.

Aveva dichiarato che aveva appreso dell’organizzazione del traffico di
stupefacenti nel 2001; che nel 2002 l’Attanasio, trasferito anche lui nel carcere
di Siracusa, gli aveva riferito come e chi aveva individuato il canale di
rifornimento a Palermo. L’attività concerneva (inizialmente) hashish; solo dal
2004 (successivamente alla scarcerazione del Bottaro) il clan si era occupato
anche di cocaina; il monopolio era assicurato da un controllo capillare e severo,
con l’irrogazione di punizioni nei confronti di chi si permetteva di agire
diversamente dagli ordini. Ammetteva di avere visionato le ordinanze di custodia
con l’Attanasio, sottoposta a censura.
Secondo il Troni la circostanza che il gruppo si fosse dato, successivamente
alla scarcerazione del Bottaro, anche al traffico di droga pesante, gli sarebbe
stata riferito dal Lombardo, che non sapeva se vi era coinvolto l’Attanasio,
all’epoca in regime di art. 41-bis ord. pen. E al proposito la Corte osservava che
Lombardo aveva smentito quanto detto dal Troni, ma il contrasto non inficiava le
altre dichiarazioni del collaboratore, per la parte in cui risultavano conformi a
quelle delle altre fonti e riscontrate; d’altra parte la smentita del Lombardo
neppure inficiava le dichiarazioni del Piccione, che pure aveva parlato del traffico
di cocaina gestito dal Toscano per conto dell’Attanasio, e che erano confortate
dal sequestro di 40 grammi di cocaina al Toscano.
5. Emerge dunque dalla sentenza impugnata che la Corte di appello ha
ampiamente riportato e analizzato le dichiarazioni dei collaboratori, così come il
contenuto della missiva e le intercettazioni ritenute più rilevanti per la posizione
dell’Attanasio. Ha sottoposto detti elementi a vaglio e ha valutato come
intrinsecamente ed estrinsecamente credibili le dichiarazioni dei collaboratori,
rispondendo alle censure al proposito articolate dal ricorrente, laddove rilevanti.
In relazione alla motivazione così resa, impropriamente il ricorrente evoca il
travisamento delle prove, riferendosi nella sostanza, invece, ad asseriti errori di
valutazione: in tesi macroscopici, ma pur sempre concernenti l’apprezzamento
del significato (probatorio) degli elementi acquisiti e non un travisamento per
invenzione od omissione, ovvero un errore revocatorio, dei significanti.
Infondate devono ritenersi, quindi, le doglianze, sotto molteplici aspetti
articolate, riferite alla valutazione di attendibilità dei collaboratori, e alla
affermata mancanza di risposta alle censure difensive sul punto, giacché la Corte
si è plausibilmente espressa al proposito e la valutazione resa, appannaggio dei
giudici del merito, è incensurabile in questa sede in quanto esente da illogicità
manifeste o da significative omissioni.
6. Neppure hanno fondamento le censure che, appuntandosi su aspetti tanto
marginali quanto in sé stessi insignificanti, sostengono le lacune del compendio
probatorio con riferimento alla partecipazione e al ruolo dell’Attanasio nell’ambito
del sodalizio dedito al traffico di hashish sulla piazza di Siracusa, a vantaggio e
sotto l’egida del clan Bottaro.
Del tutto plausibilmente la Corte di appello ha ritenuto che della
supervisione e direzione di tale sodalizio da parte dell’Attanasio, anche se
ristretto in carcere, riferivano in termini di tranquillante certezza, e fornendosi

14

cautelare degli affiliati, per consigliarli, e di avere intrattenuto corrispondenza

reciproco riscontro, Piccione, Lombardi e Troni, e che in ordine a tale fatto e
ruolo importanti elementi di riscontro erano desumibili dalla missiva e dalle
conversazioni intercettate, sia l’una che le altre parimenti attentamente lette e
logicamente valutate.
E correttamente ha osservato che eventuali mancanze di riscontro su aspetti
marginali o su fatti specifici di contorno non potevano incidere sulla tenuta del
nucleo essenziale dell’accusa: che consisteva nel fatto che era l’Attanasio, pur
stando in carcere, a tenere le fila dell’organizzazione nominandone i responsabili
e pretendendo che gliene si rendesse conto.
dell’obiezione che non bastava la mera detenzione dell’Attanasio – specie prima
della sottoposizione al regime del 41-bis ord. pen. – a inibirne i contatti con gli
altri sodali, le stesse non soltanto non sono affatto implausibile, ma appaiono
addirittura – purtroppo – conformi a regole di esperienza.
Le medesime considerazioni in ordine alla correttezza delle valutazioni
effettuate devono farsi per conseguenza anche con riferimento all’aggravante
dell’art. 7 d.l. n. 152 del 1991, alla luce del rilievo che tutto il materiale
probatorio di cui si è dato conto convergeva nel senso che l’attività
dell’associazione dedita al traffico di hashish era, non solo diretta per conto del
sodalizio mafioso Bottaro – Attanasio, ma serviva altresì a foraggiare detto
sodalizio.
Può soltanto aggiungersi, con riferimento alla ripetuta deduzione di
mancanza di specifica risposta ad alcune osservazioni difensive relative a tali
aspetti, che è principio consolidato quello secondo cui – specie a fronte di
censure che, come quelle articolate dal ricorrente, si dispiegano in mille rivoli,
pretendendo di sindacare anche il lessico operato e soffermandosi su ogni piega
del discorso giustificativo, ma rifuggendo dal suo insieme – la mancanza di
dettagliata e specifica replica non determina incompletezza della motivazione, e
non può considerarsi indicativa di inadeguata disamina, se si tratta di censure
che sono di per sé inammissibili per il valore meramente polemico che le
connota, che cadono su aspetti chiaramente marginali se non addirittura del
tutto irrilevanti e che possono, e devono, considerarsi, implicitamente e
complessivamente, disattese perché incompatibili con la struttura e con
l’impianto della motivazione, ovvero che possono ritenersi da essi assorbite (Sez.
U, n. 16103 del 27/03/2002, in motivazione).
7. E’ fondata, invece, la censura concernente il fatto che l’associazione
diretta dall’Attanasio fosse dedita (anche) al traffico di droghe “pesanti.
Sul punto, gli elementi di prova indicati dalla sentenza impugnata appaiono
difatti intrinsecamente insufficienti.
In primo grado della estensione dei traffici alla cocaina aveva parlato, a
quanto riferiscono le sentenze di merito, soltanto il Piccione.
Il Tribunale aveva ritenuto di poter trarre riscontro a dette dichiarazioni
dalla circostanza che al Toscano (colui che per conto di Attanasio gestiva lo
spaccio di hashish a Siracusa) erano stati sequestrati, in occasione del suo
arresto, 40 grammi di cocaina.
Ora però – in disparte ogni considerazione sul fatto che, effettivamente, non

15

Quanto alle considerazioni dei giudici del merito sulla non conducenza

risulta se e come fosse tagliata e confezionata tale sostanza e neppure risulta
verificato se il Toscano fosse tossicodipendente da cocaina, come sostiene il
ricorrente – il riscontro potrà pure considerarsi “oggettivo”, ma non è in alcun
modo individualizzante per quanto concerne il coinvolgimento dell’Attanasio,
neppure con limitato riferimento a quella singola detenzione. In altre parole, dal
mero sequestro di alcuni grammi di cocaina in possesso di uno dei membri di
un’associazione dedita al traffico di hashish, non poteva farsi derivare, con la
certezza necessaria per una sentenza di condanna, l’affermazione che tutta
l’associazione fosse dedita altresì al traffico di cocaina.
acquisizioni del giudizio d’appello. Il Lombardi avrebbe riferito all’Attanasio la
sola attività dell’associazione relativa al traffico di hashish, mentre il Troni
avrebbe parlato anche di traffici di cocaina, ma – secondo quanto riferisce la
sentenza impugnata – intrapresi dall’associazione solo dal 2004, dopo la
scarcerazione del Bottaro, che non si dice quando avvenuta e che il ricorrente,
non smentito, sostiene avvenuta a settembre 2004: dunque oltre la data cui si
riferisce la contestazione, formulata in forma chiusa, con riferimento a fatti
commessi sino a marzo 2014.
Analoghe considerazioni andrebbero fatte con riguardo al riferimento alle
intercettazioni telefoniche concernenti i coimputati, assunte genericamente a
riscontro, se non fosse che, per l’appunto, non si dice neppure da quali
intercettazioni e da quali contenuti delle stesse poteva trarsi il coinvolgimento
dell’Attanasio nella direzione dei traffici concernenti la cocaina.
Né può considerasi elemento neutro, in tale contesto, che gli altri
collaboratori, sempre stando alla sentenza impugnata, abbiano fatto riferimento,
per ciò che concerne Attanasio e per l’attività compiuta dall’associazione da lui
controllata entro la data della contestazione a lui riferibile, esclusivamente allo
smercio di hashish sulla piazza di Siracusa, e che il Lombardo avrebbe addirittura
smentito il Troni su quanto da questo dichiarato.
Sicché resta, per tale aspetto, a carico dell’Attanasio la dichiarazione di un
solo pentito, che ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., non può
considerarsi sufficiente.
8. Analoghe considerazioni vanno fatte per la contestazione relative alla
diretta partecipazione dell’Attanasio a singoli episodi di acquisto (detenzione e
cessione) di stupefacente, secondo il capo d’imputazione (che non risulta mai
corretto) del tipo hashish, eroina e cocaina, in quantitativi ingenti.
Del suo effettivo concorso in questi episodi, a ben guardare, la sentenza
impugnata non parla, neppure per contestare quelle deduzioni difensive che si
riferivano al coinvolgimento dell’Attanasio nei viaggi per l’approvvigionamento di
ingenti quantitativi di stupefacente a Palermo, che sembrerebbero, per altro,
riferiti al solo hashish e da un solo pentito.
Piuttosto, dalle decisioni di merito sembra emergere che i giudici di primo e
secondo grado abbiano dato per assodato che la direzione dell’associazione
comporti, ex se, il concorso nei reati fine.
Così tuttavia non è, dal momento che se è vero che detto ruolo può essere
valorizzato alla stregua di un indizio, da solo non è sufficiente.

16

La situazione probatoria non si è consolidata neppure con le nuove

In base ai principi generali in tema di concorso di persone nel reato, non è
consentito, difatti, presumere l’automatica responsabilità né di un partecipe né di
un capo, o comunque di un soggetto in posizione gerarchicamente dominante,
per i delitti compiuti dagli appartenenti al sodalizio, anche se riferibili
all’organizzazione e inseriti nel quadro del programma criminoso, giacché dei
reati-fine rispondono soltanto coloro che, materialmente o moralmente, hanno
dato un contributo effettivo, causalmente rilevante, volontario e consapevole
all’attuazione della singola, specifica, condotta criminosa (che si richiede dunque
fosse segnatamente conosciuta e perlomeno avallata). E nell’ordinamento
vigente deve ritenersi esclusa la configurabilità di qualsiasi forma di anomala

Il principio non può poi non valere, a maggior ragione, per colui che eserciti
il suo ruolo, dominante, prevalentemente dal carcere: in relazione al quale può
dunque con facilità ammettersi che abbia la possibilità di impartire istruzioni di
massima; meno facilmente – e comunque solo sulla scorta di un’adeguata
motivazione, nel caso in esame assolutamente mancante – che sia anche in
grado di contribuire effettivamente, nel senso sopra specificato, alla realizzazione
dei singoli reati fine.
9. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata
relativamente al reato di cui al capo A), limitatamente all’ipotesi della
finalizzazione dell’associazione al traffico di eroina e di cocaina, nonché
relativamente al reato di cui al capo B), con rinvio per nuovo giudizio al riguardo
ad altra sezione della Corte di appello di Catania.
Restano allo stato assorbite le censure in
ordine il trattamento
sanzionatorio e al diniego delle circostanze attenuanti generiche, dovendosi
rilevare come l’eventuale ridimensionamento anche della sola contestazione
relativa al reato associativo, avuto riguardo alla sua finalizzazione, non potrà non
ripercuotersi quantomeno sulla commisurazione della pena.
Il ricorso va per il resto rigettato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata relativamente al reato di cui al capo A),
limitatamente al traffico di eroina e di cocaina e relativamente al reato di cui al
capo B), e rinvia per nuovo giudizio al riguardo ad altra sezione della Corte di
appello di Catania.
Rigetta nel reso il ricorso.
Così deciso in Roma il 23 aprile 2014
Il Consigliere estensore

responsabilità da “posizione” o da “riscontro d’ambiente” (così: Sez. 1, n. 1988
del 22/12/1997, Nikolic, Rv. 209846, e le molte conformi successive)

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